«Das Auto» allunga un’ombra sinistra sull’intero settore dell’automotive europeo. E non è una sorpresa. Da mesi i più avvertiti osservatori avevano avvisato che la troppo accelerata pianificazione della transizione ecologica con la cessazione nel 2035 della produzioni di motori alimentati da combustibili fossili avrebbe provocato la deflagrazione nel mondo dell’automotive.
Difficoltà annunciate nelle scorse settimane dagli allarmi sui profitti di Ford e Mercedes, dalle tribolazioni di Stellantis, dai segnali lanciati a settembre scorso della stessa Volkswagen: nessuna delle aziende può affrontare da sola la transizione in tempi così ristretti (dieci anni per la pianificazione di una vera rivoluzione industriale sono nulla rispetto alle cose che si dovrebbero fare).
La sintesi: «Nessuno di noi può più sentirsi al sicuro qui» ha proclamato nelle assemblee dei lavoratori dei dieci stabilimenti di Volkswagen in Germania a cominciare dalla sede centrale di Wolfsburg Daniela Cavallo, la figlia di immigrati italiani, a capo del sindacato dei 600mila lavoratori del gruppo.
È stata proprio la Cavallo a rivelare come durante le trattative per il rinnovo del contratto aziendale, i manager del gruppo abbiamo messo sul tavolo l’ipotesi di chiudere tre stabilimenti di produzione automobilistica in Germania (con la prospettiva di licenziare 30mila persone) e di tagliare il dieci per cento del salario di tutti i dipendenti.
La filiera dell’automotive in Germania
Uno choc per il mondo Volkswagen e la Germania: l’immagine della solidità dell’azienda e dei suoi prodotti è tuttuno nell’immaginario mondiale con le caratteristiche tedesche. Ma le difficoltà del primo gruppo auto europeo non sono una sorpresa. Lo ha detto il portavoce del cancelliere tedesco Olaf Scholz, Wolfgang Buechner: «Che Vw sia in una situazione difficile è risaputo». Il portavoce ha ricordato che «der Kanzler» ha già affermato nelle scorse settimane che «le eventuali decisioni sbagliate del management non debbano ricadere sulle spalle dei lavoratori e che si debbano mantenere i posti di lavoro».
Le difficoltà della Vw riguardano l’Italia e l’Europa più di quanto si possa ritenere. Anzitutto il gruppo di Wolfsburg ha in Italia una parte importante della propria filiera di approvvigionamento, decine di aziende producono componentistica di alto livello, poi controlla Lamborghini e Ducati (che godono di eccellente salute e non sono coinvolte in queste difficoltà). E poi opera in segmenti di mercato che sono in parte gli stessi delle produzioni delle fabbriche Stellantis in Italia.
Il mondo dell’auto è nel pieno di una tempesta perfetta: l’elettrico imposto dall’Ue per il 2035; le auto elettriche che intanto non si vendono (ad agosto in Europa la quota del mercato delle auto elettriche è stato del 14,4%, ma in Italia non supera il quattro per cento e in Germania non raggiunge il 13%); il mercato che è totalmente cambiato: nelle aree metropolitane ben servite da sistemi di trasporto pubblico molti hanno rinunciato all’auto di proprietà a favore anche del car sharing o del noleggio per i viaggi con la conseguente riduzione della domanda e dall’altro lato; lo scarso coraggio e anche gli errori dei management.
Cosa significa? Le aziende hanno fatto investimenti per miliardi – e sono esposte finanziariamente – ma le auto elettriche non si vendono e quindi non incassano; le ricariche pubbliche e quelle condominiali o non decollano o i piani procedono con una lentezza esasperante; i consumatori non si fidano di auto che solo con le nuove recentissime batterie riescono a percorre 700 chilometri ma a patto di usare i sistemi di bordo con parsimonia e anche di pagarle molto di più di quelle a benzina e diesel. Sul banco degli imputati c’è la Ue ma anche i governi nazionali accusati di non accompagnare adeguatamente la transizione («In Italia – spiega una fonte del settore – sono stati messi a disposizione incentivi per acquistare 25mila auto elettriche svaniti in appena nove ore»).
La trattativa di Wolfsburg
Torniamo alla Germania. Il gruppo che conta otto marchi (vedi grafico) impiega in quello principale (Volkswagen) 120mila persone, di cui almeno la metà a Wolfsburg, sede del quartier generale e Vw gestisce dieci stabilimenti, di cui sei in Bassa Sassonia, tre in Sassonia e uno in Assia. A settembre, il colosso ha cancellato il programma di sicurezza del lavoro in vigore da oltre 30 anni. E particolarmente a rischio sarebbe adesso lo stabilimento di Osnabrueck, che ha perso una commessa da Porsche.
Oggi bisogna ridurre «significativamente i costi», si legge in un documento interno. «Sì è vero – è scritto in un report diretto ai dipendenti, pubblicato dalla Bild – ci troviamo di fronte alla maggiore trasformazione della storia dell’automobile anche altri produttori devono combattere. È un fatto – continua – produciamo a costi troppo elevati» ma «abbiamo piani chiari su come ottimizzare i costi dei prodotti dei materiali e della fabbrica. Se ognuno dà il suo contributo arriviamo velocemente all’obiettivo: torneremo ai vertici».
Domani VW e il sindacato s’incontreranno a Wolfsburg per il secondo round di contrattazione collettiva. E in settimana è in agenda la diffusione dei conti del trimestre del gruppo.
Le ripercussioni in Italia
L’Anfia, l’associazione della filiera automobilistica italiana, accusa il governo di aver tagliato 4,6 miliardi al Fondo automotive, destinato all’adozione di misure a sostegno della riconversione della filiera. «Il taglio previsto dal Disegno di Legge di Bilancio alle già scarse risorse stanziate nel 2020 è un’inaccettabile fulmine a ciel sereno che contraddice in modo clamoroso l’importante attività che il governo sta svolgendo in Europa a favore del settore per migliorare la regolamentazione, e annulla mesi di intenso lavoro del Tavolo Sviluppo Automotive, che hanno portato Anfia, parti sociali e Regioni a proporre al governo un piano d’azione per supportare la filiera». «L’automotive – sottolinea l’associazione – è il principale settore manifatturiero italiano, conta oltre 270mila addetti diretti, ha un fatturato di oltre 100 miliardi di euro ed è l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni» motivo per il quale auspica «di vedere fortemente ridotto il taglio nell’iter di approvazione della manovra in Parlamento».
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