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Condannati definitivamente due fratelli di Fucecchio a 3 anni e 6 mesi di reclusione per bancarotta distrattiva fraudolenta. Per i giudici non avrebbero nemmeno dichiarato utili per oltre 1 milione di euro della loro società di vendita di ricambi auto con sede a Padova.

Erano sbarcati a Padova anni fa per avviare un’attività lavorativa ma il risultato è stato un fallimento e una condanna penale. Due fratelli di Fucecchio, di 63 e 68 anni, sono stati infatti condannati in via definitiva alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ciascuno (oltre all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni), in ordine al reato di concorso in bancarotta fraudolenta documentale e aggravamento doloso del dissesto, commessi in relazione a una società che gestiva alcune rivendite di ricambi auto.

La suprema corte di Cassazione ha infatti rigettato i loro ricorso avverso la precedente sentenza di condanna del 2020 della corte d’Appello di Venezia. Uno dei due fratelli è stato condannato anche per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva di risorse finanziarie, pari ad oltre 634.000 euro, realizzato mediante rinuncia al credito di regresso maturato nei confronti della società poi fallita, a seguito dell’operazione di risanamento delle società controllate, eseguita con la vendita di un complesso immobiliare a una società immobiliare della Toscana in data. Nei confronti di entrambi gli imputati (un terzo coimputato, è stato assolto in primo grado per non aver commesso il fatto) è stata ritenuta sussistente l’aggravante dell’aver commesso più fatti di bancarotta.

Per gli ermellini il principale capo di imputazione “è dedicato ad enucleare vari passaggi fondamentali della bancarotta fraudolenta documentale, per la tenuta irregolare delle scritture contabili, in modo da non consentire la ricostruzione del volume d’affari e del patrimonio della società, tra i quali: l’omesso aggiornamento delle scritture contabili; l’istituzione e movimentazione, di un conto cumulativo “debiti vs banche”, nel quale venivano fatte confluire, senza distinzioni, tutte le posizioni debitorie sia proprie che di società controllate; la registrazione di una sopravvenienza attiva di oltre un milione e novecentomila euro); la registrazione, di accolli di esposizioni bancarie di società controllate non avvenuti o avvenuti in date diverse da quelle indicate; l’omessa registrazione del pagamento del debito della società controllate verso una banca e del relativo credito di regresso per un importo di 634.821 euro; l’iscrizione nel bilancio di liquidazione di utili non realizzati per euro 1 milione e 156.790 euro”. La Cassazione ha rigettato tutti e 12 i motivi di ricorso dei due fratelli. “Al rigetto del ricorso congiuntamente proposto dai ricorrenti segue la loro condanna al pagamento delle spese processuali”. Il caso giudiziario è chiuso.



 

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