Vitorchiano si trova ai piedi dei monti Cimini, proteso verso la verdeggiante valle del Vezza. L’antico borgo, noto per le attività legate all’estrazione ed alla lavorazione del peperino, è adagiato su un banco, fratturato in enormi massi, di questa pietra, con pendii ripidi a strapiombo su due fossi che confluiscono a formare il Rio Acqua Fredda, affluente del Vezza.
Il nome Vitorchiano viene fatto derivare da Vicus Orclanus, il che rivelerebbe una presunta dipendenza dal centro di Norchia (o Orcla) presso Vetralla, luogo sacro alla dea etrusca Norzia.
La rupe di Vitorchiano, come è stato accertato da ritrovamenti della fine del secolo scorso, fu sede di un abitato già nell’età del bronzo; la forte posizione dell’insediamento ripropone anche qui la vicenda comune a gran parte dei paesi dell’Etruria meridionale, in cui un florido villaggio del periodo finale dell’età del bronzo (XI secolo a.C.) ne ha preceduto lo sviluppo storico.
Forse occupato in epoca etrusca, castrum romano e poi centro urbano fortificato nella parte più meridionale della Tuscia Longobardorum, Vitorchiano vanta una storia secolare influenzata a lungo dalla politica espansionistica della vicina e potente Viterbo.
Quando nel 1199 Vitorchiano si dichiarò libera da ogni legame con Viterbo il borgo fu assediato dalle milizie viterbesi contro le quali fu invocato l’aiuto di Roma. Nel 1201, Vitorchiano fu liberato dall’assedio e divenne feudo di Roma. Ma i contrasti tra Roma e Viterbo continuarono per tutta la metà del Duecento.
I Fedeli di Vitorchiano
Nel 1232 i Viterbesi si impadronirono del paese e lo devastarono. L’Annibaldi fortificò il borgo con nuove mura che resero Vitorchiano praticamente imprendibile, i Vitorchianesi però non sopportarono il suo governo. Dopo aver inutilmente supplicato Roma di liberarli dal giogo, nel 1267 provvidero a proprie spese a rifondere Giovanni Annibaldi per i costi sostenuti. Quando ormai al senato romano apparve evidente che Vitorchiano era perduto a causa della politica poco lungimirante, avvenne un fatto straordinario: i Vitorchianesi fecero atto solenne e formale di sottomissione a Roma. Il Senato Romano a questa notizia nominò Vitorchiano “Terra Fedelissima all’Urbe”, le riconobbe ampie esenzioni fiscali, le consentì di aggiungere al proprio stemma la sigla S.P.Q.R., di fregiarsi della Lupa Capitolina e di usare il motto Sum Vitorclanum castrum membrumque romanum, cioè Vitorchiano, castello e parte di Roma. Il privilegio più importante fu rappresentato dall’onore di fornire gli uomini per la guardia capitolina. Essi furono denominati “Fedeli di Vitorchiano”. Questo privilegio è stato costantemente esercitato da Vitorchiano dal 1267 fino ai nostri giorni. Ancora oggi è possibile ammirare la Guardia del Campidoglio nei costumi che, secondo la tradizione, furono disegnati da Michelangelo Buonarroti, nelle manifestazioni ufficiali del comune di Roma.
La città di Roma conferisce un appannaggio annuale a Vitorchiano tratto dalle imposte comunali che serve a retribuire la Guardia tra i cui compiti c’è anche quello di suonare le particolari trombe romane, dette clarine, in occasione delle principali manifestazioni pubbliche ufficiali, che proprio per questo motivo sono dette tradizionalmente “le clarine di Vitorchiano” e a Roma la frase “suonare le clarine” è divenuta proverbiale e sta a significare chiamare a raccolta il popolo per la lotta.
A Vitorchiano si trova una statua moai. Essa è stata scolpito nel 1990 da undici indigeni dell’isola di Pasqua, invitati dalla trasmissione RAI Alla ricerca dell’Arca, a realizzare un programma di “gemellaggio” culturale. Poiché gli originali Moai dell’isola di Pasqua si stavano deteriorando, la televisione di Stato si adoperò per scovare una pietra vulcanica simile a quella delle cave dell’isola di Pasqua per poterne costruire uno nuovo. La trovò proprio qui: un enorme blocco di peperino del peso di trenta tonnellate. Fu scolpito quindi con asce manuali e pietre taglienti.
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