In tema di difesa tecnica del fallimento, ai sensi dell’art. 31, comma 3, L.F., il curatore della procedura, nelle liti attive ed in quelle passive, non può assumere il ruolo di difensore, o anche quello di mero assistente, a pena di nullità di tutti gli atti posti in essere in tale veste, atteso che tra i due ruoli vi è previsione di incompatibilità.
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29313 del 22 dicembre 2020 (testo in calce), ha chiarito la questione riguardante la possibilità o meno per il curatore di assumere la difesa tecnica del fallimento.
Il fatto
La vicenda trae origine dalla decisione assunta dalla Corte di appello che rigettava il reclamo ex art. 18 L.F. proposto da una s.r.l. contro la sentenza dichiarativa del fallimento richiesta dal fallimento di una s.p.a. in forza di un decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 150 L.F. per un importo dovuto a titolo di capitale sociale non versato e rimasto insoddisfatto, nonostante l’infruttuoso tentativo di pignoramento immobiliare.
Il Giudice del merito ha ritenuto non fondato il difetto di legittimazione del curatore del fallimento a richiedere l’ingiunzione per l’intera somma del capitale sociale non versato dai soci, poiché sulla base dell’importo indicato dal decreto ingiuntivo, peraltro non opposto, poteva dirsi sufficientemente provato il credito che avrebbe legittimato il creditore alla istanza di fallimento. La Corte di appello ha inoltre affermato che la documentazione prodotta non era idonea ad acclarare l’insussistenza dei requisiti di fallibilità poiché erano state solamente allegate copie informali dei bilanci sprovviste del requisito dell’approvazione da parte della società e del requisito del deposito presso il registro delle imprese.
La s.r.l. ha indi proposto ricorso per cassazione, contestando innanzitutto che il Giudice del merito aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione, benché formulata per la prima volta in sede d’udienza ma rilevabile d’ufficio, della mancata legittimazione attiva del creditore istante, in quanto il curatore aveva assunto la veste di avvocato della procedura in spregio a quanto disposto dall’art. 31, comma 3, L.F..
La società ricorrente ha inoltre lamentato la violazione dell’art. 6 L.F., dell’art. 31 L.F. e dell’art. 82 c.p.c., avendo contestato il difetto di legittimazione attiva del curatore, poiché avrebbe difeso da se stesso la procedura promuovendo il relativo giudizio.
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La decisione
La Cassazione ha ritenuto fondati i motivi di ricorso alla luce proprio di quanto sancito dall’art. 31, comma 3, L.F. in forza del quale il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento.
Con riferimento al problema riguardante la legittimatio ad causam attiva e passiva, che consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto secondo la prospettazione della parte, la Corte di legittimità ha in primis ribadito che la questione è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, nonostante nel caso di specie non sia stata riscontrata dal giudice d’appello[1].
La Cassazione ha poi rammentato che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente sancito il principio dell’incompatibilità del curatore fallimentare a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento per difetto di legittimazione processuale.
Si tratta di un principio finalizzato ad evitare il pericolo che il tornaconto professionale venga anteposto al vantaggio ricavabile dalla procedura collettiva, da cui deriva la nullità degli atti compiuti in violazione del divieto previsto dall’art. 31, comma 3, L.F.[2].
I Giudici di legittimità hanno altresì evidenziato che è stata peraltro esclusa, per manifesta infondatezza, l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 31 L.F. per eccesso di delega, con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente un difensore, in quanto la disposizione non esorbita dai limiti di essa, risultando coerente con i principi della legge delega e rispondendo al criterio di speditezza della procedura che rappresenta l’obiettivo preminente del legislatore delegante[3].
La Cassazione ha quindi già avuto modo di osservare che il riferito potere di nomina non consente una gestione in proprio da parte del curatore, in quanto, in caso contrario, si verrebbero a cumulare ed a sovrapporsi interessi che debbono restare distinti e separati.
A tale proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che è stata esclusa la facoltà di mera assistenza in giudizio per l’incompatibilità del curatore a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento che deve intendersi riferita, per i giudizi tributari, non solo ai soggetti che rivestono la qualifica di avvocato (o procuratore), ma anche agli appartenenti alle altre categorie professionali (dottore commercialista, ragioniere, perito commerciale, ecc.) abilitate ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 a prestare assistenza tecnica in quei giudizi[4].
Alla luce dei principi sopra richiamati, la Suprema Corte di legittimità ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata perché la costituzione tecnica del curatore in sede di reclamo del fallimento non poteva essere proposta[5].
CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 29313/2020 >> SCARICA IL PDF
[1] Cass. civ., Sez. lavoro, 12/08/2016, n. 17092
[2] Cass. civ., Sez. V, 25/02/2010, n. 4560; Cass. civ. Sez. V, 04/04/2008, n. 8778; Cass. civ. Sez. V Sent., 13/09/2004, n. 18419; Cass. civ., 04/07/1985, n. 4039
[3] Cass. civ., Sez. I Sent., 04/06/2012, n. 8929
[4] Cass. civ., Sez. V, Sent., 25/02/2010, n. 4560
[5] Cass. civ., Sez. II, Sent., 22/03/1995, n. 3261
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