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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 13 dicembre 2019, n. 32774.

di Antonio Zurlo 

 

 

 

 

Con la recente ordinanza in oggetto, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione enuncia due interessanti principi di diritto, in relazione al rapporto “fiduciario” che deve intercorrere tra il creditore garantito e i soggetti garanti, delineandone, segnatamente, il suo atteggiarsi nel caso di peggioramento della situazione patrimoniale del debitore, rispetto a quella riferibile al momento di stipulazione del contratto di garanzia.

 

********************************

 

Le circostanze fattuali.

Nel giudizio di primo grado, due fideiussori si erano opposti all’escussione, da parte della Banca convenuta, delle garanzie rilasciate in favore di una società in accomandita semplice, di cui non erano soci, fino a concorrenza di C 210.000. All’epoca del rilascio delle fideiussioni, la società garantita mostrava un conto corrente con deposito attivo (pari a circa euro 4000,00), cui erano stati appoggiate varie linee di credito, nonché un conto anticipo fatture. A tal proposito, i garanti, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, avevano rilevato che, immediatamente dopo la sottoscrizione delle due fideiussioni, il conto corrente aveva evidenziato una forte esposizione bancaria, non più ripianata, e che aveva condotto fino al fallimento della società medesima. Opponendosi all’escussione, avevano dedotto che, non essendo soci, la Banca avesse concesso nuovo credito alla società, a loro insaputa e, peraltro, senza renderli in alcun modo edotti del peggioramento della situazione societaria, violando evidentemente gli obblighi previsti dall’art. 1956 c.c., nonché i più generali principi di correttezza e buona fede, ex artt. 1175 e 1375 c.c.

Nel corso del giudizio di primo grado, veniva disposto un ordine di esibizione documentale, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., degli estratti conto bancari e veniva rilevato che la Banca avesse omesso di produrre il conto anticipo fatture (asserendo di non averlo reperito e che, comunque, fosse escluso dall’oggetto della richiesta di esibizione); in esito all’istruttoria, il giudice, accogliendo l’opposizione, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso.

L’Istituto proponeva impugnazione innanzi alla Corte d’Appello di Venezia, deducendo che, relativamente all’assertiva violazione dell’art. 1956 c.c., mancassero i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per potere ritenere inefficaci le due fideiussioni; al contempo, sotto il profilo probatorio, l’appellante deduceva che quelle qualificate come “nuove di linee di credito” altro non erano che la conferma di quelle già esistenti e che, pertanto, vi era stato un errore di valutazione delle prove (considerando che la richiesta di esibizione documentale non includeva la produzione degli estratti conto, relativa gli anticipi fatture). La Corte territoriale rigettava l’appello. Avverso tale pronunciamento, la Banca proponeva ricorso per cassazione, formulando tre motivi di doglianza.

 

La decisione della Corte.

Con il primo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 1956 c.c. e degli oneri della prova sull’esistenza degli elementi richiesti da tale norma, ex art. 2697 c.c. 

La Terza Sezione Civile giudica infondata la doglianza. Difatti, la censura mossa dalla Banca è disallineata rispetto alla situazione debitoria ricostruita dai giudici di merito e posta a motivo della decisione: in tal guisa, assume rilievo il fatto che, al tempo della sottoscrizione delle due fideiussioni, il conto corrente presentasse un deposito attivo, con una concessione di fido, mentre la situazione sul conto anticipi era rimasta ignota, non avendo la stessa ricorrente ottemperato all’ordine di esibizione del conto anticipo fatture, in relazione al quale era stato emesso un decreto ingiuntivo.

Nella pronuncia impugnata si sottolinea come l’ipotesi contemplata dalla norma di cui all’art. 1956 c.c. non possa essere intesa in relazione alla sola instaurazione di nuovi rapporti obbligatori, tra il creditore e il terzo debitore (cui si estende la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore), ma abbraccia anche il modo in cui il creditore gestisca un rapporto obbligatorio già instaurato con il terzo, coperto dalla garanzia fideiussoria, quando per quest’ultimo ne derivi un ingiustificato e imprevedibile aggravamento del rischio di non poter più utilmente rivalersi sul debitore. Al contempo, assume rilievo la circostanza per cui i due fideiussori, non essendo soci della debitrice (che in seguito alla concessione della fideiussione aveva registrato la repentina fuoriuscita di un socio finanziatore), non fossero stati messi in grado di verificare la reale situazione debitoria societaria, che, per contro, era perfettamente sotto il controllo della Banca; ne conseguiva l’inverosimiglianza dell’affermazione formulata dall’Istituto di non aver avuto contezza della situazione di peggioramento che, poi, avrebbe condotto la società garantita al fallimento. Parimenti, sotto il profilo dell’onere probatorio, non risultava alcuna violazione processuale, in quanto il giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto parzialmente inadempiuto l’ordine di esibizione, con riferimento al conto anticipi fatture, e adempiuto solo con riguardo agli affidamenti delle linee di credito concesse, che, pur tuttavia, non rivelavano la reale situazione debitoria nel periodo.

Ciò premesso, il Collegio evidenzia come obbligo precipuo del garantito verso il garante, soprattutto se riferito a un rapporto continuativo di concessione di credito affidato alla professionalità del garantito, sia quello di comunicare l’avvenuto mutamento in peius della consistenza patrimoniale generica del debitore, qualora si determini a non recedere dal rapporto. Il prefato art. 1956 c.c. dispone che il creditore che, senza speciale autorizzazione del fideiussore per un’obbligazione futura, abbia concesso credito al terzo, pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui siano, nel frattanto, peggiorate in maniera significativa, perda la garanzia concessa: tale principio deve essere ragionevolmente considerato valevole per ogni situazione in cui si manifesti un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto per cui viene concessa la garanzia fideiussoria, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo. Il creditore, che, si badi, dispone di strumenti di autotutela per porre immediatamente termine al rapporto continuativo, impedendo al debitore ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero la sua esposizione debitoria, se non vuole perdere il beneficio ottenuto dal garante, è tenuto a informare il garante inconsapevole di tale situazione, affinché non venga persa, in ragione della volontà del creditore di aumentare il proprio margine di rischio, la garanzia patrimoniale generica su cui quest’ultimo abbia fatto inizialmente affidamento[1].

1.6.  Il principio di correttezza e buona fede incorporato in tale norma, che, secondo la Relazione ministeriale al Codice Civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore», va inteso in senso oggettivo, in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che, operando in senso reciproco, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. 

1.7.  Più precisamente, nella fideiussione per obbligazione futura, l’onere del creditore, di richiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve precipuamente alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l’autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7444 del 23/03/2017). Dalla violazione di tale regola di comportamento di buona fede discende pertanto non solo la liberazione del fideiussore, come previsto dall’art. 1956 cod. civ., ma anche, ove provato, un danno risarcibile, e tale rilievo costituisce un ulteriore elemento per considerare la rilevanza dell’obbligo di “protezione” cui è tenuto il creditore, che non si esaurisce al tempo del rilascio della fideiussione, ma permane per tutto il tempo della sua vigenza. (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23273 del 27/10/2006: nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato al risarcimento dei danni una banca attivatasi in via monitoria contro i fideiussori, con immediata iscrizione dell’ipoteca giudiziale, benché non vi fosse la prova della ricezione del recesso dal rapporto e, “a fortiori”, dello spirare del termine di adempimento intimato ai debitori ingiunti).

Pertanto, in tema di interpretazione dell’art. 1956 c.c., devono essere affermati i seguenti principi di diritto:

  • «al fine di valutare se il fideiussore si sia liberato dall’obbligazione di garanzia per un’obbligazione futura ex art. 1956 cod. civ., rileva che, in assenza di specifica autorizzazione del fideiussore, il creditore abbia concesso credito al debitore nella consapevolezza del mutamento delle condizioni patrimoniali di questo, tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito da parte del fideiussore, tenuto conto dell’andamento in generale del rapporto di affidamento tra creditore e debitore principale in relazione alle conoscenze acquisite o acquisibili dal creditore e dal fideiussore prima e dopo la stipula del negozio fideiussorio, valutate sulla base della diligenza dell’homo eiusdem condicionis et professionis.».
  • «l’obbligo del creditore di proteggere l’interesse del fideiussore per un’obbligazione futura a vedere conservata la garanzia patrimoniale del debitore costituisce un’obbligazione cui è tenuto il creditore ex art 1956 cod. civ., a pena di liberazione del fideiubente dalla garanzia prestata, e pertanto sul creditore che abbia consapevolmente concesso credito in una situazione di obiettivo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore, senza avere acquisito una specifica autorizzazione del fideiubente, grava l’onere probatorio circa il suo esatto adempimento, secondo il criterio di diligenza valutata in rapporto all’homo eiusdem condicionis et professionis.».

Nel caso di specie, come evidenziato anche dalla Corte d’Appello, l’obbligo di protezione è stato gravemente inadempiuto dalla Banca creditrice, essendo stato comprovato che quest’ultima fosse senz’altro in grado di percepire il peggioramento delle condizioni patrimoniali della società debitrice, nonostante l’ulteriore concessione di linee di credito dopo il mutamento della compagine sociale, rispetto a quelle note o conoscibili ai fideiussori (non facenti parte della compagine sociale); tale condotta rappresentava in maniera evidente una mancata protezione degli interessi dei soggetti garanti.

 

 

Qui il testo integrale dell’ordinanza. 


[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 22 ottobre 2010, n. 21730, in dejure.it; Cass. Civ., Sez. I, 31 ottobre 2018, n. 27932, in dejure.it.


 

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