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Il moroso rischia la casa: il decreto legislativo che abolisce il divieto di patto commissorio, dando al creditore la possibilità di riprendersi il bene in presenza di inadempimento.

Alla fine, la norma ci sarà: le banche potranno prendersi le case dei mutuatari, su cui grava l’ipoteca, senza bisogno di pignorarle e, quindi, bypassando completamente i tribunali. Il tutto già solo dopo una morosità di sette rate.

Quanto avevamo paventato a inizio mese (leggi “Mutui: la clausola che dà alla banca il diritto di pretendere la casa”) e ribattuto la settimana scorsa (leggi “Mutuo, la banca prima finanzia l’acquisto dell’immobile, poi lo vende”) è divenuto realtà concreta e tangibile. Per accelerare al massimo il

recupero dei crediti da parte degli istituti di credito e, nello stesso tempo, svuotare le aule giudiziarie dagli interminabili procedimenti di esecuzione forzata immobiliare – nel 90% dei casi avviati da istituti di credito – il Governo ha deciso di cambiare il testo unico della finanza dichiarando lecita l’eventuale clausola, contenuta nel contratto di finanziamento, con cui, in caso di mancato pagamento del debito, si autorizza il creditore a prendersi la casa finanziata e venderla. Il ricavato andrà inizialmente a coprire il credito della banca e l’eventuale residuo tornerà al proprietario dell’immobile. Il tutto con il pretesto di attuare la direttiva europea sui mutui ipotecari [1].

Il punto è che una previsione di tal tipo cozza con il nostro codice civile che prevede il divieto del cosiddetto “patto commissorio” ossia quell’accordo con cui il creditore, in caso di mancato pagamento del prestito, si fa cedere dal debitore la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno [2]. Saggiamente, il nostro legislatore del 1942 aveva scritto tale norma nel rispetto dei diritti dell’indebitato, al fine di escludere la possibilità di abusi, da parte del creditore interessato più al bene che non ai propri soldi. Ora, invece, l’articolo verrà riscritto completamente dopo 75 anni di vita, per venire incontro agli interessi delle banche.

Ma cosa prevede la nuova norma? Il testo del decreto legislativo che recepisce la direttiva europea (ora in commissione finanze alla Camera per il parere non vincolante) consente alla banca di entrare direttamente in possesso dell’immobile per il cui finanziamento aveva concesso l’ipoteca, non appena la parte mutuataria (il cliente) si sarà reso moroso di sette rate. Anche non consecutive. Ed è forse proprio quest’ultima previsione a spaventare di più: nell’arco di un finanziamento trentennale o ventennale, sette rate non consecutive sono ben poca cosa e costituiscono un inadempimento irrilevante rispetto all’entità del debito complessivo. Si va così a snaturare un’altra norma del codice civile, la quale stabilisce che la risoluzione del contratto può conseguire solo quando l’inadempimento è grave ed essenziale, ossia mina all’equilibrio tra le rispettive prestazioni. Ebbene, sette rate non destabilizzano certo l’equilibrio contrattuale, specie se una delle parti è un soggetto forte come la banca. Soggetto che, peraltro – è bene sottolinearlo – ha redatto il contratto in piena autonomia, inserendovi la clausola “incriminata” senza consultare il cliente. A quest’ultimo è data solo la scelta se firmare o meno, senza poter influire sul contenuto della scrittura. Anzi, nella maggior parte dei casi, il testo del contratto non viene neanche letto e/o compreso.

La banca, quindi, si prende l’immobile del proprio cliente allo scopo di alienarlo a terzi. Non ci saranno pignoramenti, ufficiali giudiziari, giudici, aste, ribassi. Non ci sarà nulla di tutto ciò, dei tempi e delle garanzie del processo esecutivo che, spesso, ha consentito il debitore – nelle more – di trovare un accordo con la banca e definire a saldo e stralcio la vicenda.

La norma inoltre non stabilisce a quale prezzo la casa vada venduta, il che potrebbe aprire le porte a un ulteriore abuso: quello della svendita del ben al solo fine di coprire la perdita dell’istituto di credito. Non è infatti prevista alcuna garanzia a favore del debitore, salvo un generico riferimento alla stima effettuata “da un perito scelto dalle parti di comune accordo” con una perizia successiva all’inadempimento. La banca sarà così “abile” a farsi autorizzare, già nel contratto, a nominare un proprio fiduciario.

Nella disposizione non si pone neanche il divieto di rivendere l’immobile allo stesso precedente mutuatario

, cosa che, invece, a nostro avviso, dovrebbe essere vietata. Se infatti la banca procede “all’espropriazione del bene” è perché – in ultima spiaggia – ha già valutato l’impossibilità del debitore di adempiere. È chiaro però che una tale circostanza si scontra con l’eventuale possibilità di quest’ultimo di riacquistare l’immobile. La vendita forzata, quindi, potrebbe risolversi solo in un espediente del creditore per farsi ridare tutti i soldi in un’unica soluzione, a titolo di prezzo di vendita della casa.

Il ricavato dalla vendita andrà prima alla banca per coprire il credito rimasto scoperto. L’eventuale residuo andrà invece restituito al debitore. Ma, come detto, quest’ultima eventualità dipende unicamente dal prezzo di vendita che, verosimilmente, verrà stabilito dalla banca in modo unilaterale. E non è fantasioso pensare che quest’ultima mirerà, in primo luogo, a tornare in pareggio.

Il risultato di tale riforma costituisce un vero cappio al collo per molte famiglie, ormai sempre più spesso con il rischio di perdere il lavoro e non poter pagare il mutuo. Si profila così il rischio concreto che, dopo aver adempiuto per molti anni con sforzi e sacrifici al proprio debito, il nucleo perda la casa, ritrovandosi su una strada.

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