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Con l’ordinanza in oggetto, la Corte di Cassazione, accogliendo i primi due motivi di ricorso e dichiarando assorbito il terzo, enuncia alcuni princìpi di sicuro interesse per il contenzioso afferente i rapporti bancari.

In particolare, secondo i giudici di legittimità, “l’indicazione, in contratto, di un tasso annuo effettivo dell’interesse creditore corrispondente a quello nominale (e cioè di un tasso annuo dell’interesse capitalizzato coincidente con quello non capitalizzato) rende per un verso priva di contenuto la clausola anatocistica riferita agli interessi attivi ― giacché sconfessa, nei fatti, che detti interessi siano soggetti a capitalizzazione ― e non soddisfa, per altro verso, quanto esige il cit. art. 6. A tale ultimo proposito occorre infatti considerare che la previsione di un tasso di interesse effettivo corrispondente a quello nominale equivale alla mancata indicazione del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione: anche ad ammettere che le parti abbiano realmente voluto quest’ultima (in una qualche misura numericamente apprezzabile), il contratto mancante della detta indicazione non soddisferebbe una delle condizioni cui è subordinata, secondo quanto si è detto, la pattuizione dell’anatocismo.”[1]

Inoltre, nel respingere l’affermazione della banca secondo cui non vi sarebbe alcuna norma che prevede, in seno al contratto bancario, l’indicazione del tasso annuo effettivo (TAE)  a pena di nullità e che, in ogni caso, sarebbe sufficiente l’indicazione del TAEG ai fini del rispetto dei requisiti di validità del contratto, la S.C. afferma condivisibilmente che “Una volta chiarito che l’indicazione di un tasso creditore (un tasso annuo effettivo) che non evidenzi l’incremento determinato dalla capitalizzazione non soddisfa quest’ultima condizione, è agevole comprendere che in una siffatta evenienza non risulta integrato uno dei presupposti cui l’art. 1 delib. CICR, in attuazione dell’art. 120, comma 2, t.u.b., subordina la pratica dell’anatocismo. In tal senso, non appare concludente il parallelismo operato dalla stessa banca con altri elementi, quali l’ISC (indicatore sintetico di costo) o TAEG (tasso effettivo globale) (…) il tasso annuo effettivo risultante dalla capitalizzazione degli interessi invece rappresenta, sia per gli interessi a debito del cliente che per quelli a credito, un elemento di cui è necessaria l’indicazione, pena la non attuabilità dell’anatocismo.”

Il principio pare, a parere di chi scrive, estensibile anche ai contratti di mutuo in quanto soggetti alla disciplina dettata dall’art. 6 della delibera CICR 9.2.00, con il conseguente obbligo, per l’istituto mutuante, di indicare in contratto il TAE in ragione del rimborso infrannuale del finanziamento e del regime di capitalizzazione applicato.

In accoglimento del secondo motivo, poi, gli Ermellini hanno chiarito che la cms deve essere determinata e determinabile e tale requisito, imposto a pena di nullità -rilevabile d’ufficio- ex art. 1346 c.c., non viene soddisfatto allorquando la relativa pattuizione non specifichi se la percentuale della commissione debba applicarsi sulla punta di massimo scoperto trimestrale, sulla media dell’utilizzo o sulla parte di fido non utilizzata.[2]

Nel dichiarare infine assorbito l’ultimo motivo, con il quale la ricorrente lamentava la non corretta applicazione della cd. “teoria del margine” ai fini della verifica della usurarietà del TEG, la Corte afferma che, essendo stata esclusa l’efficacia della clausola relativa alla pattuizione della cms, la questione della sua computabilità ai fini del calcolo del costo del finanziamento, non si pone essendo, il relativo addebito evidentemente illegittimo e quindi da computare per intero ai fini del rispetto del tasso soglia.

 

__________________________________

[1] In termini Cass. n. 4321/22.

[2] V. Cass. n. 19825/22.

 

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