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Pignoramento presso terzi: come e quando avviene il blocco del conto in banca.

Tutte le volte in cui un contribuente non paga un debito col Fisco, questo può attivare la procedura di riscossione esattoriale e procedere al pignoramento dei suoi beni. Tra i beni pignorabili vi è, oltre allo stipendio, la pensione e la casa, anche il conto corrente. Tuttavia, la legge pone dei limiti quantitativi per garantire il sostentamento di determinate categorie di debitori ritenute più deboli. Vediamo dunque quando l’Agenzia delle Entrate può bloccare un conto corrente.

Come scopriremo a breve, non basta non pagare le tasse o le sanzioni per vedersi bloccare il conto e non poter più prelevare allo sportello o al bancomat. L’inadempimento degli obblighi fiscali è infatti solo il presupposto per l’avvio della procedura; tuttavia, il pignoramento non è né automatico, né immediato. Cerchiamo dunque di fare il punto della situazione.

Chi fa il pignoramento del conto corrente?

A eseguire il pignoramento del conto corrente non è (almeno per ora) l’Agenzia delle Entrate, bensì l’Agenzia delle Entrate Riscossione, ossia l’ente incaricato di riscuotere i crediti dell’Erario. I due enti dovrebbero, in futuro, essere unificati.

Per i crediti degli enti locali (Comuni, Province, Regioni), la riscossione viene invece delegata a società private che hanno stretto una convenzione con l’amministrazione.

Questo significa che c’è sempre bisogno di un “passaggio di carte” tra l’ente creditore e l’Esattore: passaggio che di certo allunga i tempi dell’azione esecutiva. Spesso, proprio in questo iter, si verificano alcuni vizi come la prescrizione o il difetto di notifica degli atti che consentono poi di proporre ricorso contro il blocco del conto corrente.

Quando è possibile il blocco del conto corrente?

Il blocco del conto corrente (ossia il pignoramento) è possibile solo quando il debito risulta essere definitivo e non contestato. In pratica, il contribuente non deve aver presentato alcuna opposizione contro la richiesta di pagamento da parte del Fisco.

Si possono verificare due diverse situazioni.

L’avviso di accertamento immediatamente esecutivo

La prima è quando il debito viene portato a conoscenza del contribuente attraverso la notifica di un avviso di accertamento immediatamente esecutivo da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In pratica, l’Agenzia delle Entrate invia al debitore un’intimazione di pagamento con cui lo invita a effettuare il pagamento di quanto dovuto entro 60 giorni. Nella medesima comunicazione viene dato atto che, se entro tale termine il versamento non è eseguito, trascorsi ulteriori 30 giorni, l’intimazione viene consegnata all’Agente della riscossione che, potrà adottare tutte le misure previste per assicurare il recupero delle somme richieste.

Se il contribuente non versa le somme richieste o non presenta istanza di rateazione, il debito viene “iscritto a ruolo”: viene cioè formato un documento (appunto “il ruolo”) che viene a sua volta trasmesso all’Agente per la riscossione esattoriale. Quest’ultimo notifica la cosiddetta lettera di presa in carico con cui comunica l’avvio della procedura esecutiva, senza però comunicare quale sarà il bene oggetto di pignoramento.

La cartella di pagamento

Se l’atto a monte del procedimento non è un avviso di accertamento immediatamente esecutivo, l’Agenzia delle Entrate Riscossione, dopo aver ricevuto il ruolo dall’ente creditore, notifica al contribuente la cartella esattoriale dandogli 60 giorni di tempo per pagare o per presentare un’istanza di rateazione. Se neanche in tal modo il debito viene corrisposto, vengono attivate le procedure per il recupero coattivo del pagamento di cui parleremo qui di seguito.

Le azioni esecutive e cautelari

In assenza dei pagamenti pretesi, l’Agente della riscossione intraprende

azioni cautelari ed esecutive.

Per i soli debiti fino a 1.000 euro non si procede alle azioni cautelari ed esecutive prima di 120 giorni dall’invio di specifica comunicazione.

Le procedure cautelari sono di due tipi:

  • il fermo amministrativo del veicolo;
  • l’ipoteca sugli immobili, eseguibile però solo per debiti non inferiori a 20 mila euro.

In entrambi i casi, il debitore riceve un preavviso che gli concede 30 giorni di tempo per mettersi in regola o chiedere la rateazione. Scaduto tale termine viene effettuata la procedura cautelare. Resta sempre la possibilità di chiedere la rateizzazione

Le misure esecutive consistono nel pignoramento dei beni e possono riguardare: somme, beni mobili, beni immobili. Salvo che l’eventuale cartella di pagamento sia stata notificata da più di un anno l’espropriazione forzata non prevede alcun preavviso.

Se trascorre più di un anno dalla notifica della cartella, al contribuente giungerà una intimazione di pagamento con l’avvertenza che, trascorsi inutilmente 5 giorni (per eseguire il pagamento o chiedere la rateizzazione) si procederà di conseguenza. Senza l’intimazione di pagamento, il pignoramento eseguito dopo un anno dalla notifica della cartella è illegittimo.

Il pignoramento presso terzi

Il pignoramento presso terzi riguarda le somme di cui il contribuente sia creditore nei confronti di altri soggetti: la banca, il datore di lavoro, l’ente di previdenza, l’inquilino in affitto, i clienti, la Pubblica Amministrazione, ecc. In questo solco si inserisce il pignoramento del conto corrente di cui parleremo a breve.

Con il pignoramento presso terzi si richiede al terzo di versare direttamente alla Riscossione quanto dovuto al debitore.

Il blocco del conto corrente

Una volta notificata la cartella esattoriale o la lettera di presa in carico senza che sia successivamente intervenuto il pagamento o l’istanza di rateazione, l’Esattore può procedere al pignoramento del conto corrente. Ciò avviene con una comunicazione notificata sia alla banca che al contribuente con cui si dà a quest’ultimo 60 giorni di tempo per pagare o per chiedere la rateazione.

Se il pagamento non interviene, il blocco del conto corrente è automatico e non richiede la previa autorizzazione del giudice (necessaria invece per il pignoramento delle pensioni).

Se il conto corrente è utilizzato per versare crediti diversi da quelli da lavoro dipendente, allora il pignoramento può essere integrale: può cioè riguardare l’intero deposito bancario.

Se invece sul conto corrente viene accreditato lo stipendio da lavoro dipendente (e non vi affluiscono altri crediti di natura diversa), valgono i seguenti limiti.

La giacenza sul conto corrente ove viene accreditato lo stipendio o la pensione può essere pignorata solo per la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale ossia 1.404,30 euro (468,10 x 3 = 1.404,30). Questo significa che se il conto corrente ha solo 1.000 euro, quanto in esso depositato alla data della notifica del pignoramento non può essere bloccato. Se invece presenta un saldo di 2.000 euro, si possono pignorare solo 595,70 euro (pari alla differenza tra 2.000 e 1.404,30).

Per quanto riguarda invece i successivi emolumenti a titolo di pensione o stipendi, su questi verrà effettuata una trattenuta mensile di un quinto, fino ad estinzione totale del debito.

Delle somme depositate sul conto corrente, non può essere pignorato l’ultimo stipendio o salario che resta sempre disponibile per qualsiasi necessità del debitore.

Inoltre, sempre nel caso di conto corrente su cui viene accreditato lo stipendio, il salario, o altra indennità derivante da rapporto di lavoro o di impiego il pignoramento è ammesso:

  • per un decimo, per stipendi fino a 2.500 euro;
  • per un settimo per stipendi tra 2.500 e 5.000 euro;
  • per un quinto per stipendi oltre i 5.000 euro.

Come capire se il conto corrente è stato bloccato?

Il blocco del conto corrente non può superare il credito vantato dall’Esattore. Il contribuente si potrà accorgere dell’avvenuto blocco effettuando un estratto conto: da esso verranno automaticamente sottratte le somme pignorate.

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