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1. La fattispecie

Con l’ordinanza del 14 settembre 2016 (Causa C-534/15), la Corte di Giustizia europea si è espressa sull’applicabilità ai fideiussori delle norme di cui alla direttiva UE 93/13/CEE del 5 aprile 1993 in materia di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

Il caso è il seguente.

Tra il 2005 ed il 2008 una banca, in qualità di mutuante, ed una società commerciale (che chiameremo, d’ora in avanti, per semplicità, società “Alfa”) concludevano tre contratti di finanziamento.

L’amministratore e socio unico di Alfa (d’ora in avanti, per semplicità, il “Sig. Tizio”) e sua moglie (d’ora in avanti, la “Sig.ra Caia”), a garanzia delle obbligazioni sorte da tali contratti, concedevano un’ipoteca in favore della banca che aveva erogato i finanziamenti ad Alfa.

Nel 2009, la banca stipulava rispettivamente con Alfa, e con un’altra società, collegata a quest’ultima (che chiameremo, sempre per semplicità, società “Beta”) tre contratti di credito aventi ad oggetto il rifinanziamento e la rateizzazione dei tre contratti di mutuo precedentemente conclusi tra la banca finanziatrice e la società Alfa, beneficiaria dei mutui originari.

Contemporaneamente, Alfa, mediante una operazione di delegazione, assegnava alla banca, quale nuova debitrice delle obbligazioni di rimborso degli originari finanziamenti, la società Beta, che quindi subentrava definitivamente ad Alfa nei rapporti di mutuo grazie al consenso della banca finanziatrice.

2. Il giudizio di rinvio ed i quesiti sottoposti alla Corte di Giustizia

Il Sig. Tizio e la Sig.ra Caia, in qualità di garanti, proponevano ad un Tribunale rumeno un ricorso avverso la banca affinché fosse dichiarata la nullità assoluta di alcune clausole dei contratti di credito del 2009, ritenute abusive in quanto richiedenti il pagamento di commissioni bancarie.

La banca si difendeva affermando che i due coniugi-garanti non potevano eccepire l’abusività delle predette clausole in quanto tale tutela era comunque riservata soltanto a soggetti qualificabili, ai sensi della normativa all’uopo applicabile, come “consumatori”; qualifica, questa, che, secondo la difesa dell’istituto di credito, difettava al Sig. Tizio ed alla Sig.ra Caia.

Il caso veniva così sottoposto dal giudice del rinvio alla Corte di Giustizia, la quale è stata chiamata a rispondere ai seguenti quesiti:

  1. anzitutto, possono, nel caso di specie, i coniugi-fideiussori che hanno garantito l’adempimento di obbligazioni contenute in contratti di finanziamento stipulati da una società commerciale essere qualificati come “consumatori” ai sensi della direttiva 93/13/CEE (art. 2, lett. b)), anche quando uno di questi era amministratore della società originariamente beneficiaria del mutuo, poi “ceduto” ad una società terza (i.e. Beta); ed ancora,
  2. possono essere ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1. par. 1 della medesima direttiva Ue soltanto i contratti stipulati fra operatori commerciali e consumatori aventi ad oggetto la vendita di beni e servizi oppure tale normativa è estendibile anche i contratti accessori, come quelli di garanzia.

I quesiti si inquadrano nel seguente sistema normativo. Il decimo considerando della direttiva 93/13/CEE prevede che, al fine di realizzare una più efficace protezione del consumatore, occorre adottare regole uniformi in merito alle clausole abusive applicabili a qualsiasi contratto tra un professionista ed un consumatore. Inoltre, mentre l’art. 1, par. 1 della direttiva prevede il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in tema di clausole abusive, l’art. 2 si preoccupa di definire le nozioni di consumatore e professionista nei seguenti termini:

  1. “consumatore” è qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;
  2. “professionista” è invece qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata.

Infine l’art. 3, par. 1 della direttiva stabilisce che “una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto”.

3. La decisione della Corte di Giustizia europea

Il caso di specie viene risolto confermando l’orientamento espresso nella recente ordinanza della Corte di Giustizia del 19 novembre 2015, la quale si è pronunciata anch’essa sul tema dell’applicabilità alla fideiussione delle leggi sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori (v. l’ordinanza del 19 novembre 2015, causa C-74/15, Tarcău, EU:C:2015:772)[1].

La Corte ha anzitutto chiarito come sia del tutto irrilevante l’oggetto del contratto ai fini dell’applicabilità della tutela del consumatore al garante-fideiussore, negando che la nozione di “consumatore” o di “professionista” potesse essere assegnata soltanto sulla base del rapporto di accessorietà con il contratto “garantito”.

Pertanto, dice la Corte, è con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell’ambito della loro attività professionale, che la direttiva 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica.

Tale criterio corrisponde all’idea sulla quale si basa il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il livello di informazione.

La suddetta situazione di inferiorità può ben rintracciarsi, secondo la Corte, anche nell’ipotesi di un contratto di garanzia, stipulato tra una banca ed alcuni garanti-persone fisiche. Ciò che rileva è l’accertamento, nel merito, della qualità in cui i fideiussori hanno agito stipulando la garanzia personale.

In altri termini, la Corte di Giustizia europea ha precisato che la nozione di consumatore, ai sensi dell’art. 2, lett. b) della direttiva 93/13, ha un carattere oggettivo. Essa va determinata alla luce di un criterio funzionale consistente nel valutare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell’ambito di attività estranee alla professione.

4. Il definitivo superamento delle tesi “restrittive”

La sentenza commentata, riproponendo la posizione espressa da una precedente pronuncia in caso analogo[2], sembra aver definitivamente aperto la strada all’estensione al garante-fideiussore delle tutele consumeristiche, seppur condizionandola all’accertamento della “veste” assunta dal garante al momento della stipula della garanzia; valutazione, questa, che può essere effettuata soltanto nel giudizio di merito.

La pronuncia segna una cesura netta rispetto agli orientamenti della Corte Ue e della nostra giurisprudenza di legittimità.

Per quanto riguarda la giurisprudenza comunitaria merita di essere ricordata la sentenza Berliner Kindl Brauerei[3], nella quale si discuteva circa la possibilità di applicare la direttiva 102/87/CEE in materia di credito al consumo all’ipotesi di un garante che agisce al di fuori dello svolgimento di attività professionale. La Corte, in quell’occasione, si era espressa in maniera negativa, in ragione del dato letterale della norma invocata nonché della ratio stessa della normativa europea, la quale, a dire dei Giudici, avrebbe precluso l’applicabilità della tutela al contratto di fideiussione.

Un altro precedente si trova nella sentenza Dietzinger[4], nella quale la Corte si è posta il problema dell’applicabilità della direttiva 577/85/CEE, in tema di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, ad un contratto di fideiussione concluso in seguito ad una vendita a domicilio, con preciso riguardo al c.d. jus poenitendi. Anche in questo caso la Corte ha fornito una risposta negativa perché il credito garantito dalla fideiussione era stato richiesto in correlazione all’esercizio di un’attività commerciale.

Seppur con toni ed argomenti diversi, anche la nostra giurisprudenza di legittimità si è espressa in maniera negativa sulle prospettive di tutela del fideiussore-consumatore, negando, in buona sostanza, che un fideiussore-persona fisica che agisca al di fuori dello svolgimento di una qualsiasi attività professionale possa essere considerato giuridicamente come un consumatore e possa beneficiare della relativa disciplina.

Tale orientamento propugna la tesi del c.d. professionista “di riflesso”, secondo cui il fideiussore assume la veste di professionista in ragione della posizione che viene a rivestire il debitore principale nel rapporto garantito[5]. In altri termini, la suddetta tesi si fonda sulla regola dell’accessorietà del rapporto di garanzia, di recente (giustamente) criticata da una parte della dottrina[6] e messa in dubbio anche da una recente giurisprudenza dell’Arbitro Bancario e Finanziario[7].

Con la sentenza in commento, invece, la Corte Ue sembra confermare le aperture già manifestate in precedenza, marcando così in maniera netta le differenze con le tesi “restrittive” della giurisprudenza di casa nostra. Ciò che contraddistingue la posizione della Corte di Giustizia è, come detto, l’affermazione dell’irrilevanza dell’oggetto del contratto di garanzia ai fini della tutela consumeristica, posizione che non sembra rinvenirsi nemmeno nelle decisioni, seppur maggiormente “aperte”, dell’Abf. Del resto, come è stato sottolineato da taluni commentatori[8], in un recente lodo, il Collegio Arbitrale sembra ancora utilizzare il metro della natura professionale o meno del debitore principale per assegnare la tutela consumeristica al fideiussore.

La differenza sta proprio in questo; mentre in Italia, salvo recentissime eccezioni in tema di accesso del debitore civile alla procedura di sovraindebitamento[9], si continua a derivare l’applicabilità della normativa sulle clausole abusive nei contratti di garanzia alla presenza o meno di un nesso di accessorietà con il rapporto garantito, nella giurisprudenza comunitaria manca il riferimento all’accessorietà e si assiste ad un rovesciamento di prospettiva, maggiormente incline a valorizzare l’effettivo squilibrio informativo riscontrabile, di volta in volta, nel contratto di garanzia.

Nel nostro caso, poi, merita di essere evidenziato un ulteriore profilo, già emerso nell’ordinanza del 19 novembre 2015 della Corte Ue. Secondo la Corte di Giustizia europea, infatti, non ogni fideiussore privato può accedere alla tutela consumeristica, ma soltanto un fideiussore privo di qualsiasi collegamento di natura funzionale con il debitore-professionista garantito, ossia un fideiussore che non nutre alcun interesse patrimoniale alla prestazione della garanzia[10].

 


[1] Tale precedente giurisprudenziale – che, per ironia della sorte, è anch’esso originato in Romania – riguardava una fideiussione rilasciata da due coniugi a favore di una banca a garanzia di un mutuo concesso al figlio dei fideiussori, rappresentante e amministratore unico di una società. La fideiussione era stata accompagnata da un’ipoteca immobiliare per garantire un aumento della linea di credito concessa dalla stessa banca alla società di cui il figlio dei fideiussori era amministratore. Le nuove garanzie furono aggiunte al mutuo originario intercorso tra la banca e la società, ove venivano riprese le clausole principali del primo contratto. Anche in questo caso, i garanti sostennero che le ragioni del loro impegno fossero da rintracciarsi, esclusivamente, in scopi extra-professionali (nella specie, consistenti in un mero supporto genitoriale), tale per cui essi avrebbero dovuto beneficiare della tutela consumeristica riconosciutagli dalla normativa comunitaria.

[2] V. l’ordinanza cit. del 19 novembre 2015, causa C-74/15, Tarcău, EU:C:2015:772.

[3] V. sent. Corte di Giustizia europea, 23 marzo 2000, causa C-208/98, Berliner Kindl Brauerei c. Siepert, in Foro it., 2000, IV, 201 ss., con nota di Palmieri.

[4] V. Corte di Giustizia europea, 17 marzo 1998, causa C-45/96, Bayerische Hypotheken Wech Selbank AG c. Dietzinger, in Foro it., 1998, IV, 129 ss.

[5] In giurisprudenza si vedano, ex multis, Cass. 11 gennaio 2001, n. 314; Cass., 6 ottobre 2010, n. 19484, nonché Cass. 29 novembre 2011, n. 25212.

[6] Sul punto, v. Dolmetta, Il fideiussore può anche essere consumatore, Gennaio 2014, in dirittobancario.it.

[7] Da ultimo, Abf Roma n. 4109/2013.

[8] Ancora, v. Dolmetta, Il fideiussore, cit., in nota 6.

[9] Si tratta di Cass., 1 febbraio 2016, n. 1869, in Giur. It., 2016, 817 ss., con nota di Capoccetti, La nozione di “consumatore” nella disciplina della crisi da sovraindebitamento. La pronuncia della Cassazione pare meritevole di una segnalazione, ai fini che qui interessano, per la rilevanza assegnata nella definizione di consumatore a quelle “esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale”.

[10] Ex multis, da ultimo, si vedano, i contributi dottrinali di Vizzoni, La posizione giuridica del garante consumatore: dalle novità europee alle recentissime aperture interne, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1233; Palma, Contratti del consumatore – “Autonomia processuale ed effettività della tutela del consumatore”, in Nuova Giur. Civ., 2016, 9, 1143.

 

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