Un parto complicato a ventisette settimane, il cesareo con sofferenza per mamma e neonato. Poi il trasferimento dal San Martino di Oristano all’ospedale di Sassari, dove il cuoricino del piccolo si è fermato dopo appena due ore di vita. Un dramma per una giovane coppia di genitori terralbesi che, superato il dolore, ha chiesto giustizia.
I consulenti del Tribunale civile di Oristano hanno così riconosciuto la colpa medica e, grazie alla mediazione degli avvocati Fabio Costa e Marco Emilio Mascia, si è arrivati a un accordo in virtù del quale l’assicurazione Reale Mutua ha riconosciuto un risarcimento di 810mila euro alla mamma, oggi 36enne e al papà, di sei anni più giovane.
I FATTI – È la sera del 31 maggio 2018 quando la donna si rivolge al pronto soccorso del San Martino: pressione molto alta (180 su 100) e una condizione generale non ottimale. Il ricovero alle 2.45 del mattino ma secondo i consulenti del Tribunale ci sarebbero state «diverse negligenze» ed errori nella diagnosi. «La pressione alta è trattata come ipertensione gestazionale non grave», ad esempio. Inoltre, a parte una ecografia eseguita nell’immediatezza, «non c’è stato nessun monitoraggio per il nascituro. Sono stati disattesi completamente i segni ed i sintomi neurologici della donna».
Dopo 8 ore, alle 10.45, i medici del reparto di Ginecologia decidono di indurre il parto. Poi il trasferimento del bambino all’ospedale di Sassari, dove il piccolo ha cessato di vivere alle 13.
Secondo i consulenti ci sono stati «comportamenti inadeguati, sotto i profili della perizia e prudenza da parte dei sanitari della Ginecologia dell’ospedale di Oristano per non avere tempestivamente diagnosticato un quadro di ipertensione grave evoluta successivamente in crisi convulsive». Ancora, i medici non avrebbero ottemperato «alle regole di sicurezza per la madre e soprattutto per il feto, costretto a nascere in centro inadeguato dal punto di vista della terapia intensiva neonatale».
I periti non hanno ravvisato profili di colpa nel neonatologo, che prestò le prime cure al piccolo, né responsabilità da parte dei consulenti cardiologo e anestesista rianimatore che anzi hanno contribuito a limitare i danni almeno a carico della mamma.
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