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Cosa c’è da sapere in materia di preuso, diritti affievoliti, accordi di coesistenza per una migliore tutela del marchio di fatto.

Marchi, brevetti, diritti d’autore … tutte tutele previste dall’attuale ordinamento a difesa della cosiddetta proprietà immateriale o intellettuale. Quindi se tutto è espressamente previsto dal legislatore e fatto oggetto di apposita tutela, verrebbe spontaneo chiedersi: il marchio di fatto, cos’è e quali oneri comporta per chi ne è titolare? A livello terminologico il marchio non registrato è comunemente definito “marchio di fatto”, vale a dire un marchio che esiste nella realtà di fatto, anche senza una sua previa registrazione presso i registri competenti. Cosa comporta questo in parole povere? Se per una propria visibilità, si cominciasse a contraddistinguere i propri prodotti/servizi con un determinato segno distintivo, senza alcuna formale registrazione, si sarebbe titolari di qualche diritto. Infatti anche il semplice uso reiterato nel tempo e non semplicemente episodico di un segno di fatto ha il potere di far acquisire dei diritti di esclusiva. Quindi anche chi faccia uso di un marchio in modo continuativo in una determinata area geografica, può vantare dei diritti sul segno, ma ovviamente la tutela che l’ordinamento riconosce al marchio registrato è ben diversa da quella che si associa al cosiddetto marchio di fatto. Vediamo quindi quali sono le potenzialità connesse al marchio di fatto e quali sono gli oneri per il titolare.

Diritti di proprietà titolati e non titolati: che significa?

La distinzione in ambito di proprietà industriale è semplice da spiegare. I diritti titolati in materia di marchi sono quelli che si costituiscono tramite la procedura di registrazione.

Quindi un’attività di carattere amministrativo fa costituire in capo al titolare del marchio un diritto di proprietà ad uso esclusivo. I diritti non titolati, quali sono appunto quelli inerenti ai marchi di fatto, invece sorgono in virtù di determinati presupposti che la legge ha ben individuato.

Per dirla con una pronuncia degli Ermellini, la tutela del marchio di fatto si ha “per effetto della notorietà presso il pubblico, pertanto presuppone una utilizzazione effettiva, con la conseguenza che la tutela non è esperibile in rapporto a segni distintivi di un’attività d’impresa mai esercitata dal preteso titolare”

[1].

Da qui si evince una prima conseguenza fondamentale, vale a dire che nel caso del marchio di fatto, il titolare ha l’onere di fare uso del segno distintivo, se vuole avere riconosciuta una sua proprietà sul segno. Del resto, non essendoci alcuna documentazione a sostegno della titolarità del segno, l’unica prova in un eventuale giudizio che il presunto titolare del marchio potrebbe produrre è quella concernente un uso effettivo del segno per determinati prodotti o servizi. In termini molto sintetici, si potrebbe dire che l’uso del segno vale a costituire un diritto.

La tutela ridotta riconosciuta al marchio di fatto

Chiarito che anche chi non registra il marchio che di fatto però usa, è titolare di diritti degni di esclusiva, passiamo ora a considerare qual è la diversità che intercorre con il titolare del marchio registrato.

La registrazione del segno attribuisce al titolare, a partire già dal momento del deposito, un diritto di esclusiva nell’intero territorio nel quale il marchio è stato registrato. Vale a dire che in caso di

marchio nazionale, l’esclusiva che può vantare il titolare si estenderà sull’intero territorio italiano, nel caso in cui la registrazione sia stata effettuata presso l’Uibm (Ufficio italiano brevetti e marchi), mentre se la registrazione è stata fatta presso l’Euipo (European union intellectual property), la tutela si estenderà all’interno dell’intera Unione europea.

Una specificazione che potrebbe sembrare banale, ma che in realtà è funzionale ai fini della diversa portata del marchio di fatto; quest’ultimo infatti attribuisce al titolare una esclusiva territorialmente limitata. Che significa questo in soldoni? Semplicemente che se Tizio ha usato il suo marchio di fatto con continuità, ad esempio nelle regioni del lombardo-veneto, potrà vantare diritti di esclusiva solo all’interno di quelle due realtà geografiche e solo a partire dagli anni in cui ha iniziato a far uso del segno. Una condizione questa che produrrà delle conseguenze anche in capo ad altri soggetti, come si vedrà di seguito.

Oneri che gravano sul titolare del marchio di fatto

Arrivati a questo punto, quindi si è scoperto che è possibile avere riconosciuta una tutela da parte dell’ordinamento anche senza registrare il marchio presso le autorità competenti, ben consapevoli però della ridotta estensione territoriale.

Il titolare del marchio di fatto ha specifici oneri e dovrà:

  • fare un uso effettivo del segno;
  • usare il segno più diffusamente possibile;
  • fare uso del segno con carattere di continuità e non semplicemente in modo episodico;
  • mantenere le cosiddette “prove d’uso”.

Come si sarà notato, la parolina chiave attorno alla quale ruotano i vari oneri del titolare è l’“uso”. Passiamo ora in rassegna le caratteristiche specifiche associate all’uso del marchio di fatto. Per uso costante e diffuso si intende che il segno dovrà essere usato senza grossi intervalli di tempo, per cui se il titolare di una ditta individuale dovesse produrre o anche commercializzare i prodotti contraddistinti da un marchio una tantum, questo uso non servirebbe a costituire in capo al titolare un’esclusiva.

Diverso il caso della ditta che invece facesse uso costante del marchio e per di più in maniera diffusa, vale a dire in modo da associare l’uso del segno sui prodotti o servizi a quello su carta stampata, brochure, insegne, volantini, gadget, pubblicità, vetrine on-line. Una condotta, quest’ultima, che se è consigliata a tutti i proprietari di marchi, nel caso dei titolari di marchio di fatto è imprescindibile per poter poi rivendicare una esclusiva, soprattutto in caso di eventuali controversie con chi entri successivamente nel mercato nella stessa area di prodotti e servizi con un marchio identico.

Da ultimo poi, al titolare del marchio di fatto è vivamente consigliato di mantenere più prove possibili a testimonianza dell’uso effettivo del segno, che tradotto in termini pratici significherà tenersi copia a pagina intera di giornali e riviste su cui sia comparsa la pubblicità dei marchi di fatto. Perché è opportuna la pagina intera? Perché in caso di controversia giudiziale, sarai in grado di dimostrare al giudice a partire da quale data e con quale periodicità hai cominciato a

fare uso del segno.

Quali sono le conseguenze del preuso del marchio di fatto?

La legge è chiara sul punto [2] e cioè non solo specifica i diritti che discendono in capo al titolare del marchio di fatto, ma si preoccupa anche di gettare uno sguardo oltre. Vale a dire cioè che il legislatore si esprime anche sulle conseguenze che la preesistenza del marchio di fatto produce verso i potenziali concorrenti che invece intendano registrare il medesimo marchio di fatto già usato da altri a partire da epoche precedenti.

Va da sé, ma forse è sempre bene rammentare che la tutela prevista dai codici di legge si rivolge essenzialmente ai marchi registrati. Per cui le previsioni relative ai marchi di fatto sono state inserite a fini di esaustività e anche per fornire delle dritte laddove due titolari di marchio identico (di cui: uno di fatto e l’altro registrato) dovessero entrare in conflitto.

Laddove, ad esempio, Tizio avesse fatto uso di un segno senza registrarlo e questo segno non avesse il carattere della notorietà

, o avesse una notorietà puramente circoscritta ad un dato ambito locale, tutto ciò non potrebbe impedire la successiva registrazione da parte di Caio del medesimo marchio.

Un esempio chiarirà meglio il tutto: supponiamo che Tizio faccia uso sin dal 2017 del marchio di fatto “Arpa” per contraddistinguere articoli di pelletteria prodotti e commercializzati esclusivamente all’interno della regione Liguria. Potrà tale preesistenza del marchio di Tizio togliere il carattere della novità al medesimo marchio “Arpa” che magari nel 2019 Caio intendesse registrare sempre per articoli di pelletteria? La formulazione della legge anzidetta, consente di affermare che la condotta di Caio è nei termini di legge, laddove il marchio di fatto non sia però notorio o con una notorietà locale circoscritta.

Cosa sono i diritti affievoliti?

Arrivati a questo punto della disamina delle varie questioni, una domanda potrebbe sorgere spontanea: se la legge ammette la coesistenza di due marchi identici di cui uno di fatto e l’altro registrato per prodotti e servizi identici, dove sta l’esclusiva in capo al titolare del marchio? In effetti il quesito ha il suo perché. Se infatti la

registrazione del segno, si è detto, serve a garantire l’esclusiva, in questo caso si avrebbe una apparente contraddizione.

In effetti, il preuso di un marchio di fatto comporta delle conseguenze in caso di futura registrazione da parte di altri dello stesso marchio per i medesimi prodotti o servizi.

Il diritto sul marchio registrato successivamente e identico ad un precedente marchio di fatto altrui risulterà “affievolito” in proporzione dell’entità del preuso. In parole più semplici, se il marchio “Arpa” oggetto di preuso in Liguria, venisse successivamente registrato da Caio presso l’U.i.b.m. (Ufficio italiano brevetti marchi), l’esclusiva di quest’ultimo avrebbe una portata ridotta. In effetti è proprio questo il significato del termine “diritto affievolito”, vale a dire più debole.

La debolezza sta nel fatto che il titolare del marchio registrato dovrà sopportare la coesistenza sul mercato del preutente del medesimo marchio di fatto. Una situazione delicata anche dal punto di vista della potenzialità confusoria per il pubblico che necessiterà di specifici accordi.

Accordi di coesistenza: cosa sono e a cosa servono?

Tutto ciò premesso, al fine di salvaguardare il pubblico dei consumatori che potrebbe essere indotto in errore davanti al medesimo marchio usato da distinti titolari per prodotti o servizi identici o affini, è buona regola addivenire alla stipula di accordi cosiddetti di coesistenza; vale a dire accordi scritti dove i due titolari fissano le regole delle loro future pratiche commerciali.

Al di là delle specifiche prescrizioni che ciascuna parte sarà libera d’inserire nell’accordo, il punto nodale sarà proprio quello che fissa i limiti territoriali delle due esclusive. Per tornare all’esempio fatto sopra, il preutente Tizio avrà il diritto di esclusiva solo in territorio ligure, mentre Caio in quanto titolare del marchio registrato, avrà l’esclusiva sulla restante parte del territorio nazionale.

Le esclusive saranno relative e circoscritte all’interno di diversi ambiti territoriali. Una situazione quindi tollerata dall’ordinamento, ma che si basa sostanzialmente su una sorta di compromesso.

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