L’industria boccia la Manovra per pochi investimenti. Regina (Confindustria): “Rinnovabili e nucleare antidoto contro caro energia”. Big Tech puntano sul nucleare. La rassegna Energia
Le aziende bocciano la nuova Manovra di Bilancio. Gli industriali sono preoccupati dalla mancanza di investimenti, nonostante le rassicurazioni del Governo riguardo i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per Industria 5.0. Le rinnovabili e gli small modular reactors nucleari sono la soluzione del problema caro energia elettrica in Italia. A dirlo è Aurelio Regina, delegato per l’energia del presidente di Confindustria Emanuele Orsini, il quale a La Stampa ha detto che «in Italia le imprese pagano l’energia più del doppio della Francia, un terzo in più della Germania e il 38% in più della Spagna». Le Big Tech puntano sul nucleare per soddisfare la fame di energia dei data center, che ospitano server e macchine dedicati alla propria offerta di Intelligenza Artificiale. I primi a muoversi sono Amazon e Google, con il recente accordo con Kairos Power per un piccolo reattore modulare che entrerà in funzione nel 2030. La rassegna Energia.
ENERGIA, MANOVRA: PER LE AZIENDE MANCANO GLI INVESTIMENTI
“Le imprese che pensavano di trovare un piano di investimenti di lungo respiro nella manovra appena licenziata dal governo sono rimaste a bocca asciutta. Il pacchetto di politica industriale previsto nella legge di bilancio si limita alla proroga di un anno della Zes nel Mezzogiorno e al rifinanziamento della Nuova Sabatini fino al 2029. Non c’è un orizzonte più ampio, non c’è un disegno concreto che possa orientare gli investimenti privati nei prossimi anni. L’esecutivo si difende ricordando che il Pnrr stanzia i fondi per Industria 5.0, una dotazione di 6,3 miliardi con l’obiettivo di sostenere la transizione energetica fino al 2026. Al di là dei problemi che le aziende stanno incontrando proprio per aderire a Industria 5.0, tanto che potrebbero arrivare delle modifiche nei prossimi giorni, le premesse legate alla manovra erano ben altre. (…) Il dicastero guidato da Adolfo Urso dovrà fare a meno di 1,2 miliardi di euro nel triennio, di cui oltre 360 milioni nel 2025; soldi che verranno sforbiciati soprattutto dal capitolo degli incentivi al sistema produttivo. Il Mimit, peraltro, risulta il ministero con il taglio più corposo, secondo solo al Mef. (…) Tuttavia, delle richieste di Emanuele Orsini – dai contratti di sviluppo all’Ires premiale – Confindustria porta a casa solo gli sgravi per gli operai che spostano la residenza per andare a lavorare, primo passo del piano casa proposto dal presidente degli industriali per superare il gap tra domanda e offerta, spesso alimentato anche dai prezzi degli affitti che scoraggiano la mobilità. La norma dice che il lavoratore che si sposta di 100 chilometri (con un reddito inferiore ai 35 mila euro) avrà diritto a un tetto di fringe benefit fino a 5 mila euro. Orsini continua comunque a chiedere di «sostenere al massimo le imprese e proteggere le filiere che esportano”, si legge su La Stampa.
“Tornando alla Zona economica speciale del Sud, la manovra prevede 1,6 miliardi di euro dal 1° gennaio 2025 al 15 novembre 2025, meno di un anno. Mentre la Nuova Sabatini – l’agevolazione per acquistare macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali e tecnologie digitali – ottiene un aumento di spesa di 400 milioni per il 2025, 100 milioni per il 2026 e 400 milioni per ciascuno degli anni dal 2027 al 2029. È invece saltato l’esonero contributivo per le assunzioni nel Mezzogiorno per la contrarietà della Commissione europea che ha autorizzato la proroga solo fino al 31 dicembre di quest’anno. Confermata nel prossimo triennio, invece, la maggiorazione del 20% (complessivamente del 120%) della deduzione per le assunzioni di dipendenti a tempo indeterminato, se incrementali rispetto all’organico. Sale di un altro 10% (130%) se gli assunti sono disabili, giovani under 30, mamme con almeno due figli, donne vittime di violenza ed ex percettori del reddito di cittadinanza. L’edilizia, colpita duramente dalla fine del Superbonus, naviga a vista perché il panorama continua a essere molto incerto. Per il 2025 la normativa limata in legge di bilancio si presenta così: detrazione al 50% per le ristrutturazioni sulla prima casa, per l’ecobonus, il sismabonus e il bonus mobili. Il 75% per il bonus barriere architettoniche e il 36% per quel che riguarda le seconde case. Ai condomini resta il Superbonus al 65% solo se la documentazione sull’avvio del cantiere è stata depositata entro il giorno del via libera alla manovra: il 15 ottobre 2024. (…) «Si può e si deve fare di più per una filiera che è determinante per l’economia», sottolinea la deputata azzurra Erica Mazzetti che aggiunge: «La revisione dei prezzi a favore delle imprese colpite dai rincari è un aiuto prima di tutto al Paese perché, preservando aziende e competenze professionali dall’impatto dei rincari, si possono concludere i cantieri per le opere strategiche»”, continua il giornale.
ENERGIA, REGINA (CONFINDUSTRIA): “RINNOVABILI E MINI NUCLEARE CONTRO CARO ENERGIA”
“Passano gli anni, passano i decenni, ma il problema non si risolve: l’energia elettrica in Italia continua a costare più che nei Paesi vicini e concorrenti, e questo zavorra la competitività delle nostre aziende. Per di più, forti vincoli sono stati imposti di recente al nostro sistema economico dalla transizione energetica a tappe forzate e dalla necessità geopolitica (indotta dalle guerre che ci accerchiano) di renderci indipendenti dalle fonti straniere. (…) Al telefono da Confindustria Aurelio Regina, delegato per l’energia del presidente Emanuele Orsini, dice a La Stampa che «in Italia le imprese pagano l’energia più del doppio della Francia, un terzo in più della Germania e il 38% in più della Spagna». Ma perché? Regina lo spiega un po’ con ragioni strutturali e un po’ contingenti: «In Italia costruire centrali e reti elettriche è sempre stato più difficile e costoso che all’estero, per le lunghe procedure di autorizzazione, per l’orografia complicata eccetera. Inoltre il nostro mix energetico è sbagliato, troppo sbilanciato sulle centrali termiche a ciclo combinato, che al momento generano l’energia più costosa. Il nucleare della Francia costa meno, l’eolico e il carbone della Germania costano meno, le rinnovabili e il nucleare della Spagna costano meno»”, si legge su La Stampa.
“(….) «L’economia italiana va verso una sempre maggiore elettrificazione, per via della decarbonizzazione e della crescente mobilità elettrica. (…) Fra l’altro il governo con tre decreti ha quasi cancellato le aree idonee a produrre rinnovabili a prezzi accettabili, la Sardegna rifiuta l’eolico, e arrivano continui no alle energie verdi dai comitati locali. In alternativa, i reattori nucleari di piccole dimensioni offrono una tecnologia sicura, prodotta in Italia. Ne basterebbe uno per fornire energia a un intero distretto industriale, e venti o venticinque per tutto il Paese». Domanda: ma l’energia è un vero problema per l’Italia? Da decenni ci si lamenta che il nostro Paese si deindustrializza, eppure restiamo la seconda potenza industriale ed esportatrice d’Europa. Come è possibile? Regina risponde che, purtroppo, l’Italia mantiene le posizioni in una corsa che è in retromarcia: «Dal 2009 al 2021 il nostro Paese ha perso il 25% della capacità industriale. Gli altri altrettanto, o di più. In Italia hanno tenuto le piccole e medie imprese, mentre hanno perso terreno quelle grandi e dei settori energivori»”, continua il giornale.
“Da ex presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’energia Giovanni Battista Zorzoli, è di tutt’altra opinione: l’energia elettrica in Italia, dice, «costa di più perché non ne produciamo abbastanza da fonti rinnovabili, e gli Small Modular Reactor devono ancora dimostrare di essere competitivi(…). Spiega Zorzoli: «Nel mercato dell’energia italiano, come in tutti i mercati, il costo dell’elettricità è determinato dal prezzo marginale, cioè si mettono in fila tutte le offerte e vince quella che, momento per momento, risulta più conveniente. (…) Se invece in Italia avessimo il 60% di energie verdi come la Spagna, anche da noi il prezzo dell’elettricità crollerebbe». Zorzoli si definisce «nuclearista pentito» ed è un deciso sostenitore delle rinnovabili, ma non lo è in modo ideologico, e ammette che il basso prezzo dell’energia in Spagna non è tutto dovuto all’impronta verde: abbassano il prezzo del mix iberico anche i contributi del carbone e dell’atomo (mentre gli spagnoli usano poco gas). Quanto ai reattori di piccola taglia(…) i nucleari modulari, per adesso, non sono economicamente sostenibili. Staremo a vedere»”, continua il giornale.
“Un altro analista di settore, Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, osserva che nel mix energetico dell’Italia il nucleare c’è già, solo che anziché essere prodotta qui viene importata: «Rappresenta il 17% del consumo elettrico italiano, e nel Nord Ovest in certe giornate si sale al 40%». Tabarelli spezza una lancia per le bistrattate centrali a ciclo combinato: «Non è che la loro elettricità costi più cara a priori. Costa cara adesso, perché in questo momento vengono alimentate con gas importato a caro prezzo. Se ricominciassimo a estrarre il gas in Italia, l’energia prodotta dalle nostre centrali termiche costerebbe meno». (…) «Gli americani producono moltissimi idrocarburi con la tecnologia del fracking», dannosissima per l’ambiente (e lo hanno fatto con Obama, con Trump e con Biden, indifferentemente) «mentre l’economia della Cina è alimentata a carbone», senza alcuna preoccupazione per le emissioni.
Sulle piccole centrali atomiche Andrea Giuricin, economista dell’Istituto Bruno Leoni, afferma che «non possono essere la soluzione del problema dell’energia in Italia, se non in misura limitata». (…) «Serviranno centrali nucleari di grandi dimensioni, nell’ambito di una diversificazione che avrà per protagoniste le energie rinnovabili»”, continua il giornale.
NUCLEARE, BIG TECH PUNTANO SULL’ATOMO
“Il primo piccolo reattore modulare costruito da Kairos Power per Google dovrebbe entrare in funzione nel 2030. A seguire, nel giro di cinque anni, ne apriranno altri. L’accordo, svelato pochi giorni fa, prevede l’acquisto di 500 megawatt di energia da sei o sette reattori. L’obiettivo è sfamare con una fonte pulita i data center che ospitano server e macchine dedicati alla propria offerta di intelligenza artificiale veicolata tramite prodotti e software a tutti gli utenti globali. Poco prima era stato il turno di Amazon, che aveva acquistato direttamente un data center già alimentato a energia nucleare della Talen Energy e firmato altri accordi per costruire gli Smr, small nuclear reactor. Infine Microsoft, che ha invece deciso di accordarsi con Constellation Energy per rimettere in funzione un’unità del famigerato impianto di Three Mile Island, in Pennsylvania, dove nel 1979 si verificò il più grave incidente nucleare degli Stati Uniti.
A parte quest’ultimo caso, al centro dei progetti dei colossi del tech per sostenere il proprio, inesauribile fabbisogno di energia elettrica ci sono i reattori modulari di piccole dimensioni (…) Google & Co. sono alla finestra, interessati anzitutto a finanziare la ricerca – fanno anche parte dell’alleanza voluta dalla Commissione Europea sul tema – per poi assicurarsi contratti favorevoli per sperimentare i nuovi impianti. (…) per Goldman Sachs, per esempio, l’uso di energia da parte dei soli data center statunitensi, che fanno però la parte del leone, dovrebbe triplicare fra lo scorso anno e il 2030, richiedendo circa 47 gigawatt di nuova capacità di generazione”, si legge su La Repubblica Affari & Finanza.
“Per data center si intendono hub informatici sempre più concentrati: secondo l’Electric Power Research Institute ogni singola struttura richiede ora un consumo energetico che può variare dall’equivalente di 80mila a 800mila abitazioni, aggravando dunque le sfide legate alla fornitura di energia. Non a caso, da un paio di mesi proprio Big G ha smesso di definirsi «carbon neutral » e punta a tornarlo proprio nel giro di sei anni mentre la casa di Windows punta a raggiungere quell’obiettivo ma ritiene il percorso molto difficile. Stimare il fabbisogno di un settore rivoluzionario e in assoluta esplosione come quello dell’IA è un’impresa complessa: uno studio dello scorso anno pubblicato su Joule spiegava che nel 2027 quella necessità potrebbe aggirarsi tra 85 e 134 terawattora (TWh) all’anno, confrontabile con quello di alcuni paesi come Ucraina (85 TWh annui), Olanda (108 TWh) o Svezia (125 TWh). Per un confronto diretto, il consumo energetico dell’Italia si colloca intorno ai 300 TWh annui. (…) per accompagnare un giro d’affari stimato in 184mila miliardi di dollari i top manager del settore hanno recuperato la parola magica: nucleare”, continua il giornale.
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