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Le disposizioni del Piano Casa non sono
applicabili a immobili condonati, concedendo
quindi aumenti volumetrici premiali a edifici
costruiti su presupposti abusivi.

Condono edilizio: no a successivi ampliamenti volumetrici

Lo specifica il TAR Sicilia con la sentenza
del 19 febbraio 2024, n. 550
, con la quale ha respinto
il ricorso presentato contro il diniego di permesso di
costruire
richiesto per un intervento di
demolizione, ricostruzione e ampliamento di un
edificio, ai sensi dell’art. 3 della Legge Regionale n. 6/2010,
relativa al c.d. “Piano Casa”.

L’immobile, condonato ai sensi della legge n. 47/1985, non
rientrava appunto nella sfera degli edifici sui quali erano ammessi
interventi ai sensi del piano casa in quant la normativa dispone
che “Gli interventi riguardano edifici legittimamente
realizzati; sono esclusi gli immobili che hanno usufruito di
condono edilizio
”.  Di conseguenza, “L’intervento di
demolizione, ricostruzione ed ampliamento contrasta con i dettami
della L.R. 6/2010 ed in particolare con l’art. 11, come aggiornato
dalla L.R. 2/2022, poiché l’originaria consistenza è stata oggetto
di rilascio di concessione edilizia in sanatoria ai sensi della
L.R. sul condono edilizio n. 37/85
”.

Secondo il ricorrente l’intervento sarebbe invece stato
ammissibile perché sarebbe illogico che il Piano Casa escluda gli
immobili condonati per ammettere quelli sanati mediante
accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47
del 1985, i quali vantano un regolare titolo edilizio in sanatoria
e, pertanto, meritano di essere equiparati.

Piano Casa: il divieto di aumenti volumetrici per immobili
condonati

Il TAR ha confermato la decisione del Comune: ai sensi dell’art.
11, comma 2, lett. f) della L. R. n. 6 del 2010 – Norme per il
sostegno dell’attività edilizia e la riqualificazione del
patrimonio edilizio – “Gli interventi previsti dalla presente
legge non possono riguardare…gli immobili oggetto di condono
edilizio nonché di ordinanza di demolizione, salvo quelli oggetto
di accertamento di conformità di cui all’articolo 13 della legge 28
febbraio 1985, n. 47, introdotto dall’articolo 1 della legge
regionale 10 agosto 1985, n. 37
”.

Tale disposizione, stabilisce in modo inequivoco che
l’intervento di demolizione e ricostruzione di cui all’art. 3 della
stessa L.R. n. 6 del 2010, nnon possa riguardare un immobile
oggetto di condono edilizio.

La tesi sostenuta dalla parte ricorrente, secondo cui
l’esclusione opererebbe solo per gli immobili i quali,
congiuntamente, abbiano usufruito del condono e siano stati
raggiunti da un’ordinanza di demolizione, non trova conferma tanto
nella lettera della norma quanto nella sua doverosa interpretazione
logico-sistematica.

Spiega il TAR che l’ordinanza di demolizione trova il suo
presupposto nella commissione di un illecito
edilizio
, così come nell’adozione di un diniego di condono
(a fronte del quale, peraltro, l’ordine di demolizione può
costituire un atto dovuto). Sarebbe illogico, conseguentemente,
ritenere che con la norma in esame si sia voluto restringere
l’operatività degli artt. 2 e 3 della L.R. 6/2010 alle astratte
ipotesi in cui un immobile, dapprima sanato tramite condono
edilizio, sia stata in seguito raggiunto da un’ordinanza di
demolizione.

Non può sfuggire, peraltro, che nel fare “salvo quelli
oggetto di accertamento di conformità di cui all’articolo 13 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall’articolo 1 della
legge regionale 10 agosto 1985, n. 37
”, si sia voluto
innestare nella norma un’eccezione riguardante soltanto taluni
degli immobili citati nella proposizione principale, ossia i soli
immobili oggetto di ordinanza di demolizione.

Accertamento di conformità e condono edilizio: le
differenze

Ricorda il TAR che l’accertamento di
conformità,
in definitiva, è da considerarsi quale forma
di sanatoria alternativa a quella a cui si addiviene con il condono
edilizio, e non può concorrere con essa (come invece implicitamente
viene sostenuto dal ricorrente), in quanto i presupposti dei due
procedimenti di sanatoria risultano non soltanto diversi ma anche
antitetici, atteso che:

  • l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex
    lege
     per la realizzazione sine
    titulo
     abilitativo di un manufatto in contrasto con le
    prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale);
  • l’altro (sanatoria tramite accertamento in conformità)
    costituisce l’accertamento ex post della
    conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo
    titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale),
    da appurarsi sia al momento della realizzazione dell’opera che in
    quello della presentazione della domanda (c.d. “doppia
    conformità
    ”).

A favore di tale interpretazione milita, del resto, anche il
carattere generale del divieto di concessione di premialità
volumetriche
per gli immobili abusivi, espressivo della
scelta fondamentale del Legislatore statale di disconoscere
vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi
tassative e sovente ribadito dal Giudice costituzionale impegnato a
sindacare, con esiti di frequente caducatori, le normative
regionali volte ad ampliare tali vantaggi (cfr. Corte
Costituzionale, 09/05/2023, n. 90).

La sentenza del TAR

Da ciò deve farsi discendere la legittimità del
provvedimento di diniego
al rilascio del permesso di
costruire avversato, il quale, oltre ad essere stato adottato in
coerenza con le disposizioni normative di riferimento e, in
particolare, con quanto previsto dall’art. 11, comma 2, lett. f),
della L. R. n. 6 del 2010: l’Amministrazione comunale ha negato il
titolo edilizio in attuazione di specifiche disposizioni
normative.

Conclude inoltre il giudice che il permesso di costruire, come
affermato dalla costante giurisprudenza, ha peraltro natura
tendenzialmente vincolata, da cui discende che il richiamo alla
disciplina normativa dalla cui applicazione viene fatto discendere
il suo diniego integra la c.d. giustificazione del provvedimento,
sufficiente per dare evidenza delle ragioni giuridiche della
decisione, secondo quanto prescritto dall’art. 3, comma 1, della L.
n. 241/1990 e dell’art. 3 della L.R. n. 7 del 2019.

 

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