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Sulla scorta del costante orientamento giurisprudenziale in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con la sentenza in commento la Suprema Corte ha ribadito “la rilevanza distrattiva delle condotte dell’amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, la cui congruità non sia fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata e oggettiva valutazione“.

Questa in sintesi la vicenda processuale.

La Corte d’Appello di Trieste rideterminava la pena inflitta con la sentenza di primo grado che aveva condannato per più ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale la Presidente del consiglio di amministrazione – e successivamente amministratrice unica – di una società fallita per aver prelevato ingiustificatamente somme di denaro dalla fallita.

Avverso tale pronuncia l’imputata ricorreva per Cassazione censurando, tra gli altri motivi, la illogicità della motivazione con riferimento ai suddetti prelievi, in quanto i medesimi – essendo stati effettuati, secondo l’assunto difensivo, quando la società non si trovava ancora in fase di insolvenza – non avrebbero dovuto essere qualificati alla stregua di condotte distrattive.

Rispetto a tale profilo, la difesa rilevava, peraltro, come il denaro prelevato fosse stato utilizzato per fini sociali, circostanza che trovava indiretto riscontro nel fatto che i dipendenti e i collaboratori della società avessero percepito regolarmente gli stipendi e che nessun creditore si fosse insinuato al passivo.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso rilevando di non avere la facoltà, quale Giudice di legittimità, di effettuare una valutazione di merito sugli elementi di fatto della vicenda nonché ritenendo non illogica la motivazione alla base del provvedimento impugnato, dal momento che la Corte d’Appello aveva collocato, sulla base delle risultanze istruttorie, il prelievo ingiustificato di ingenti somme dalle casse sociali da parte dell’imputata in un periodo in cui la società era già in deficit.

I Giudici di legittimità hanno, inoltre, precisato come, in tema di pagamenti agli amministratori e ai soci della società fallita, secondo costante orientamento giurisprudenziale, integri il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi somme a titolo di compenso in assenza di previa delibera assembleare, occorrendo, invece, distinguere le diverse ipotesi di pagamenti effettuati in favore di soci per sussumere di volta in volta dette condotte nella corretta ipotesi di bancarotta.

Di fatti, se il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale “integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società” (Cass. pen., Sez. V, 21/06/2021, n. 32930), il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra il diverso reato di bancarotta preferenziale, in quanto in tal caso viene restituito, con preferenza, un credito esigibile ai soci, quali creditori della società.

Ebbene, alla luce delle considerazioni sopra edotte, con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha confermato la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 223 L.F. in relazione all’art. 216 co. 1 n. 1 L.F. – che punisce l’imprenditore, dichiarato fallito, che “ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti” – in presenza di una condotta di prelievo di somme dalle casse sociali, posta in essere dall’amministratore, non supportata da una specifica delibera assembleare.

*a cura dell’avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Giorgia Conconi (dello Studio Legale Ventimiglia).

 

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