Arriva il conto di tutto: del disastro industriale, della macelleria sociale, della catastrofe politico-elettorale che inevitabilmente verrà presentato al governo Scholz al massimo tra 10 mesi quando si apriranno le urne per il rinnovo del Bundestag. La realtà a Berlino come a Wolfsburg è che la crisi del Gruppo Volkswagen è pronta a esplodere in tutta la sua ampiezza già entro 60 giorni, quando i lavoratori paralizzeranno tutte le fabbriche tedesche come annunciato dal sindacato.
«Sarà un autunno caldo» promette Thorsten Grögerm, capo negoziatore dell’Ig Metall, mentre la leader del Consiglio di fabbrica, Daniela Cavallo, denuncia il modus operandi del management Vw non solo «inaccettabile» nel contenuto ma anche «squallido» nei modi.
Finisce in questo modo la tradizionale pratica della concertazione: il pilastro della cogestione d’impresa alla base dell’economia nazionale. Ma il piano di tagli di Vw getta nuova benzina sul fuoco dell’irrisolta questione orientale. Fra le fabbriche da sacrificare spunta lo stabilimento di Zwickau che per i vertici di Vw rappresenta solo uno dei tanti siti da «ristrutturare» e invece è l’emblema del problema politico.
Qui costruivano le Trabant, simbolo dell’autarchia della Ddr e poi della Riunificazione tedesca, prima che Volkswagen decidesse di convertirla a catena di montaggio per la Polo e infine per i modelli elettrici oggi invendibili per il crollo del mercato. Lo stabilimento sarà ridotto fino a metà della sua capacità produttiva. Non c’è peggiore notizia a Zwickau, città di 87 mila abitanti in Sassonia legata mani e piedi all’automotive.
ALLE ULTIME ELEZIONI comunali un anno fa qui era già evidente il maxi-consenso per Afd (32%), Cdu (20%) e Alleanza Sahra Wagenknecht (13%), i tre partiti nemici della riconversione ambientale pronti a dare battaglia sulla chiusura della locale fabbrica che oggi impiega oltre 10 mila lavoratori.
«Colpa della transizione ecologica imposta dal governo Scholz» tuona l’opposizione pronta a cogliere la palla al balzo, e proprio per questo il cancelliere si è precipitato a lanciare il monito: «I lavoratori non devono pagare gli errori del management dell’impresa». Nelle vesti di capo del governo quanto di leader della Spd, il partito che guida la Bassa Sassonia, il Land azionista di riferimento di Vw che detiene il 20% del capitale. Non una moral suasion ma il chiaro avvertimento ai manager di Wolfsburg che l’esecutivo federale non accetterà mai il piano lacrime e sangue.
BOCCIATO IN PRIMIS dal sindacato consapevole come l’imminente futuro sia segnato dalla decisione di chiudere un terzo delle fabbriche in Germania tagliando di un quinto lo stipendio degli operai: inizia proprio così il mega-piano messo a punto dai vertici Vw per far quadrare i conti dell’impresa devastati dalla pessima gestione aziendale prima ancora della crisi dell’auto elettrica.
Come ammesso finora solo nelle carte riservate a uso interno, a pagare il prezzo della fallimentare politica industriale perseguita dai manager saranno unicamente i dipendenti, mentre si profila il punto di non ritorno tanto che «attualmente nel Gruppo Vw nessun posto di lavoro è più al sicuro» come ha rivelato ieri Daniela Cavallo, presidente del Consiglio di fabbrica, agli operai in riunione straordinaria nello stabilimento di Wolfsburg.
E LA DENUNCIA della leader del sindacato Ig Metall ristabilisce la realtà della gestione aziendale incapace di leggere per tempo le criticità del settore quanto di valutare il reale peso della Cina: non più il mercato in espansione in grado di assicurare un futuro luminoso per il Gruppo ma un concorrente insostenibile che si prepara a rilevare la fabbrica Audi in Belgio in modo da aggirare le sanzioni Ue.
«L’intenzione dei vertici Vw è dissanguare le aree di produzione e condannare decine di migliaia di dipendenti alla disoccupazione di massa» precisa la sindacalista della Ig Metall dettagliando i numeri del piano padronale, dal taglio del 10% del salario allo stop dell’indennità mensile di 167 euro: sommati portano alla riduzione del 18% dello stipendio.
«I vertici Vw hanno dato fuoco a tutte le garanzie per i lavoratori e poi si sono dileguati. Questo comportamento è squallido e rappresentativo di un vero e proprio sistema» chiosa Cavallo che rappresenta i 120 mila lavoratori impiegato dal Gruppo in Germania, di cui circa metà nella fabbrica di Wolfburg. «Mancano le vendite di due stabilimenti» spiegavano a inizio mese i manager di Vw, e invece a chiudere saranno tre fabbriche più mezza linea di produzione di Zwickau e in più verranno aboliti i bonus per i dipendenti e i pagamenti annuali una tantum per i 25 anni di servizio, da sempre garantiti dall’impresa.
Domani è previsto il prossimo incontro fra il Consiglio di amministrazione e il sindacato che rilancia con la richiesta di aumento del 7% del salario previsto dal contratto collettivo promettendo battaglia a dicembre con il blocco delle fabbriche.
L’«auto del popolo» contro l’automotive del padrone. Questa è la posta in gioco da Scholz in giù.
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