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La funzione regolatoria della crisi impatterà sicuramente sulle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, oltre che sugli istituti di diritto civile.

L’azione dei creditori sociali, in particolare, è stata espressamente reintrodotta per le società a responsabilità limitata, all’art. 2476, sesto comma, del Codice civile (in seguito, anche c.c.), proprio dall’ art. 378 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in seguito, CCII); norma, quest’ultima, tra le prime a essere entrata subito in vigore quel fatidico sabato 16 marzo 2019.

Per la verità, la giurisprudenza era già approdata, prima del CCII, all’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c. (previsto dalla Riforma delle società di capitali del 2003 solo per le società per azioni) alle società a responsabilità limitata; e ciò sia sulla scorta di una serie di argomenti ricavati dalla interpretazione di altre norme del Codice civile, sia facendo leva sulla ingiustificata disparità di trattamento che si sarebbe venuta a creare, altrimenti, tra i creditori delle società a responsabilità limitata e quelli delle società per azioni.

Ora, l’art. 2394 c.c. è sempre stata una norma dalle potenzialità inespresse, utilizzata per lo più dai curatori fallimentari e cumulativamente con l’azione sociale di responsabilità.

La scarsa fortuna dell’esercizio dell’azione dei creditori sociali durante societate è da individuare nel presupposto della insufficienza del “ patrimonio sociale al soddisfacimento” dei creditori, alla cui configurabilità la stessa norma àncora l’esercizio dell’azione, purché ricorra l’altro presupposto della “ inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale ” (cfr. il primo e il secondo comma dell’art. 2394 c.c.). In particolare, l’insufficienza patrimoniale è stata sempre interpretata dai più come indebitamento superiore all’attivo, con la conseguenza che, fino a oggi, i casi in cui l’azione dei creditori sociali è stata esercitata durante societate sono di numero limitato.

Con l’entrata in vigore del CCII, però, quest’azione potrebbe essere fatta oggetto di una nuova attenzione da parte dei creditori sociali anche quando l’impresa è in bonis .

E ciò dal momento che ci saranno creditori che avranno l’onere, se non addirittura l’obbligo –sulla base della “buona fede” di cui al nuovo art. 4 del CCII- di aderire a soluzioni concordate regolatorie della crisi, che in qualche modo siano ritenute ragionevoli. In questi scenari, se a una situazione di falcidia dei crediti si sia arrivati per inottemperanza del dovere degli organi sociali di istituire e curare il funzionamento degli assetti (organizzativi, amministrativi e contabili) adeguati di cui all’altrettanto nuovo art. 2086, secondo comma, c.c. (norma pure essa introdotta nel nostro sistema dal CCII, il 16 marzo del 2019), l’azione di responsabilità esercitata direttamente da parte dei creditori pregiudicati, allo scopo di conseguire dagli stessi organi sociali -a titolo di risarcimento del danno- la parte di credito falcidiata, potrebbe costituire il giusto contrappeso.

E così, di fronte a un creditore che bussa alla porta della società per il pagamento, magari con un titolo esecutivo in mano, e si sente rispondere dall’amministratore che mancano i fondi, che manca la liquidità per provvedere al pagamento; di fronte a un caso del genere, non commetterà sacrilegio il creditore che gli chieda conto di cosa abbia fatto per rilevare tempestivamente la crisi e per, successivamente, superarla.

Il creditore sociale, quindi, all’amministratore che non paga per carenza di liquidità potrà chiedere conto dell’adempimento dell’obbligo inerente la conservazione del patrimonio sociale, dallo specifico angolo visuale della istituzione degli assetti adeguati (ex art. 2086, secondo comma, c.c.).

Se poi si riconosce, come fanno una parte della giurisprudenza (vedi, tra le altre, Cass., 22.10.1998, n. 10488 e Cass., 10.04.2014, n. 8458) e la prevalente dottrina, natura autonoma e contrattuale all’azione dei creditori, al singolo creditore sociale che non riceva un adeguato riscontro in via stragiudiziale, dovrebbe bastare, in giudizio -sulla scorta dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (che risale a Cass., Sez. Un., 30.10.2001, n. 13533)-, lamentarsi del mancato pagamento e allegare, come si è detto sopra, l’inadempimento qualificato dell’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale, dallo specifico angolo visuale della istituzione degli assetti adeguati e, quindi, della prevenzione della crisi. Certo, per superare la probatio diabolica della insufficienza patrimoniale bisognerebbe, almeno, far precedere l’azione giudiziale di contestazione nei confronti dell’amministratore e degli organi sociali da un tentativo di escussione del patrimonio sociale non andato a buon fine: in questo caso, attraverso il meccanismo delle presunzioni, potrebbe ritenersi configurata l’insufficienza patrimoniale della società, sia pure temporanea (vedi, ad esempio, Tribunale di Milano, 2.10.2006, che ha considerato le risultanze negative di bilancio e il mancato deposito dello stesso negli ultimi esercizi, senza la tempestiva apertura della liquidazione, come un elemento indiziario che denota l’insufficienza del patrimonio ai fini dell’esperibilità dell’azione ex art. 2394 c.c.).

Ovviamente, il creditore sociale avvertito dovrebbe convenire in giudizio anche la società, per il caso in cui quest’ultima dovesse recuperare la capacità finanziaria e, quindi, saldare il suo debito medio tempore. Imbastita così, funditus, una causa di questo tipo potrebbe essere “miracolosa” e far spuntare i soldi che prima non c’erano: giusto il tempo, per i creditori sociali e i loro consulenti, di metabolizzare le nuove norme introdotte dal CCII e, in particolare, le potenzialità dirompenti degli assetti adeguati.

*A cura di Alessandro Palma, Founder di Studio Legale Palma, Socio Centro Studi Borgogna

 

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