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L’articolo redigendo inerisce alla presentazione di un ricorso alla procedura di concordato preventivo in continuità indiretta ex artt. 160 e 186 bis l.f. da parte di una società a responsabilità limitata.

Il piano proponeva, tra le altre, la cessione al pubblico incanto del ramo aziendale secondario costituito da un ingente credito d’imposta (denominato R&S) derivante dalla attività aziendale pregressa nonché da alcuni beni mobili strumentali.

Il Tribunale di Roma, sezione XIV fallimantare, dopo un interlocutorio provvedimento (decreto 17 settembre 2021) richiedente delle modifiche ed integrazioni ex art. 172 l.f., declarava, con decreto 12-13 gennaio 2022 (testo in calce), la inammissibilità del ricorso concordatario, ravvisando, tra le altre, la non probabile individuazione e susseguente configurazione del ramo de quo quale complesso di beni e fattori organizzati per la produzione ai fini della conformazione di effettivo ramo volto ad essere destinato ad una cessione coattiva. In pari data, il medesimo Tribunale emetteva sentenza di fallimento contro la società istante.

Massima

È inammissibile la cessione del credito d’imposta derivante dalla attività di ricerca e sviluppo, ancorché inserito all’interno di un apposito ramo d’azienda, allorquando la di questi identificazione risulti di difficile configurazione quale reale e concreto complesso di beni e fattori organizzati tali da sostanziare un plesso oggetto di una procedura competitiva di vendita.

Il caso

In data 07.05.2021 – 15.11.2021 una società a responsabilità limitata depositava piano di concordato preventivo con continuità indiretta ex artt. 160 e 186 bis l.f.

Uno dei tratti salienti del piano concerneva la cessione di un ingente credito d’imposta derivante da attività aziendale di ricerca e sviluppo, mediante la di questi inclusione in un ramo d’azienda, all’uopo creato, in funzione del sorger della procedura concorsuale volontaria, attesa la non percorribilità, giusto divieto espresso, di procedere ai sensi e per gli effetti né dell’istituto di cui all’art. 1260 c.c. ovvero ex art. 43-bis del D.P.R. n. 602/73.

Sulla scorta di quanto suesposto, dunque, pare chiaro che, concorsualmente, a prescindere dalla procedura, il credito non sarebbe stato diversamente liquidabile.

In ordine alla cessione del cespite mobiliare in oggetto, ponendo alla mente il valore certificato dal mastrino inerente al credito de quo, pari ad € 208.929,32 il ricorrente intendeva ricavare dalla vendita del ramo d’azienda denominato R&S un importo prudenziale, attesa una cessione non prima del terzo incanto (così come precisato dalle linee guida del Tribunale competente) non inferiore ad € 88.142,06. L’istante precisava che, allorquando il credito fosse stato assoggettato, anche concorsualmente alla normativa secondo la quale il credito in oggetto debba essere liquidato per le somme effettivamente versate e liquidate – nell’ipotesi in cui le fatture che hanno generato lo stesso non siano saldate per l’intero – ex lege, l’importo sarebbe stato decurtato di conseguenza.

Il ramo, dunque, creato ad hoc onde valorizzare maggiormente gli assets aziendali, constava, oltre che del credito d’imposta, di alcuni beni mobili strumentali residuati in azienda, completamente o largamente ammortizzati e, comunque, privi di un significativo ed apprezzabile valore economico ma che, data la loro declinazione operativa, avevano contribuito alla formazione del credito in oggetto. A riprova della correttezza delle modalità di creazione artificiosa del ramo, era precisato che le maestranze ed i beni diversi da quelli inclusi ab initio nel piano, che avevano contribuito a generare il credito R&S in oggetto, non fossero, alla data di presentazione del piano, più nella disponibilità della società istante in quanto, da una parte, i dipendenti, risultavano oramai licenziati e, dall’altra, gli ulteriori beni, erano, in fase di esecuzione dei lavori, di proprietà di terzi e concessi a qualsiasi titolo all’istante.

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La questione

Volendo dare uno sguardo al tenore del combinato disposto normativo ed ai (pochi) rilievi contenutistici in dottrina, alla data del deposito non era assolutamente chiaro quale fosse il metro da applicare al caso di specie, se, dunque, fosse stato corretta la inclusione del credito in un ramo creato ovvero se il divieto espresso ex artt. 1260 c.c. e 43 bis D.P.R. 602/73, in ambito di crediti R&S, potesse travolgere finanche il ramo medesimo.

Una linea guida sulle modalità traslative del credito in oggetto, era fornita, a seguito di formale interpello n. 72/2019, dall’Agenzia delle Entrate.

Ai sensi dell’’articolo 3, comma 1, del D.L. n. 145/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2014, sostituito dall’articolo 1 co. 35, della L. n. 190/2014 e modificato dall’articolo 1, co. 15, della L. n. 232/2016 si riconosce alle imprese che pongono in essere investimenti in attività di ricerca e sviluppo, “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2020“, un credito di imposta parametrato ed eguale alle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media dei medesimi investimenti effettuati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello corrente.

Con particolare riguardo circa le modalità di fruizione del credito d’imposta R&S, l’articolo 3, comma 8, del decreto-legge n. 145 del 2013 prescrive che tale credito sia utilizzabile in via esclusiva mediante apposita compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Non configurandosi, dunque, la legittimazione alla richiesta di rimborso[1] il credito, in astratto, non può essere ceduto ai sensi dell’articolo 43 bis del D.P.R. n. 602/1973 secondo cui “le disposizioni degli articoli 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, si applicano anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi. Il cessionario non può cedere il credito oggetto della cessione. Gli interessi di cui al primo comma dell’articolo 44 sono dovuti al cessionario.” Il rinvio espressamente richiamato contenuto nel medesimo articolo 43-bis alle prescrizioni di cui agli articoli 69 e 70 del R.D. 2440/1923, ne esclude, fattualmente, l’autonoma riconduzione ai crediti d’imposta che non possono essere oggetto di rimborso. Del pari, il medesimo articolo 69, nello statuire l’obbligo di notifica delle cessioni allo Stato, subordina le medesime ai soli casi “in cui sono ammesse dalla legge”.

Parimenti, in ambito di credito afferente l’attività di ricerca e sviluppo, sembra preclusa la via di cui alla cessione ex 1260 del codice civile, secondo cui “il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge”.

Difatti, a contrario, e senza una legittima riconducibilità analogica ovvero estensiva, le norme che disciplinano il credito per ricerca e sviluppo, non presentando alcun richiamo al citato articolo 1260 del c.c., non risulta plausibile assimilare detto credito a quelli per i quali la cessione è stata ammessa, finanche in via interpretativa (risoluzione n. 15/E del 5 marzo 2010 concernente i crediti da rottamazione delle auto).

Il presupposto dell’esistenza del credito in oggetto, difatti, soggiace ad una particolare condizione di esistenza. Il naturale fruitore del credito R&S coincide, infatti, con l’effettivo beneficiario[2]  dell’agevolazione, ossia con colui che effettivamente ha sostenuto la spesa. A tal proposito, è stato più volte ribadito dall’Amministrazione Finanziaria il principio della non trasferibilità[3] dei crediti d’imposta di natura similare giusta natura soggettiva dei medesimi: essi infatti maturano esclusivamente in capo ai soggetti che effettuano l’investimento e non possono essere trasferiti a soggetti terzi per effetto di atti realizzativi. Il trasferimento della titolarità è, infatti, ammissibile unicamente nei casi in cui specifiche norme giuridiche prevedono, al verificarsi dell’operazione, una confusione di diritti e obblighi dei diversi soggetti giuridici interessati; ad esempio, nei casi di fusione[4].

Per la totalità delle motivazioni suesposte, dunque, l’unica via, astrattamente percorribile e giuridicamente congrua, per il trasferimento del credito di siffatta natura risulta essere la sola cessione del ramo d’azienda che lo ha generato.

Le soluzioni giuridiche

A ben vedere, la declaratoria di inammissibilità del Tribunale di Roma non sottende ad uno sconfessamento dell’impianto normativo e suddetta applicazione teorica all’interno del piano, bensì sembra quasi sottolineare (e forse validare) la possibilità di una cessione del ramo contenente il credito afferente l’attività di ricerca e sviluppo a condizione che il ramo non sia passibile di censure tali che sia “improbabile, o quantomeno difficile, configurare un complesso di beni e fattori organizzati per la produzione ai fini della conformazione di un ramo d’azienda oggetto di una procedura competitiva di vendita”.

La soluzione prospettata dalla Corte Capitolina, dunque, inerisce alla verifica della reale consistenza del ramo che ha generato il credito, censurando, quindi, non già l’astratta fattibilità del negozio giuridico ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 105 -108 l.f., bensì la mera assenza degli elementi costitutivi minimi atti a identificare e sostanziare un ramo d’azienda effettivo e non meramente creato artificiosamente ad hoc per fini concorsuali.

Osservazioni

Le osservazioni e conclusioni sono del tenore di condividere, in diritto, le soluzioni prospettate dal Collegio, ritenendo che, prima facie, correttamente il credito d’imposta afferente l’attività di ricerca e sviluppo debba necessariamente essere ceduto mediante il trasferimento del ramo che lo ha generato, ma, del pari sembra che possano emergere delle criticità circa la fattibilità di un tale atto in determinate condizioni.

Si pensi, dunque, alle fattispecie, piuttosto comuni a dire, il vero, in cui l’azienda abbia generato il credito con mezzi e beni di terzi, legittimamente concessi, o con dipendenti poi dimessisi o licenziatisi. Quale sarebbe la soluzione endoconcorsuale o preconcorsuale per non operare in frode ai creditori, garantirne la miglior soddisfazione e, conseguentemente, poter cedere e monetizzare proceduralmente il credito de quo? Appare, dunque, infattibile, strictu sensu et contra ius – e la pronuncia esaminata ne è la prova – promuovere un qualsivoglia trasferimento del suddetto diritto di credito d’imposta allorquando la società in crisi o, comunque, decotta, non possegga più, nel proprio attivo patrimoniale, gli elementi che hanno concorso a comporre naturalmente il ramo ed a generare il credito.

TRIBUNALE ROMA, DECRETO 13 GENNAIO 2022 >> SCARICA IL TESTO PDF

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[1] R.Moro Visconti et al., Scissioni e credito d’imposto per le attività di ricerca e sviluppo, La rivista delle operazioni straordinarie n. 10/2018.

[2] F.Landuzzi, Credito d’imposta R&S e conferimento di azienda, Ecnews, 6 giugno 2018.

[3] A.Berardino, Il Credito R&S non è cedibile a terzi, Directio, 11 Marzo 2019.

[4] E.Reich et al., Ricerca e sviluppo, niente abuso del diritto nel credito trasferito con una doppia fusione, Il Sole 24 ore, 1 Gennaio 2021, successione per decesso dell’imprenditore individuale ovvero, scissione. Nota a risoluzione del 30 giugno 2003, n. 143/E.

 

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