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Che cosa sono, come vengono notificate, come è possibile difendersi, come verifare se sono state cancellate: tra teoria e quesiti pratici, tutto ciò che devi sapere sulle cartelle esattoriali, alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali.

1. Cosa sono le cartelle esattoriali

La cartella esattoriale, definita – nel proprio sito istituzionale – dalla stessa Agenzia delle Entrate come “cartella di pagamento1, rappresenta un atto amministrativo caratterizzata da evidenti finalità di riscossione tramite il ruolo.

Tale incarico viene affidato al “concessionario2, il quale avrà l’onere di notificare (art. 25, D.P.R. n° 602/73) il provvedimento esattivo ed, eventualmente, ad iniziare azioni esecutive o cautelari del credito ai danni del cittadino contribuente.

Proprio su questo aspetto, ossia in tema di efficacia del menzionato atto esattoriale, quest’ultimo costituisce un vero e proprio c.d. titolo esecutivo (art. 474 c.p.c.), al pari delle sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali (decreti ed ordinanze).

Dunque tale principio di esecutività del titolo legittima il concessionario a promuovere un pignoramento ai danni del destinatario non prima di 60 giorni dalla notifica della citata cartella esattoriale (art. 50, comma 1, D.P.R. n° 602/733), salvo determinati casi previsti dalla legge, ad esempio:

a) pagamento della somma per l’intero;

b) presentazione dell’istanza di rateizzo presso l’Ente della Riscossione4;

c) sospensione amministrativa5;

d) sospensione giudiziale6;

e) impugnazione della cartella esattoriale tramite la presentazione del reclamo7.

Come anticipato, la cartella esattoriale non possiede una “forza” autonoma, bensì la propria efficacia è ricollegata all’esistenza del ruolo, il quale viene così delineato nel citato D.P.R. n° 602/73, lett. b): “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario”.

Non solo: nel successivo art. 12 (“formazione e contenuti dei ruoli”), il Legislatore specifica gli elementi costitutivi del ruolo, ossia il documento che viene predisposto internamente dall’ufficio creditore (ad esempio l’Agenzia delle Entrate, l’Inps8), i quali confluiranno nel contenuto essenziale della cartella esattoriale, ossia:

  • le somme dovute;

  • gli estremi identificativi del debitore (“codice fiscale del contribuente” o partita Iva, evidentemente);

  • la data in cui il ruolo diviene esecutivo”, come specificato all’ultimo capoverso dell’art. 12 cit. (“con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”);

  • il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”.

Esaminando preliminarmente quest’ultimo tassello, del tutto fondamentale per la validità della successiva cartella esattoriale – come da plurimo insegnamento giurisprudenziale sul punto9 – la motivazione rappresenta la colonna portante anche del ruolo (qualificato come c.d. atto interno) e, di conseguenza, detta prerogativa dovrà trovare ampia cittadinanza nella “successiva” cartella esattiva notificata al contribuente, al fine di garantire a quest’ultimo – in primis – l’esercizio del proprio diritto di difesa (art. 24 Cost.).

2. I termini decadenziali per notificare la cartella esattoriale tributaria (art. 25, D.P.R n° 602/73)

Dopo la formazione del ruolo, redatto dall’Ufficio (creditore) e trasmesso all’Ente della Riscossione per i relativi adempimenti, quest’ultimo, in qualità di concessionario, ha l’onere di svolgere il “primario” compito, ossia quello di far approdare, all’interno della sfera giuridica del contribuente, la volontà dell’Erario di pretendere una determinata somma; tale manifestazione di volontà coercitiva è cristallizzata all’interno – appunto – della cartella esattoriale.

La tempistica per notificare le cartelle esattoriali tributarie è regolamentata dall’art. 25, D.P.R. n° 602/73, il quale prevede che “il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre” sulla scorta delle seguenti ipotesi:

  • del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36-bis10 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché’ del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”;

  • b) “del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36-ter del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 197311”;

  • c) “del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio12”;

  • c-bis) “del terzo anno successivo a quello di scadenza dell’ultima rata del piano di rateazione per le somme dovute a seguito degli inadempimenti di cui all’articolo 15-ter13”.

La norma in commento, come risulta dalla semantica adoperata dal Legislatore, prevede che la notifica debba avvenire in precisi archi temporali, ai fini decadenziali, pena l’impossibilità per l’Erario di pretendere gli importi ai danni del cittadino, il quale dinanzi ad una tardiva notifica della cartella esattoriale ha comunque l’onere di eccepire tale questione all’interno del proprio ricorso.

A maggior chiarimento circa l’ambito applicativo dell’art. 25 citato, il D. Lgs. n° 46/99, l’art. 23 ha esteso l’operatività della norma “decadenziale” anche all’Iva, dato che il citato D.P.R. n° 602/73 ha ad oggetto le imposte sui redditi.

Il mentovato art. 23 prevede difatti che “i termini di decadenza di cui all’articolo 25, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applicano anche all’imposta sul valore aggiunto”.

In buona sostanza, il D. Lgs. 46/99, entrato in vigore dal 01.07.1999, ha introdotto il “riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo”, dunque i crediti esattoriali tributari aventi ad oggetto imposte sui redditi ed Iva devono essere notificati – attraverso lo strumento della cartella esattoriale – in determinati periodi, pena la decadenza.

Proprio sulla questione circa il rispetto di tali termini, la natura degli stessi è tassativa, dunque l’omesso rispetto di ciò determina la nullità del provvedimento14.

La giurisprudenza della Suprema Corte è concorde sul fatto che i termini indicati nell’art. 25 del D.P.R. n° 602/73 sono da considerarsi perentori, in ragione della necessità di non lasciare il contribuente esposto “indefinitivamente” all’azione esecutiva del Fisco (cfr., tra le altre, Cass. n° 10/04, Cass., n° 16435/09).

2.1 Il termine decadenziale di cui al citato art. 25 si applica anche agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro (Cass. n° 6330/08, Cass. n° 6617/2011, Cass. n° 8380/13, Cass. n° 9597/16, e, da ultima, Cass. n° 1527/17)

La giurisprudenza di legittimità con un costante orientamento sul punto, ha osservato che il termine decadenziale di cui al menzionato art. 25 deve trovare legittima applicazione anche per i provvedimenti amministrativi derivanti da liquidazione dell’imposta di registro, anche se – come già discusso in precedenza – tali atti amministrativi non possono essere qualificati all’interno della categoria degli accertamenti delle imposte.

Su tale questione, nella pronuncia n° 1527/17 la Suprema Corte ha affermato che il termine decadenziale di cui al citato art. 25 è “applicabile anche ai tributi indiretti” (compresa dunque l’imposta di registro).

Di converso, non trova corretta operatività la norma (art. 25), unicamente “a seguito di sentenza inoppugnabile resa a definizione del giudizio di opposizione all’avviso di accertamento”.

Ebbene, così motivano i Giudici di Vertice: “va dunque riaffermato l’orientamento di legittimità secondo cui: “in tema di imposta di registro, qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza [tributaria] passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo ad oggetto un credito definitivamente accertato a seguito di contenzioso e, come tale, avente titolo nella sentenza, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78; non trovando applicazione, nell’ipotesi, né il termine triennale di decadenza di cui al medesimo D.P.R., art. 76, che concerne, invece, l’esercizio del potere di imposizione, né il termine annuale di decadenza sancito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, lett. c),15 (rilevante “pro tempore”), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto impositivo che li contiene” (Cass. n. 8380/13; in termini, più di recente, Cass. 9597/16).

Vale, in particolare, anche nella fattispecie qui in esame l’osservazione posta a base di tale orientamento giurisprudenziale, secondo cui – in tal caso – il titolo della pretesa tributaria non è più l’atto impositivo, ma la sentenza che ne ha confermato la legittimità pronunciando sul rapporto; sicché è la sentenza, non l’atto, che viene ad avere successiva esecuzione”.

La Suprema Corte ha quindi confermato il consolidato orientamento secondo cui il termine decadenziale, la cui violazione determina la nullità della cartella esattoriale, si applica anche alle “imposte diverse da quelle sul reddito” (Cass. 6617/1116), compresa dunque l’imposta di registro (Cass. n° 6330/0817).

Proprio sul punto, è del tutto condivisibile il principio espresso dalla S.C., in materia di operatività del termine dell’art. 25 anche all’imposta di registro, in quanto “una diversa interpretazione verrebbe a prefigurare problemi di ordine costituzionale della norma nella parte in cui non consentisse l’applicazione del termine decadenziale ivi previsto alle imposte diverse da quelle sul reddito”.

In breve, una lettura distorta dell’art. 25 presterebbe il fianco ad una grave violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto genererebbe una disparità di trattamento tra contribuenti di “serie a” (destinatari di avvisi di accertamento in tema di Iva e imposte sul reddito) e di “serie b” (destinatari di avvisi da imposta di registro).

In effetti, su questo aspetto, i giudici di legittimità hanno suggerito un’applicazione generalizzata a tutti i tipi di atto dell’Agenzia delle Entrate.

3. La motivazione della cartella esattoriale

La cartella esattoriale, essendo a pieno titolo un atto amministrativo, è subordinata alle norme di settore, le quali impongono – in primo luogo – la sussistenza della motivazione della stessa, nonché la sua esplicita chiarezza (art. 7, Legge n° 212/2000, art. 3, Legge n° 241/90, come vedremo nel proseguo della narrativa).

Ebbene: analizzando nello specifico l’obbligo di motivazione anche per le cartelle esattoriali (al pari dunque di qualsivoglia atto amministrativo), il citato art. 7 dello Statuto dei Diritti del Contribuente (Legge n° 212/2000) – al comma 1 – stabilisce che “gli atti dell’amministrazionedevono essere “motivati”, “indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione” dell’Erario.

Non solo: “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Come sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n° 1825/2010, visto l’art. 7, comma 1, della l. 212/2000, non è sufficiente che il documento richiamato all’interno della motivazione sia conoscibile dal cittadino, ma è necessario che gli atti a cui si rinvia “siano allegati o comunicati al contribuente”.

Innanzitutto, è necessario precisare sin da subito che tali regole sono applicabili anche agli Enti della Riscossione, alla luce del disposto dell’art. 17 (Legge n° 212/2000), rubricato “concessionari della riscossione”, il quale dispone che i principi dello Statuto in parola trovano legittima operatività anche nei confronti dei soggetti “che rivestono la qualifica di concessionari” e “riscossione di tributi di qualunque natura18.

L’adeguata motivazione dell’atto esattivo deve essere intesa, dunque, in un rapporto con il diritto di replica del contribuente (art. 24 Cost.), il quale deve essere posto nella condizione di esercitare pienamente il proprio diritto difesa (si vedano in merito Cass. n° 18306/2004, Cass. n° 10209/2010, Cass. n° 2907/2010).

Il difetto di motivazione rende pertanto nullo il provvedimento esattoriale notificato al contribuente per violazione del diritto di difesa, a mente degli artt. 6 – 7 della Legge n° 212/2000 in tema di “diritto ad una buona amministrazione”, come anche previsto dall’art. 41, comma 2, punto 3, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Proprio sul punto, come richiamato in precedenza, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n° 31270/18 ha espresso il granitico principio secondo il quale “la cartella esattoriale, ove non preceduta da un avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, e recepiti, per la materia tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7. (Cass. n. 9799 del 19/04/2017n. 26330 del 16/12/2009)”.

Nelle pregresse decisioni, sempre la Suprema Corte aveva evidenziato (vedi SS. UU. n° 11722/2010) che “la cartella esattoriale che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione. Tale motivazione può essere assolta “per relationem” ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione […] quando di esso il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione”.

A tal proposito si veda anche l’ordinanza n° 23227/17 della Corte di Cassazione19.

Alla luce del pensiero indicato dai Giudici di Vertice – in materia di c.d. chiarezza dei provvedimenti emanati dalla Pubblica Amministrazione (art. 7, Legge n° 212/2000 e art. 3, comma 1, Legge n° 241/90) – è annullabile la cartella esattoriale, laddove quest’ultima sia carente “di qualunque motivazione o spiegazione20.

In altri termini, il destinatario della cartella esattoriale deve avere contezza, dalla semplice lettura del provvedimento notificato, circa la causa giuridica della richiesta da parte della P.A.

In altre parole, la cartella di pagamento – in quanto primo atto impositivo ed esattivo – deve essere motivata, ossia deve contenere i presupposti di fatto e di diritto da cui deriva la pretesa.

3.1 Carenza di motivazione della cartella di pagamento illegittima per omessa specifica del calcolo analitico degli interessi moratori, art. 30, D.P.R. n° 602/73 (Cass. n° 1311/18, Cass., n° 10481/18)

Sempre in materia di motivazione, la già citata decisione della Suprema Corte n° 31270/18 aveva espresso un ulteriore principio a sostegno della difesa del contribuente.

Ebbene, i giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato che la cartella impugnata è affetta da carenza di motivazione, laddove non sia specificato il calcolo analitico degli interessi moratori.

Difatti, all’interno del provvedimento impugnato devono sempre essere dettagliati i calcoli degli “interessi di mora” (art. 30, D.P.R. n° 602/73), al fine di comprovare la correttezza, nonché la trasparenza della determinazione di tale voce.

Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione è chiara nell’affermare che è nullo quell’atto della riscossione nel quale venga riportata solamente la cifra globale degli interessi dovuti, senza che siano specificate le modalità seguite per addivenire a tale determinazione, non specificando le varie aliquote applicate, obbligando il contribuente a dover compiere difficili indagini, di certo non di sua competenza, al fine di ricostruire l’operato dell’ufficio. (Cfr. Cass., sent. 21.03.2012, n. 4516; Idem Cass., sent. 26.03.2014, n. 7056).

In tema di quantum collegato agli interessi di mora, la Corte di Cassazione con un granitico orientamento21 ha affermato (vedi anche le recenti pronunce n° 1311/18 e n° 10481/18) che “la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario deve essere motivata […] dal momento che il contribuente deve essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi22.

Nella richiamata decisione n° 31270/18, i giudici di legittimità hanno osservato che, la cartella esattoriale è nulla “se reca la sola indicazione […] dell’ammontare degli interessi, senza specificazione del tasso applicato e delle somme sui quali essi erano stati calcolati, suddivise tra imposte dirette, imposte indirette, addizionali regionali ed Irap.

Risulta pertanto corretta l’affermazione del giudice a quo secondo cui la genericità dì tali indicazioni non consentiva alla società di verificare la fondatezza, sia nell’an che nel quantum, della pretesa impositiva dedotta nella cartella e dunque di esercitare pienamente, rispetto ad essa, il proprio diritto di difesa”.

Difatti, se è ammessa la motivazione degli atti della riscossione per relationem rispetto agli atti impositivi presupposti, nei quali sono specificate le modalità di determinazione del tributo oggetto della pretesa, di certo non si potrà dire lo stesso per quanto concerne il calcolo degli interessi, il cui ammontare si modifica giorno dopo giorno ed anno dopo anno.

3.2 Sull’obbligo di motivazione della cartella di pagamento

In sede processuale, uno scenario consueto è che l’Ufficio, dinanzi all’eccezione di carenza di motivazione della cartella esattoriale impugnata (sollevata dal contribuente nel proprio ricorso), nel successivo atto difensivo integri detta carenza illustrando le ragioni della richiesta da parte dell’Erario.

In termini generali, la strategia di replica operata dall’Ufficio costituisce un’integrazione c.d. postuma della motivazione, qualificata come inammissibile dalla giurisprudenza di legittimità.

Sul punto, i giudici della Suprema Corte, a mente di un granitico orientamento, hanno osservato che: “il processo tributario ha natura impugnatoria, sicché l’Amministrazione finanziaria non può modificare” o integrare “in ragione delle contestazioni del contribuente, le motivazioni poste a fondamento dell’atto impositivo” (Cass. n° 28655/18).

In breve, secondo i giudici ermellini, non è consentito all’Ente integrare o modificare la motivazione nel corso del processo tributario, in quanto il richiamato art. 7 della Legge n° 212/2000 impone un’adeguata motivazione ab origine23.

La motivazione di una pretesa impositiva deve essere già autonomamente definita e ben circoscritta già nell’atto notificato al contribuente: sono vietate le estensioni delle motivazioni, con riferimento anche alle cartelle esattoriali, dato che l’art. 17 dello Statuto dei Diritti del Contribuente, come diffusamente illustrato in precedenza, impone il rispetto di dette regole anche agli Enti della Riscossione.

Del resto, conclude la Cassazione, “per giurisprudenza costante di questa Corte, la motivazione delimita, oltre che il petitum, la ragione fondante, di fatto e di diritto, della pretesa impositiva, donde l’impossibilità di una sua sostituzione o integrazione in corso di giudizio” (si veda anche Cass. n° 2382/18).

Il principio espresso dai Giudici ermellini è il seguente: innanzi alla deduzioneper carenza di motivazione non è consentito all’Amministrazione sopperire a tale lacuna con integrazioni in sede processuale”.

4. La notifica della cartella esattoriale; le ipotesi di nullità e giuridica inesistenza della notifica

La rituale e corretta notificazione della cartella di pagamento costituisce il presupposto indefettibile per la legittima adozione di qualsivoglia misura espropriativa e/o cautelare, pertanto, laddove l’esattore abbia omesso di rispettare l’iter notificatorio e comunque non abbia garantito al contribuente l’effettiva conoscenza legale della stessa, la pretesa erariale dovrà considerarsi illegittima, in assenza di un valido titolo legittimante.

Orbene, la cartella di pagamento costituisce l’unico procedimento a cui l’ordinamento riconosce l’idoneità a svolgere la funzione di “veicolo del ruolo”, ovverosia al contempo di titolo esecutivo e di atto di precetto.

*** *** ***

Si rammenta brevemente quanto prescritto dall’ordinamento, precisamente dall’art. 25 D.P.R. n° 602/73, in ragione del quale l’Agente della Riscossione deve procedere alla notificazione della cartella di pagamento entro i termini decadenziali enunciati dal medesimo art. 25, nonchè nel rispetto delle modalità positivizzate dal successivo art. 26 (“notificazione della cartella di pagamento”).

In buona sostanza affinché il Riscossore eserciti, ex positivo iure, il proprio potere di imperio indirizzato alla riscossione coattiva di una pretesa tributaria, sarà necessario che vengano espletate le seguenti imprescindibili incombenze:

  • Formazione del ruolo da parte dell’ufficio impositore e trasmissione dello stesso all’agente della riscossione;

  • Rituale notificazione della cartella di pagamento che trattandosi del veicolo del ruolo, assume la veste di titolo esecutivo e di atto di precetto, nei modi ed entro i termini stabiliti dalla Legge.

Sul ruolo primario della notificazione, si veda il principio di diritto sancito dal Plenum della Suprema Corte di Cassazione, SS. UU. n° 16412/07: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa24”.

In buona sostanza, a mente degli autorevoli considerazioni espressi dalla S.C., si approda alla conclusione che le cartelle esattoriali potranno rappresentare valido titolo esecutivo sia per l’adozione di una misura cautelare (ad esempio l’iscrizione ipotecaria), nonché per l’avvio della successiva fase di espropriazione immobiliare (ex art. 49, D.P.R. n° 602/73), nell’ipotesi laddove tali atti siano stati ritualmente notificati al contribuente, con pedissequa osservanza delle modalità stabilite dalla legge.

Di seguito le ipotesi di vizio (nullità e giuridica inesistenza) della notifica del provvedimento esattivo.

4.1. Cartella esattoriale notificata da soggetti non legittimati: le società di posta privata (Cass. n° 234/18, Cass. n° 10348/18, Cass. n° 8089/18, Cass., n° 6515/18, Cass. n° 13855/18, Cass. n° 10137/19)

In origine, l’art. 4, comma 5, D. Lgs. n° 261/99 aveva riconosciuto a Poste Italiane S.p.a., quale “fornitore del servizio universale” postale, l’affidamento esclusivo con “riserva” in relazione agli “invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie; per procedure amministrative si intendono le procedure riguardanti l’attività della pubblica amministrazione e le gare ad evidenza pubblica”.

Tale monopolio statale è stato mitigato con l’entrata in vigore con il D. Lgs. n° 58/11, il quale ha limitato i servizi in esclusiva a Poste Italiane unicamente per le notifiche di atti giudiziari, nonché per le sanzioni amministrative derivanti da violazione del Codice della Strada; in altri termini la novella ha sottratto dall’affidamento statale le notifiche di atti amministrativi, i quali – dunque – possono rientrare nell’area di competenza anche di società di posta privata (cfr. art. 4, a partire dal 30.04.2011).

In effetti, il successivo art. 5 (sempre del D. Lgs. n° 261/99) prevedeva (come tutt’ora prevede): “l’offerta al pubblico di singoli servizi non riservati, che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale, è soggetta al rilascio di licenza individuale”.

Ebbene, con l’ultimo intervento legislativo, ossia la Legge n° 124/17 (con decorrenza dal 11.09.2017) è stato abrogato definitivamente l’art. 4, dunque vi è stata una parificazione (per la notifica di atti giudiziari, amministrativi e violazione del codice della strada) tra Poste Italiane S.p.a. e le aziende di posta privata.

Tuttavia, è necessario puntualizzare che la corretta notifica degli atti amministrativi (tematica che interessa direttamente questa guida operativa) transita in modo imprescindibile attraverso la concessione della “licenza individuale”, prevista dal già menzionato art. 5.

In termini generali, laddove l’Ente della Riscossione abbia affidato l’incarico della notifica della cartella esattoriale (ad esempio di natura tributaria) ad una società di posta privata, alla luce delle precise differenze in virtù dei citati interventi legislativi, l’iter notificatorio potrebbe essere affetto da vizio di c.d. giuridica inesistenza.

Ad ogni buon conto, sul ruolo essenziale delle licenze, la giurisprudenza di legittimità ha sancito l’irretroattività della normativa citata e, soprattutto, la non applicabilità della stessa: “fino a quando non saranno rilasciate le nuove licenze individuali relative allo svolgimento dei servizi già oggetto di riserva sulla base delle regole da predisporsi da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ai sensi della succitata norma, deve trovare ancora conferma l’orientamento sinora espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte innanzi citato”.

Infine, a conferma di quanto sinora esposto, è doveroso richiamare il granitico orientamento della Corte di Cassazione, n° 234/18, n° 10348/18, n° 8089/18 e n° 13855/1825, le quali ribadiscono il principio dell’inesistenza giuridica della notifica effettuata mediante un “servizio gestito da un licenziatario privato e, come tale, non suscettibile di sanatoria26.

Ad ogni modo, si specifica che la notifica a mezzo di società di posta privata della cartella di pagamento in parola conduce all’inesistenza giuridica, non applicandosi qualsivoglia sanatoria ex art. 156 c.p.c. (principio espresso dalla Corte di Cassazione nelle citate sentenze).

4.2 Mancata identificazione del notificante: il soggetto deve essere un messo comunale o un messo speciale autorizzato dall’Ufficio (art. 60, comma 1, lett. a, D.P.R. n° 600/73 – art. 45, D. Lgs. n° 112/99)

Ulteriore questione da osservare, in tema dei requisiti di cui deve essere munito il soggetto notificante, è quella attinente ai poteri del messo a svolere il compito di notifica.

Da un punto di vista normativo, l’art. 60, comma 1, lettera a) del D.P.R. n° 600/73, stabilisce che “la notificazione degli avvisi è eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall’ufficio”.

Tale aspetto è previsto anche dall’art. 45 D. Lgs. n° 112/9927, al comma 1, il quale statuisce che: “il concessionario, per la notifica delle cartelle di pagamento e degli avvisi contenti l’intimazione ad adempiere, può nominare uno o più messi notificatori”.

4.3 Cartella esattoriale consegna a persona diversa dal destinatario (art. 60, b-bis, D.P.R. n° 600/73 – art. 7, comma 6, L. 890/82): obbligo di prova circa l’invio e la ricezione della lettera informativa (Cass., n° 2868/17, Cass., n° 17235/18, Cass., n° 3732/19)

L’art. 60, comma 1, lettera b-bis) dispone testualmente: “se il consegnatario non è il destinatario dell’atto […] il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”.

Normativa identica è prevista per le notifiche a mezzo posta, disciplinate dall’art. 7, comma 6, L. 890/8228.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha affermato che “è necessario”, ai fini del perfezionamento notificatorio, “l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa, non essendone sufficiente la sola spedizione”, Cass. n° 2868/17.

Ed ancora, sempre la Corte di Cassazione, con la successiva pronuncia n° 17235/18 ha statuito che “nel caso il consegnatario non sia il destinatario dell’atto o dell’avviso il messo […] deve dare notizia dell’avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata, […] sicché è necessario ai fini del suo perfezionamento che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti (ex art. 60, lett. b-bis – art. 7, comma 6 cit.) incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomanda informativa”.

Infine, i Giudici di Vertice hanno “alimentato” l’ormai granitico orientamento sul punto e, per mezzo della successiva sentenza n° 3732/19, hanno dichiarato la nullità di una cartella di pagamento notificata ex art. 60 bbis, in quanto l’Agente della Riscossione “non ha dato atto dell’indefettibile requisito, ai fini della validità della notificazione dell’invio della raccomandata informativa. Non è stata, inoltre, pacificamente, fornita prova dell’invio della raccomandata informativa, né della ricezione della stessa.

Per meglio chiarire in cosa consiste “visivamente” la lettera informativa, si veda il fac-simile

A riguardo, il citato art. 60, al comma 1, stabilisce che il procedimento notificatorio “degli avvisi e degli altri atti” da notificare al contribuente è governato dagli artt. 137 e seguenti del c.p.c., sebbene con talune modifiche, ovverosia – come già anticipato precedentemente – laddove l’atto tributario/esattivo sia consegnato a persona diversa dal destinatario, il messo deve inoltrare formale “notizia dell’avvenuta notificazione”, mediante “lettera raccomandata” al contribuente interessato.

Orbene, secondo i giudici della Suprema Corte, “il tenore letterale della disposizione configura la raccomandata informativa come un adempimento essenziale del procedimento di notifica”.

4.4. Cartella esattoriale per temporanea assenza del destinatario ex art. 140 c.p.c. – art. 8, comma 4, L. n° 890/82 (c.d. irreperibilità relativa)

La menzionata attività di notifica per irreperibilità relativa o temporanea (art. 140 c.p.c. – art. 8, comma 4, L. 890/82) è subordinata al rituale compimento di specifici adempimenti da parte del notificante, pena la nullità di tutto l’iter notificatorio.

La norma in esame impone che il notificante, in caso di assenza temporanea del destinatario, debba svolgere le seguenti attività29:

1) deposito del plico presso la Casa Comunale;

2) affissione avviso del deposito in busta chiusa e sigillata presso la porta della residenza del contribuente30;

3) “gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento31”.

Normativa “identica” anche per “le notifiche a mezzo posta”, come regolamentato dall’art. 8, comma 4, L. n° 890/8232.

A ben vedere, infatti, la giurisprudenza di legittimità impone al soggetto notificante, ai fini della corretta notifica ex art. 140 c.p.c., di fornire anche la prova del rituale (e necessario) perfezionamento dell’effettivo invio e ricezione della raccomandata informativa, tassello fondamentale per qualificare come perfezionata la notifica di cui all’art. 140 c.p.c.

Sul punto, si vedano le sentenze n° 15902/17, n° 8433/17, n° 29191/17, n° 12753/18 e n° 32441/18, n° 1699/19, n° 5522/19 e n° 9422/19 della Suprema Corte.

La Corte di Cassazione con la sentenza n° 11993/11 ha chiarito che la “raccomandata informativa” (di cui all’art. 140 c.p.c., come gli altri due adempimenti previsti dalla citata norma), rappresenta “un momento strutturale del procedimento notificatorio”, il cui vizio di notifica (come nel caso odierno) ovvero la mancata prova in giudizio fa sorgere “l’inesistenza della notificazione”.

Con la successiva sentenza, la Corte di Cassazione (n° 25079/14) ha ribadito che “il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita dunque del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, con la conseguenza che, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla”.

Sul punto, si vedano le sentenze n° 15902/17, n° 8433/17, n° 29191/17, n° 12753/18 e n° 32441/18, n° 1699/1933, n° 5522/19 e n° 9422/19 della Suprema Corte.

*** *** ***

Al fine di meglio chiarire la questione, si esibisce un fac-simile della raccomandata informativa

4.5 Cartella esattoriale notificata con modalità PEC

Altra fattispecie di vizio concerne quella attinente alla notifica della cartella esattoriale attraverso la modalità telematica PEC, a mezzo della quale viene inviato il provvedimento esattivo alla casella di posta elettronica certificata del contribuente.

Il tassello decisivo è rappresentato dalla sussistenza della firma digitale, da apporre sulla medesima cartella da parte dell’Ente della Riscossione (D. Lgs. n° 82/0534, art. 24).

Il richiamato art. 24 è proprio rubricato “firma digitale”, la quale (comma 1) “deve riferirsi in maniera univoca” al soggetto notificante; l’insostituibile “apposizione” della firma digitale è peraltro confermata dal successivo comma 2.

Non solo: il comma 3 impone che al momento dell’apposizione (“sottoscrizione”) della firma digitale, questa non deve essere “scaduta” oppure non deve risultare “revocata o sospesa”.

La conseguenza giuridica circa l’assenza della firma digitale viene specificata nel successivo comma 4-bis (sempre dell’art. 24): “l’apposizione a un documento informatico di una firma digitale […] basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione”.

Sul punto, si rimanda alla pronuncia n° 16173/18 della Corte di Cassazione: “l’Agente delle Riscossione, di fronte alle contestazioni dell’opponente relative alla notifica a mezzo PEC delle cartelle di pagamento (come nel caso odierno, cfr. capitolo 2 del ricorso), ha l’onere di dimostrare di aver provveduto alla regolare notifica di esse in forma di documento informatico (e non di mera copia informatica di documento cartaceo, OSSIA PRIVO DI FIRMA DIGITALE), di documentare la corrispondenza tra il messaggio originale e quello trasmesso via PEC, nonché la regolarità della trasmissione telematica dell’atto”.

Ora, per ciò che attiene alla sussistenza della necessaria firma digitale, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite n° 10266/18 ha cristallizzato la regola per verificare la corretta notifica della cartella in modalità PEC.

La “chiave di volta” della vicenda è costituita dunque dalla prova circa la sussistenza della firma digitale.

La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

La citata sentenza delle Sezioni Unite ha affermato il seguente principio: ciò che rileva è che il documento informatico sia sottoscritto digitalmente, indipendentemente dal formato del documento (sia esso “.P7M” o “.PDF”), in forza delle garanzie che la firma digitale conferisce al documento medesimo, ossia “autenticità (perché garantisce l’identità digitale del sottoscrittore del documento), integrità (perché assicura che il documento non sia stato modificato dopo la sottoscrizione), non ripudio (perché attribuisce validità legale al documento)”.

Pertanto, solo il documento informatico su cui è apposta la firma digitale è munito delle oggettive caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, oltre a consentire l’identificazione della paternità dell’atto, tali da renderne valida la notifica a PEC.

Per effetto della decisiva sentenza della Corte di Cassazione n° 10266/18, la giurisprudenza di merito ha adottato il medesimo orientamento (si veda C.T.P. di Ascoli Piceno n° 236/1835, C.T.P. di Agrigento, n° 2265/1836, C.T.P. di Varese, la n° 101/19, n° 159/19, C.T.P. di Pisa, n° 292/19, C.T.P. di Lucca, n° 774/19, le quali hanno annullato i provvedimenti esattivi poiché non hanno ritenuto “valida la notificazione per posta elettronica certificata dell’atto impugnato, non essendo stato firmato digitalmente”).

4.6 Cartella esattoriale proveniente da indirizzo PEC del mittente non presente negli Elenchi Pubblici (artt. 4 e 16, comma 12, D.L. 179/12)

Nel panorama giurisprudenziale recente, è opportuno segnalare un ulteriore profilo da porre all’attenzione, ossia la fattispecie in cui la cartella esattiva sia stata trasmessa dal mittente da un indirizzo PEC non attribuibile al notificante.

A titolo esemplificativo, nell’universo telematico tributario, l’elenco ufficiale della P.A. è presente in “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni) in cui la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione è la seguente: [email protected].

Da un punto di vista normativo, l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, convertito in Legge n° 221/2012 recita testualmente: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ossia – come già accennato – IPA.

Nella prassi consolidata di questi anni, è fatto notorio che l’Agenzia delle Entrate – Riscossione non utilizzi l’indirizzo PEC “ufficiale” e, detto modus operandi, integra la violazione della normativa vigente.

Sul punto, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n° 17346/19 ha affermato che “sulla considerazione che la modalità di perfezionamento della notificazione telematica postula “che la notificazione provenga da un indirizzo Pec (..) a un altro indirizzo Pec, sempre risultante da pubblici elenchi” e che “giunga a compimento il meccanismo telematico che assicura la certezza della procedura di recapito”.

Dunque la notificazione è irrimediabilmente viziata laddove il notificante abbia utilizzato un “indirizzo non risultante dai predetti elenchi”.

La giurisprudenza tributaria ha accolto il principio con le seguenti sentenza: C.T.P. di Taranto n° 401/1937 e C.T.P. di Perugia, n° 379/1938.




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5. La prescrizione del credito proveniente dalle cartelle esattoriali

La Corte di Cassazione, con la nota sentenza a Sezioni Unite, n° 23397/1639 ha chiarito che:

  • la scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento, nonché avvisi di addebito INPS produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo la L. n° 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.

Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato”;

  • detto principio, pacificamente operante per le cartelle previdenziali, in relazione a provvedimenti esattivi di natura diversa, la S.C. così motiva: il meccanismo “si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Sotto l’ambito dell’estinzione per prescrizione “breve” delle cartelle tributarie, si segnalano le seguenti decisioni della Corte di Cassazione: cfr. n° 20213/15, nella quale è stato osservato che “l’applicabilità del termine prescrizione ordinaria [decennale] è tutta riferibile a titoli di accertamento o condanna divenuta definitiva [sentenza passata in giudicato]” ma “non a cartelle esattive”.

La ratio di tale orientamento è il seguente: i provvedimenti esattoriali dell’ente della Riscossione, i quali prescindono “dal previo accertamento dell’esistenza del titolo, non possono per questo considerarsi rette dall’irretrattabilità e definitività”.

Dunque il creditore, laddove il proprio titolo esecutivo sia costituito da una cartella di pagamento o da avviso di accertamento, non potrà beneficiare del termine di prescrizione lungo, dunque in dette ipotesi si applica la prescrizione di 5 anni.

Si richiama un’ulteriore ordinanza n° 1997/2018 della S.C., la quale ha ribadito l’orientamento espresso precedentemente.

Infine, la successiva pronuncia della Corte di Cassazione, la n° 30362/18 ha confermato l’orientamento in tema di prescrizione quinquennale del credito erariale: “la prescrizione quinquennale è giustificata da un ragionevole principio di equità, che vuole che il debitore venga sottratto all’obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute tutte le volte che queste non siano state tempestivamente richieste del creditore.

Nel solco delle considerazioni che precedono si è inserita Cass., SS.UU., n° 23397/2016, la quale ha ampliato l’ambito d’applicazione della prescrizione breve.

Infatti, mentre con la nota ordinanza n. 20213/15 la S.C. aveva affermato che la prescrizione quinquennale operava laddove il titolo esecutivo fosse costituito dalla sola cartella esattoriale dell’Ente della Riscossione, sicché nelle altre ipotesi di sussistenza del credito erariale (ad esempio, la notifica dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate) avrebbe dovuto essere introdotta la prescrizione decennale, il nuovo orientamento ha esteso i margini difensivi del cittadino, il quale potrà chiedere al giudice l’estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve, non soltanto nei casi di notifica di cartella esattiva, bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito, ecc..)40”.

*** *** ***

Per quanto attiene la prescrizione del credito derivante dalla Tassa automobilistica, l’art. 5 del D.L. n° 953/82 (modificato successivamente dall’art. 3 del D.L. 2/86 convertito nella legge 60/86), statuisce quanto segue: “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse dovute dal 1° gennaio 1983 per effetto dell’iscrizione di veicoli o autoscafi nei pubblici registri e delle relative penalità si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento”.

Anche la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere applicabile il termine di prescrizione triennale per ciò che attiene, appunto, la Tassa automobilistica41.

 

5.1 La prescrizione quinquennale delle sanzioni tributarie (art. 20, comma 3, D. Lgs. n° 472/97) e degli interessi (art. 2948, n° 4, c.c.)

In materia di prescrizione, si rammenta che è prevista l’applicazione della prescrizione quinquennale per quanto concerne le sanzioni amministrative (tributarie), a mente dell’art. 20, comma 3, D. Lgs. n° 472/97, nonché degli interessi maturati sul capitale (art. 2948, n° 4, c.c.).

6. Come difendersi dalle cartelle esattoriali: giurisdizione e competenza territoriale

Il contribuente, per difendersi dalla cartella esattoriale ricevuta, deve innanzitutto individuare il Giudice competente.

A riguardo, la giurisdizione viene determinata in base alla natura degli importi richiesti per mezzo della cartella di pagamento, ad esempio:

  • per le cartelle esattoriali aventi ad oggetto crediti tributari (ad esempio, imposte o tasse), è competente la Commissione Tributaria Provinciale42;
  • per le cartelle esattoriali relative a contributi previdenziali (INPS)43 ed assistenziali (INAIL) è competente il Tribunale – Sezione Lavoro;
  • per le cartelle esattoriali riguardanti sanzioni amministrative sono competenti il Tribunale o il Giudice di Pace, secondo i criteri stabiliti dalla legge44;
  • per le cartelle esattoriali attinenti a violazioni del codice della strada è competente il Giudice di Pace.

Una volta stabilito il Giudice giurisdizionalmente competente, è necessario determinare la competenza territoriale dello stesso, vale a dire individuare il Giudice di un luogo nei cui confronti promuovere il processo e, pertanto, in quale territorio quest’ultimo debba svolgersi.

Nello specifico:

  • per i contenziosi aventi ad oggetto le cartelle esattoriali portanti crediti tributari, è competente la Commissione Tributaria Provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ente che ha emesso la cartella di pagamento45;
  • per i giudizi di opposizione a cartelle esattoriali/avvisi di addebito per crediti previdenziali ed assistenziali è competente il Tribunale – Sezione Lavoro del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Ente che ha emesso la cartella esattoriale/avviso di addebito, se si tratta di lavoro subordinato; altrimenti, se si tratta di lavoro autonomo, il Tribunale – Sezione Lavoro nella cui circoscrizione ha la residenza il contribuente46;
  • per i giudizi di impugnazione delle cartelle esattoriali aventi ad oggetto sanzioni amministrative, è competente il Giudice (Tribunale o Giudice di pace) del luogo in cui è stata commessa la violazione47;
  • per i giudizi riguardanti l’opposizione delle cartelle di pagamento riguardanti violazioni del codice della strada, è competente il Giudice di Pace del luogo in cui è stata commessa la violazione48.

7. I termini per contestare le cartelle esattoriali ed avvisi di addebito

L’opposizione alle cartelle di pagamento soggiace a termini di decadenza diversi tra di loro, i quali vengono stabiliti – anch’essi – in forza della natura del credito portato dal provvedimento esattivo:

  • se la cartella di pagamento si riferisce a somme aventi natura tributaria, il termine per presentare ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente è di 60 giorni decorrenti dalla notifica della cartella49;

  • se la cartella di pagamento/avviso di addebito attiene a crediti di natura contributiva o assistenziale, il termine per presentare opposizione avanti al Tribunale – Sezione Lavoro è di:

  • 40 giorni, decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento, qualora l’impugnazione attenga a vizi di carattere sostanziale (c.d. di merito), vale a dire tutti qui vizi che attengono all’esistenza del credito o all’entità dello stesso (come – ad esempio – contributi non dovuti o già versati, errato calcolo delle somme dovute a titolo di contributi o premi, intervenuta prescrizione del credito, etc.)50;

  • 20 giorni, decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento/avviso di addebito, nel caso in l’impugnazione attenga a vizi di carattere formale, cioè relativi alla forma dell’atto ed alla sua notifica (ad esempio, mancata indicazione del calcolo degli interessi, mancata indicazione degli elementi essenziali di cui all’art. 30, comma 2, D.L. n° 78/1051).

A riguardo, infatti, la contestazione per vizi formali rientra tra quelle disciplinate dall’art. 29, comma 2, D. Lgs. n° 46/9952 e, pertanto, si configura come “opposizione agli atti esecutivi”, ai sensi dell’art. 617 c.p.c.

Di conseguenza, il termine per proporre tali contestazioni di carattere “formale” è – per l’appunto – di 20 giorni dalla notifica del provvedimento esattivo.

Infine, laddove avverso la cartella esattoriale/avviso di addebito il contribuente intenda lamentare sia vizi di merito che vizi di forma, in assenza di “istruzioni” da parte del Legislatore, è opportuno – ai fini cautelativi – presentare opposizione entro il termine “breve” di 20 giorni;

  • se la cartella di pagamento ha ad oggetto somme aventi natura di sanzione amministrativa o di violazione del codice della strada, il termine per proporre opposizione è di 30 giorni decorrenti dalla notifica53 54.

A riguardo, proprio con riferimento all’impugnazione di cartelle esattoriali riguardanti somme relative a violazione del codice della strada, giova segnalare la nota sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n° 22080/17, la quale ha precisato che: “l’opposizione alla cartella di pagamento, emessa ai fini della riscossione di una sanzione amministrativa pecuniaria comminata per violazione del codice della strada, va proposta ai sensi dell’art. 7 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 e non nelle forme della opposizione alla esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., qualora la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogata in ragione della nullità o dell’omissione della notificazione del processo verbale di accertamento della violazione del codice della strada. Il termine per la proponibilità del ricorso, a pena di inammissibilità, è quello di trenta giorni decorrente dalla data di notificazione della cartella di pagamento”.

8. Condono

L’art. 4 del D.L. n° 119/18 ha previsto un vero e proprio condono per le cartelle di pagamento, con conseguente annullamento automatico delle stesse da parte del Fisco e, quindi, senza necessità di presentare alcuna istanza da parte del contribuente.

Il condono riguarda unicamente le c.d. mini-cartelle, vale a dire quei provvedimenti esattivi che contengono singoli ruoli di importo non superiore ad €. 1.000,00, affidati all’Agenzia delle Entrate – Riscossione nel periodo intercorrente dal 01 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010.

L’importo della cartella deve essere calcolato alla data del 24 ottobre 2018 (data di entrate in vigore del D.L. n° 119/18) e deve comprendere la somma capitale, le sanzioni e gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo.

Inoltre, per individuare se il singolo carico sia stato affidato all’Ente della Riscossione nel periodo sopra indicato (1° gennaio 2000 – 31 dicembre 2010), occorre far riferimento alla data di formazione del ruolo, la quale è espressamente indicata in ogni cartella di pagamento, nel sezione “dettaglio dei debiti” (dette informazioni posso essere altresì ricavate accedendo alla propria posizione debitoria sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, oppure richiedendo agli sportelli dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione l’estratto di ruolo).

La cancellazione automatica delle cartelle di pagamento da parte dell’Ente della Riscossione deve (doveva) avvenire entro il 31 dicembre 2018.

Cartelle escluse dal condono

L’annullamento automatico delle (mini) cartelle di pagamento di importo non superiore ad €. 1.000,00 ex art. 4, D. L. n° 119/18 si applica – come visto – ai soli carichi trasmessi all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, con esclusione delle Casse di previdenza.

Inoltre, detto condono non si estende ad alcune tipologie di debiti, individuati esplicitamente dall’art. 4, comma 4, cit.:

  • debiti relativi alle risorse proprie tradizionali dell’Unione europea e all’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione; nello specifico: dazi doganali riguardanti gli scambi con paesi esteri non membri dell’Unione europea, prelievi sull’importazione di prodotti agricoli (anche in questo caso da paesi extra UE) e dell’Iva all’importazione;

  • debiti derivanti dal recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione europea ovvero da condanne pronunciate dalla Corte dei conti.

9. Come verificare se le cartelle esattoriali sono state cancellate?

Il contribuente può verificare l’effettiva cancellazione delle cartelle di pagamento di importo inferiore ad €. 1.000,00 rientranti nell’annullamento automatico ex art. 4, D. L. 119/18, accedendo all’area riservata sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, oppure recandosi presso gli sportelli dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione e chiedendo copia dell’estratto di ruolo (compilando il Modello RD1 reperibile sul sito https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/modulistica/RD1.pdf).

In caso di mancata cancellazione delle cartelle di pagamento, il contribuente può segnalarlo all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, mediante raccomandata a.r. o a mezzo PEC, oppure recarsi presso gli sportelli della stessa.

10. Rottamazione delle cartelle esattoriali

La definizione agevolata dei carichi pendenti, meglio conosciuta come “rottamazione” delle cartelle esattoriali, è uno strumento agevolativo che consente al contribuente di estinguere i debiti iscritti a ruolo contenuti nelle cartelle di pagamento, versando le somme dovute senza corrispondere le sanzioni e gli interessi di mora.

A riguardo, l’ultima “rottamazione” in ordine di tempo, è la c.d. “rottamazione-ter” disciplinata dall’articolo 3 del D.L. n° 119/2018, il quale riguardava i carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017 con esclusione delle seguenti tipologie di crediti:

  • recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione Europea;

  • crediti derivanti da condanne pronunciate dalla Corte dei conti;

  • multe, ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;

  • sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali.

La presentazione della domanda presso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione era prevista per lo scorso il 30 aprile 2019.

Successivamente, il D.L. n° 34/2019 (c.d. “Decreto Crescita”), convertito con modificazioni dalla L. n° 58/2019, ha riaperto i termini per aderire alla “rottamazione-ter“, fissando la nuova scadenza allo scorso 31 luglio 2019.

L’agevolazione interessava solo i debiti non ricompresi nelle dichiarazioni di adesione alla “rottamazione-ter” già presentate entro lo scorso 30 aprile 2019.

Il D.L. n° 119/2018 ha inoltre previsto l’accesso automatico alla “rottamazione-ter”, senza necessità di presentare alcuna dichiarazione di adesione, per i debiti che risultano:

  • già oggetto di “rottamazione-bis” (D.L. 148/2017);

  • già oggetto di precedenti rottamazioni intestati a soggetti che risultavano risiedere in uno dei Comuni del Centro Italia colpiti dagli eventi sismici del 2016 e del 2017.

11. Saldo e stralcio

Altro e diverso beneficio è quello introdotto dall’art. 1, commi dal 184 al 198 della L. n° 145/2018 (c.d. Legge di Bilancio 2019), denominato “Saldo e stralcio” delle cartelle, ossia una riduzione delle somme dovute, per i contribuenti in grave e comprovata difficoltà economica.

L’agevolazione riguarda solo le persone fisiche (e, quindi, non anche le persone giuridiche) e alcune tipologie di debiti riferiti a carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, in particolare:

  • i debiti derivanti dall’omesso versamento di imposte risultanti dalle dichiarazioni annuali e dell’attività di autoliquidazione;

  • i debiti derivanti dall’omesso versamento dei contributi dovuti dagli iscritti alle casse previdenziali professionali o alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi dell’INPS con esclusione di quelli richiesti a seguito di accertamento, che versano in una grave e comprovata situazione di difficoltà economica.

A riguardo, occorre precisare che per i carichi derivanti dall’omesso versamento dei contributi dovuti dagli iscritti alle casse previdenziali professionali, l’applicabilità al saldo e stralcio è subordinata all’approvazione di un’apposita delibera di ciascuna Cassa.

I contribuenti che possono accedere al c.d. “saldo e stralcio” sono esclusivamente coloro che hanno l’indicatore della situazione economica (ISEE) del nucleo familiare non superiore a € 20.000, pagando una percentuale ridotta a titolo di capitale e interessi di ritardata iscrizione a ruolo, senza corrispondere sanzioni e interessi di mora, nello specifico:

a) 16% delle somme dovute a titolo di capitale e interessi di ritardata a ruolo con ISEE fino a euro 8.500;

b) 20% delle somme dovute a titolo di capitale ed interessi di ritardata iscrizione a ruolo con ISEE da euro 8.500,01 a 12.500,00;

c) 35% delle somme dovute a titolo di capitale ed interessi a ruolo con ISEE da euro 12.500,01 a 20.000,00.

Per usufruire del “saldo e stralcio”, la L. n° 145/2018 ha previsto la possibilità di presentare domanda all’Agenzia delle Entrate – Riscossione entro lo scorso 30 aprile 2019.

Successivamente, il D.L. n° 34/2019 (“Decreto Crescita“), convertito con modificazioni dalla L. n. 58/2019, ha riaperto i termini per aderire al “saldo e stralcio“, fissando la nuova scadenza per presentare la domanda di adesione allo scorso 31 luglio 2019.

L’agevolazione ha interessato solo i debiti non ricompresi nelle dichiarazioni di adesione alla “rottamazione- ter” o al “saldo e stralcio” già presentate entro lo scorso 30 aprile 2019.

12. Come si pagano le cartelle esattoriali

Per effettuare il versamento degli importi indicati nella cartella di pagamento notificata, è possibile utilizzare diverse modalità:

  • utilizzare i bollettini di versamento precompilati contenuti all’interno della cartella di pagamento;

  • online sul sito di Agenzia delle Entrate – Riscossione (https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/); con carta di credito emessa in Italia alle poste e in banca;

  • tramite home banking del proprio istituto di credito;

  • presso gli sportelli dell’Agente della riscossione che li ha emessi.

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49 Art. 21, comma 1, D. Lgs. n° 546/1992: “Il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato […]”;

 

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