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Permettere l’applicazione del Codice della crisi anche ai procedimenti in corso, intervenire sulla formazione dei magistrati e anche, se non soprattutto, degli imprenditori, chiarire la natura delle esperienze professionali degli esperti, modificare il limite dimensionale delle imprese soggette a informativa alle organizzazioni sindacali. E poi, disciplinare meglio l’intervento del Pm nella composizione negoziata, rivedere i criteri di maggioranza nei concordati, netta contrarietà ai piani di riorganizzazione.

Il Consiglio di Stato ha dato il via libera ieri, con un parere di 150 pagine, alla riforma del Codice della crisi d’impresa, inserita nello schema di decreto legislativo in discussione davanti alle commissioni di Camera e Senato. Il Consiglio di Stato condivide, sul piano metodologico, la scelta del Governo di innestare nel Codice la legislazione emergenziale dei decreti legge n. 118 e n. 152 del 2021 e di collegare l’entrata in vigore dell’attuazione della direttiva a quella dell’intero Codice.

Apprezzata la scelta del Governo di rafforzare le procedure di allerta della crisi e di arricchire il diritto interno con lo strumento extragiudiziario della composizione negoziata. Nell’ambito della armonizzazione della legislazione europea, il nuovo strumento si colloca sul piano del rafforzamento degli strumenti di allerta precoce, volti ad individuare il prima possibile situazioni economico finanziarie che rendono concretamente probabile l’insolvenza del debitore e per questo destinato a operare prima dell’utilizzo dei quadri di ristrutturazione preventiva.

Per quanto riguarda l’entrata in vigore, il parere suggerisce di prevedere la possibilità di introdurre una sospensione di 60-90 giorni per le procedure in corso: l’obiettivo sarebbe quello di valutare la possibilità di superamento della crisi attraverso uno degli strumenti messi a disposizione dal nuovo Codice e non dalla vecchia Legge fallimentare che dovrebbe invece essere applicata.

Forte è la perplessità per l’introduzione del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. La previsione di un ulteriore strumento di regolazione della crisi d’impresa, «contestuale peraltro al recepimento nel Codice degli ulteriori istituti aventi analoghe finalità già disciplinati dal decreto legge n. 118 del 2020, quali possibili esiti della composizione negoziata della crisi, contrasta con i richiamati principi e criteri direttivi della legge di delegazione europea. Per un verso, infatti, appare frustrata la finalità di semplificazione normativa, per altro verso si introducono profili di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla direttiva, senza peraltro adeguata motivazione, come meglio si dirà a commento dell’istituto di nuova introduzione».

Cruciale sarebbe poi l’introduzione di una formazione specifica per gli imprenditori, specialmente quelli piccoli e medi, affidandola, è il suggerimento, alle camere di commercio. Servirebbe a cogliere in pieno le potenzialità offerte dagli strumenti di allerta anticipata che lo schema di decreto ha rafforzato: dalle segnalazioni interne a quelle dei creditori pubblici qualificati, alle comunicazioni delle banche, all’utilizzazione della lista di controllo e del programma informatico di verifica della sostenibilità del debito e per l’elaborazione dei piani di rateizzazione automatici.

Il parere ritiene poi troppo generico e suscettibile di applicazioni diverse sul territorio, quanto ai professionisti, il riferimento alle precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d’impresa: servirebbe invece da parte del ministero della Giustizia una puntuale precisazione delle esperienze ritenute rilevanti. Inoltre, si propone di dedicare un qualche tipo di rilevanza anche all’esperienza maturata proprio sul fronte della composizione negoziata. Quanto al coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, il parere stigmatizza la rigidità del requisito dimensionale e invita a una rivalutazione del limite di 15 dipendenti, considerato troppo basso.

 

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