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Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” è una
delle frasi più celebri e antiche che calzano perfettamente quando
si parla di normativa edilizia. In Italia vige
(non
si sa ancora per quanto tempo
) il d.P.R. n.
380/2001
, cosiddetto Testo Unico Edilizia
mediante il quale il legislatore ha provato a riordinare la materia
non senza qualche piccola e grossa problematica dovuta alla
presenza di 3 leggi speciali che in diversi
momenti storici ha previsto nel nostro ordinamento il
condono edilizio.

Condono edilizio: causa o soluzione agli abusi?

Condono edilizio che ha consentito nel 1985, nel 1994 e nel 2003
di ottenere il permesso di costruire in sanatoria
di opere eseguite:

  • senza licenza o concessione edilizia o
    autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di
    regolamento, ovvero in difformità dalle stesse;
  • in base a licenza o concessione edilizia o
    autorizzazione annullata
    , decaduta o comunque divenuta
    inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di
    annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o
    amministrativa.

Su queste 3 leggi speciali sono ancora in molti a domandarsi se
siano state la causa di un malcostume diffuso
(l’edificazione senza regole) o la soluzione all’assenza di
seria pianificazione urbanistica e controllo
da parte
dello Stato. Un aspetto su cui sono tutti d’accordo riguarda
l’incapacità della pubblica amministrazione di rispondere alla
grande quantità di istanze arrivate in quelle finestre
temporali.

Incapacità che nel corso degli anni ha generato
contestazioni, ricorsi e tanto
lavoro cui si farebbe volentieri a meno.

Condono edilizio: nuovo intervento della Cassazione

Ed è proprio su questa inerzia che arriva la Sentenza
della Corte di Cassazione 6 giugno 2023, n. 24238
resa a
distanza di ben 27 anni dalla presentazione della
domanda di condono edilizio non ancora esaminata dal competente
Comune.

Nel caso di specie viene presentato ricorso per la riforma della
sentenza della Corte di Appello che, adita come giudice
dell’esecuzione
, aveva rigettato l’istanza di revoca o, in
subordine, di sospensione dell’ordine di
demolizione
di un immobile.

Su questo immobile il ricorrente aveva esposto di aver
presentato domanda di condono edilizio ai sensi della Legge
n. 724 del 1994
(secondo condono
edilizio
), ancora pendente presso il
Comune competente, che (afferma il ricorrente) sarebbe stata
prevedibilmente accolta, considerati gli intervenuti pareri
favorevoli dell’autorità preposta al vincolo per gli
immobili circostanti quello dell’ingiunta
demolizione.

La revoca/sospensione della demolizione

Preliminarmente la Cassazione ricorda l’indirizzo
consolidato
 a mente del quale laddove al giudice
della esecuzione sia richiesto di revocare o, meglio, sospendere
l’efficacia esecutiva di un ordine di demolizione impartito
all’esito di un giudizio penale che ha condotto all’affermazione
della penale responsabilità di un soggetto e, pertanto, alla sua
condanna per la violazione della normativa edilizia in materia di
costruzione di manufatti immobiliari, in funzione della pendenza di
una istanza di condono edilizio, egli deve esprimere una
valutazione prognostica sulla esistenza o meno di
concrete probabilità che la istanza in questione
sia accolta, dovendo, conseguentemente,
rigettare l’istanza laddove ritenga che tale
probabilità non sussista.

Nel caso oggetto della nuova sentenza, la Corte di appello per
esprimere il giudizio prognostico negativo in merito alla
condonabilità delle opere eseguite si è riferita:

  • alla volumetria esuberante delle opere
    realizzate (maggiore del vincolo di 750 mc consentiti dalla
    norma);
  • alla circostanza che non soltanto a distanza di 27 anni dalla
    presentazione della domanda di condono edilizio questa
    ancora non era stata esaminata
    dal competente Comune di
    Monte di Procida (fatto che secondo gli ermellini non farebbe
    ragionevolmente presumere la prossima definizione della procedura
    amministrativa);
  • al fatto che l’entità delle opere era stata
    variata
    successivamente alla presentazione della istanza,
    essendo ciò avvenuto non nel senso della riduzione delle stesse ma
    del loro ampliamento attraverso la realizzazione di un vano
    seminterrato, di un sottoscala, oltre ad avere comportato
    l’apertura di una ulteriore finestra nel prospetto
    dell’edificio.

Tali circostanze non sono state contestate dal ricorrente e per
questo motivo la Cassazione ha confermato l’operato della Corte di
appello sia in riferimento alla mancata revoca dell’ordine di
demolizione sia alla più limitata eventuale sospensione della
procedura volta alla esecuzione della demolizione
dell’immobile.

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