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Limiti, forme e procedure dell’espropriazione forzata su stipendi, pensioni, conti correnti e immobili; quando fare ricorso per l’annullamento del pignoramento.

È un brutto colpo vedersi pignorare una fetta dello stipendio o della pensione o un immobile. Il boccone è ancora più amaro quando si tratta di pignoramento per debiti fiscali non pagati, come quelli derivanti da cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento lasciate scadere; ma il discorso può riguardare anche le multe stradali e le sanzioni amministrative, quando l’importo non saldato raggiunge una certa entità. Se hai ricevuto un pignoramento dall’Agenzia delle Entrate Riscossione e vuoi fare opposizione

devi sapere come funziona il meccanismo e quali sono le forme ed i limiti della procedura di espropriazione forzata intrapresa dall’Amministrazione sui beni del debitore: ci sono delle particolarità che distinguono questa procedura da quella che possono avviare i creditori privati, come le banche, i fornitori e le società finanziarie.

Pignoramento Agenzia Entrate: cos’è e come funziona?

Il pignoramento è il primo atto con il quale l’Agenzia delle Entrate Riscossione intraprende l’azione esecutiva sui beni del debitore, attraverso l’espropriazione forzata delle somme di denaro o dei beni mobili ed immobili di cui egli dispone. In altre parole, il Fisco preleva coattivamente dal patrimonio ciò che il debitore non ha voluto (o potuto) pagare spontaneamente.

A differenza dei pignoramenti intrapresi dai creditori privati (come i fornitori e le banche), che devono passare attraverso un atto di precetto prima di avviare l’azione esecutiva, le norme tributarie [1] consentono all’Agenzia delle Entrate Riscossione di procedere coattivamente per recuperare somme non pagate (tributi, contributi previdenziali, multe stradale, sanzioni e in genere tutti i carichi debitori ad essa affidati) sulla base del ruolo, nel quale vengono iscritti gli importi a debito. L’iscrizione a ruolo costituisce titolo esecutivo per procedere ad espropriazione forzata, al pari di quanto avviene, in ambito civilistico, con il precetto, una sentenza di condanna al pagamento di somme o un decreto ingiuntivo non opposto.

Il pignoramento, però, non scatta in automatico a seguito dell’iscrizione a ruolo delle somme di cui l’Agenzia Entrate Riscossione è creditrice, ma solo quando è decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla data di notifica della cartella di pagamento (alla quale, dal 2010, è equiparato l’

avviso di accertamento esecutivo emesso dall’Agenzia delle Entrate per i tributi di propria competenza).

Come bloccare il pignoramento con la rateazione?

Il pignoramento può essere bloccato se si chiede la rateazione del debito: con il «Decreto Aiuti» dal 18 luglio 2022 è possibile chiedere la rateizzazione con una semplice istanza all’Agenzia Entrate Riscossione per i debiti di importo complessivo fino a 120mila euro, senza bisogno di altre condizioni di ammissione. Per le somme superiori, invece, bisogna comprovare la situazione di difficoltà economica.

L’ammissione al piano di dilazione con il pagamento della prima rata sospende automaticamente i pignoramenti in corso, a meno che non si sia già arrivati nel frattempo alla vendita giudiziaria dei beni immobili o all’assegnazione delle somme pignorate con ordinanza del giudice dell’esecuzione. La rateazione in corso impedisce anche i pignoramenti futuri (basati sulle cartelle comprese nel piano di dilazione) se i versamenti vengono rispettati; si decade, invece, dai benefici della rateazione con otto rate, anche non consecutive, non pagate.

Quanto può pignorare l’Agenzia Entrate Riscossione?

L’Agenzia delle Entrate Riscossione può pignorare gli stipendi, i salari e «ogni altra indennità relativa al rapporto di lavoro o di impiego» [2] in misura pari a:

  • un decimo per gli importi fino a 2500 euro;
  • un settimo per gli importi da 2.500 euro a 5.000 euro;
  • un quinto per gli importi superiori a 5.000 euro.

Le pensioni possono essere pignorate nelle stesse proporzioni, ma solo nella parte eccedente il doppio del «minimo vitale» di sussistenza, che è parametrato all’assegno sociale (nel 2022 pari a 468,28 euro, quindi 936,56 euro) e comunque con un minimo di 1.000 euro: fino a questo ammontare, dunque, la pensione è completamente impignorabile [3].

Quanto agli immobili, il Fisco, a differenza dei creditori privati, non può pignorare la prima casa (intesa come l’abitazione di residenza e dimora, a meno che non sia di lusso) se il debito complessivo non supera 120mila euro.

Pignoramento Agenzia Entrate Riscossione: adempimenti e limiti

La normativa tributaria

[4] dispone che il pignoramento può partire dopo 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento senza che sia intervenuto il pagamento del debito, o la dilazione mediante rateizzazione della cartella. Se però trascorre più di un anno senza l’avvio dell’azione esecutiva, la sola cartella non basta più, e l’Agenzia Entrate Riscossione, prima di poter pignorare, deve notificare al debitore un’intimazione di pagamento, concedendo 5 giorni di tempo per effettuare il versamento delle somme richieste, e il contribuente può ancora rateizzare.

Per i debiti inferiori a mille euro le azioni esecutive non possono iniziare prima di 120 giorni dall’invio da parte dell’Agenzia Entrate Riscossione di una comunicazione contenente il dettaglio del debito.

Pignoramento Agenzia Entrate Riscossione: l’opposizione

Se le condizioni che abbiamo indicato non vengono rispettate, o se la notifica del titolo base (cartella esattoriale e/o intimazione di pagamento) non è validamente avvenuta, è possibile proporre opposizione

con ricorso al giudice territorialmente competente avverso il pignoramento dell’Agenzia Entrate Riscossione.

Tuttavia, ci sono delle particolarità nel caso in cui il pignoramento sia stato compiuto «presso terzi», cioè su soggetti che a loro volta sono debitori di colui che è debitore nei confronti dell’Agenzia Entrate Riscossione: i casi più frequenti sono quelli del datore di lavoro (pubblico o privato) che eroga ogni mese lo stipendio, o dell’Inps che paga la pensione, e delle banche per le somme depositate sui conti correnti. In tali casi, l’atto di pignoramento intima a questi soggetti di versare direttamente all’Agenzia Entrate Riscossione le somme che altrimenti avrebbero dovuto pagare al contribuente debitore (tutto ciò sempre nei limiti di pignorabilità per stipendi, salari, indennità e pensioni che abbiamo già spiegato).

In questi casi, la Corte di Cassazione [5] afferma che nel giudizio di opposizione deve sussistere un «litisconsorzio necessario», dunque serve la partecipazione di tutti e tre i soggetti coinvolti nella procedura: il creditore pignorante (Agenzia Entrate Riscossione), il debitore che ha proposto opposizione ed il cosiddetto «

terzo pignorato», cioè il soggetto (azienda, Inps, banca, ecc.) che a seguito del pignoramento è tenuto a pagare al creditore le somme di competenza del debitore. Se ciò non avviene, il processo svolto è nullo: si tratta della medesima conseguenza prevista per i pignoramenti avviati da soggetti privati, e che la Suprema Corte ha esteso anche a quelli promossi dall’Agenzia Entrate Riscossione ravvisando le stesse ragioni «di sistema, semplicità e coerenza».

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