Lo studio della Uil: la città metropolitana di Napoli è al primo posto per tassazione. Colpa anche della differenziata che non decolla e dell’evasione
La tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani negli ultimi 5 anni è cresciuta del 9,69%, con un aumento consistente del carico fiscale sulle famiglie italiane, quasi a diventare un ennesimo salasso che si accompagna alla «tradizionale» Irpef, addizionali corpose comprese, ed alle sempre più esose bollette sui consumi della corrente elettrica e del gas. Ma il peso maggiore è per i nuclei meno abbienti. A fronte di un reddito netto familiare di oltre 41 mila euro nel Nord Est, 39 mila nel Nord Ovest, 37 mila nel Centro e 29 mila nel Sud e nelle isole, i nuclei più poveri destinano l’1,34% del loro guadagno a questo pagamento, mentre quelli più ricchi pagano appena lo 0,64%, ovvero la metà del Mezzogiorno, dove i servizi sono «regolarmente» peggiori. Sono i risultati delle conclusioni a cui giunge uno studio condotto dalla Uil confederale sull’impatto redistributivo della Tari, che ha incrociato l’analisi dell’Istat su «Condizioni di vita e reddito delle famiglie» e le delibere comunali istitutive del prezzo della tassa.
«Ancora una volta – dice la segretaria confederale Uil Vera Buonomo – sono le persone con maggiori difficoltà economiche a sopportare un peso fiscale maggiore, a conferma del fatto che il sistema attuale non solo fallisce nel garantire equità e giustizia sociale, ma acuisce le diseguaglianze, creando disparità tra le diverse aree geografiche del Paese. Ci riesce difficile capire il perché degli aumenti maggiori nel meridione, assolutamente ingiustificati soprattutto per la carenza dei servizi resi, che in alcune grandi città risultano spesso inefficienti a causa delle limitate risorse disponibili. Peraltro, la Tari è destinata ad aumentare in modo maggiormente significativo – precisa Buonomo – nei Comuni che, nel 2023, non hanno operato una revisione del piano tariffario. Questi enti, infatti, sconteranno la crescita dell’inflazione e l’aumento del costo dell’energia, a causa dei ritardi nell’approvazione e pubblicazione delle delibere. La Uil ritiene fondamentale intervenire subito e migliorare i servizi, favorendo un approccio coordinato a livello nazionale in grado di contrastare le disparità territoriali».
Nel 2023, stando ai dati diffusi dal Servizio Fisco e Previdenza della Uil, che ha analizzato i costi della Tari in 109 città capoluogo di provincia sulla base delle delibere pubblicate dalle istituzioni locali, si è avuto un incremento pari all’1,66% rispetto all’anno precedente. In particolare, tra il 2022 e il 2023, ben 51 città capoluogo di provincia sulle 109 hanno registrato una crescita della tassa. In termini assoluti, una famiglia di quattro persone, residente in un’abitazione di 80 mq. e con reddito ISEE pari a 25 mila euro, ha pagato, in media, 331 euro nel 2023, rispetto ai 302 euro versati nel 2018. Questo aumento è stato più evidente nelle 8 regioni meridionali continentali ed insulari, dove la spesa media è la più alta di tutti, essendo salita a 395 euro, rispetto ai 363 euro del 2018, in crescita dell’1,11% rispetto al 2022. Nel Nord Est, invece, l’importo medio è passato da 248 euro del 2018 a 272 euro del 2023, con un incremento del 3,62% ma partendo da un livello più basso in assoluto nei confronti delle altre aree. Nel Nord Ovest, la media è 287 euro, anch’essa in calo dell’1,23%, mentre cresce del 3,22% al Centro passando a 347 euro.
Nelle 10 città con i costi più alti in valore assoluto, ben 6 appartengono al meridione, ovvero Brindisi, con una media annuale nel 2023 di 518 euro, Napoli con 495, Catania con 475, Trapani con 472, Messina con 3470 e Taranto con 469. Si registrano invece notizie positive per Benevento, Avellino, Siracusa ed Agrigento, che hanno ridotto la Tari rispettivamente del 4,76% (scendendo da 480 a 457 euro), del 4,11%, dell’1,59% e dello 0,77%, una timida inversione di tendenza che fa sperare per il futuro (se ovviamente i cittadini concorrono con una differenziata migliore che abbatte naturalmente i costi di gestione), mentre Napoli ha registrato un incremento monstre passando da 442 nel 2022 a 495 nel 2023.
Di contro, le 10 città più virtuose sotto il profilo dell’incidenza verso i cittadini sono tutte del Centro-Nord con Belluno in testa a quota 178 euro annui, seguita da Novara, Pordenone, Brescia, Ascoli Piceno, Macerata, Trento, Fermo, Mantova e Vercelli.
Nel confronto tra il 2022 e il 2023, Imperia chiude con un calo di circa un quarto della tariffa, a -24,28, seguita da Mantova con il -15,63%, Milano con il -9,55%, Ancona con -8,90% e Biella con -8,84. Al contrario, ed in linea con l’andamento generale, nelle città metropolitane, nei primi 7 posti relativi ai Comuni più cari ci sono Napoli, Catania, Messina, Reggio Calabria, Bari e Cagliari, precedute solo da Genova, mentre Palermo è undicesima. È proprio il dato di Napoli che colpisce di più. Ma si spiega con il fatto che in vaste aree la differenziata è ancora un miraggio. E che la sacca di evasione è alta, e costringe chi paga a dare di più di quanto dovrebbe.
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