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Tra gli indicatori patrimoniali-finanziari spicca, tra gli altri, quello del capitale circolante netto.

Sono stati classificati come indicatori patrimoniali-finanziari:

a. Indice di autonomia finanziaria
b. Patrimonio netto tangibile
c. Margine di struttura
d. Capitale circolante netto
e. Margine di tesoreria

Il Capitale Circolante Netto (CCN) rispetto al margine di tesoreria, che vedremo nel prosieguo, considera nella sua formula le rimanenze finali di magazzino tra le attività a breve termine e così abbiamo (rimanenze finali di magazzino + crediti commerciali netti + altri crediti operativi) a cui sottrarre le passività a breve termine (debiti commerciali netti + altri debiti operativi). 

Ci sono configurazioni di CCN, alla luce del fatto che in letteratura non c’è univocità di terminologia, che includono le disponibilità liquide e la parte a breve delle attività finanziarie tra le attività a breve termine e i debiti finanziari con scadenza entro i 12 mesi successivi tra le passività correnti.  In altri termini, in tale ultima configurazione di CCN si tiene conto di tutte le attività e le passività con scadenza entro i 12 mesi successivi e indipendentemente dalla loro natura se operativa o finanziaria, ottenendo una configurazione di CCN di stampo puramente finanziario (rimanenze finali di magazzino + attività di breve termine entro i 12 mesi) – (passività di breve termine entro i 12 mesi).   

Una condivisa definizione di capitale circolante netto, viceversa, sposa la seguente configurazione di CCN:

  • tutte le attività e passività di breve termine di natura non finanziaria;
  • tutte le attività e passività di breve termine di natura ricorrente nella gestione;
  • tutte le attività e passività di breve termine di natura monetaria e non “contabile”.

Il capitale circolante netto va evidenziato al netto dei fondi rischi e oneri operativi.  

In letteratura si parla anche del CCN commerciale rappresentato dalla differenza tra (rimanenze + crediti commerciali entro i 12 mesi) – (debiti commerciali entro i 12 mesi). 

Così come descritto per le voci che compongono il margine di tesoreria, ci si domanda se le poste di credito o di debito debbano essere considerate come risultanti dall’applicazione del costo ammortizzato o al loro valore nominale.

Il criterio del costo ammortizzato, introdotto di recente dal D.Lgs. n. 139/2015, risponde all’esigenza di redigere il bilancio in ossequio al principio di competenza economica.

Gli indicatori di crisi e di insolvenza, viceversa, rispondono all’esigenza di accertare il livello di solvibilità per almeno i 6 mesi successivi e l’esistenza dei presupposti di continuità aziendale dei prossimi 12 mesi. Conseguentemente, si sposa la posizione di chi pensa che i crediti e i debiti debbano essere valorizzati al loro valore nominale in sede di calcolo di questo indicatore. Solito discorso varrà quando tratteremo del margine di tesoreria.   

Altra questione, è quella relativa alle imposte anticipate che appartengono alla categoria “altri crediti”. Tale credito, non può essere incassato dall’imprenditore se non sotto forma di minori uscite di liquidità negli esercizi successivi e solo sul presupposto dell’esistenza di imponibili fiscali positivi e, quindi, non può rappresentare un asset con il quale fronteggiare l’indebitamento, soprattutto se è quello relativo ai prossimi 6 mesi.

Ed è per questa ragione che si suggerisce di porre molta attenzione a questa posta di bilancio. La sua inclusione deve essere fondata su criteri di ragionevolezza economica.

Le esigenze del legislatore di monitorare la solvibilità aziendale dei prossimi 6 mesi mal si conciliano con l’inclusione della posta di bilancio “crediti per imposte anticipate” in quanto, quest’ultime, impatteranno sulle imposte correnti solo in sede di redazione del dichiarativo fiscale, ovvero in un momento successivo e distante di alcuni mesi rispetto alla chiusura dei conti annuali (bilancio).

Vediamo di approfondire la posta dei crediti per imposte anticipate che, causa le note vicende COVID19, potrebbero impattare negativamente sul bilancio 2020.

Tra i crediti tributari, come già detto, sono da ricomprendere anche il credito per imposte anticipate (voce 5ter della classe II della macroclasse C). Detto credito e mi riferisco a quello derivante dalle perdite fiscali, rappresenta il risparmio fiscale futuro che potremo ottenere grazie al fatto di poter portare in sottrazione, nei limiti di legge, dai redditi imponibili futuri, le perdite fiscali pregresse. Il credito, quindi, per esistere, presuppone l’esistenza di imponibili positivi futuri. Un futuro che non sempre è pienamente nelle mani dell’imprenditore. La loro inclusione, quindi, tra le liquidità differite, richiede, in testa al redattore della reportistica sociale, una attenta analisi salvo incorrere nel rischio di sopravvalutare le liquidità differite (ovvero i crediti) e gli indicatori di perfomance che tengono conto di questa voce di bilancio. Un comportamento prudente potrebbe includere nell’aggregato “liquidità differite” solo il risparmio fiscale ottenibile entro l’esercizio successivo ed escludere la parte del credito di imposta residuo. L’inclusione di detto credito nella sua totalità tra le liquidità differite impone la predisposizione di un business plan (budget pluriennale) da cui si evinca l’esistenza, sul piano della ragionevolezza economica, di redditi positivi futuri. A dir la verità, il business plan, sarebbe dovuto esistere già al tempo della contabilizzazione a bilancio del credito per imposte differite. Infatti, al punto 41 del principio contabile OIC n. 25 si legge “Le attività per imposte anticipate sono rilevate, nel rispetto del principio della prudenza, solo quando vi è la ragionevole certezza del loro futuro recupero.

La ragionevole certezza è comprovata quando:

  • esiste una proiezione dei risultati fiscali della società (pianificazione fiscale) per un periodo di tempo ragionevole, da cui si evince l’esistenza, negli esercizi in cui si annulleranno le differenze temporanee deducibili, di redditi imponibili non inferiori all’ammontare delle differenze che si annulleranno;
  • negli esercizi in cui si prevede l’annullamento della differenza temporanea deducibile, vi sono sufficienti differenze temporanee imponibili di cui si prevede l’annullamento”.

Il capitale circolante netto nella sua versione operativa e commerciale costituisce un indicatore di fondamentale importanza per la salute finanziaria di un’azienda, in quanto rappresenta l’insieme delle risorse destinate al ciclo di trasformazione e vendita, dal momento che al suo interno sono valorizzate le risorse che vengono prima acquistate (rappresentate dai debiti verso fornitori), successivamente trasformate (e stoccate in magazzino) e infine vendute (rappresentate dai crediti commerciali). Si comprende dunque come tale indicatore costituisca, specialmente per le aziende industriali e commerciali, uno dei fattori critici determinanti da monitorare e gestire.

Un valore positivo di tale indicatore tendenzialmente si può assimilare ad uno stato di solidità finanziaria, in quanto suggerisce che le attività di breve termine, se disinvestite, possono fronteggiare l’indebitamento di breve termine. 

Tuttavia, dal punto di vista della liquidità in senso stretto, più è elevato tale indicatore, maggiore sarà il fabbisogno finanziario e l’assorbimento della cassa, in quanto vorrebbe dire tendenzialmente che l’azienda non riesce a vendere i propri prodotti (e quindi accumula scorte) o che per venderli ha bisogno di concedere più dilazione di pagamento ai propri clienti (maggiori crediti). Si immagini, ad esempio, una situazione in cui in un anno l’azienda si ritrovi con un capitale circolante operativo che cresce, rispetto all’anno precedente, in un rapporto di 1 a 1 con il fatturato. Questa circostanza, nella maggior parte dei casi, sarebbe l’inconfutabile presagio di una situazione di crisi di liquidità e di insolvenza da parte dell’azienda, in quanto vorrebbe dire che la manifestazione numeraria e finanziaria (ossia gli incassi) derivante dalla vendita dei prodotti si presenta molto in là rispetto alla manifestazione patrimoniale (ossia l’accensione del credito) e a quella reddituale (ossia la registrazione del ricavo). In questo caso, per niente infrequente nella realtà, il capitale circolante commerciale verrebbe a costituire il debito a breve termine contratto dall’azienda per finanziare la propria attività operativa e non è un caso infatti se, in una tale situazione, generalmente aumenti anche la posizione finanziaria netta di breve termine, per effetto dei minori incassi derivanti dalle vendite e quindi che aumenti anche il grado di rischio dell’azienda. 

In tale contesto, dunque, il monitoraggio del ciclo del circolante diventa fondamentale per la gestione della propria situazione finanziaria e per intervenire eventualmente nelle sue singole componenti, onde evitare possibili situazioni di crisi. Maggiore (minore) infatti sarà la durata del ciclo del circolante, maggiore (minore) sarà l’assorbimento di cassa dell’azienda e quindi maggiore (minore) il rischio di possibili tensioni finanziarie.

Nonostante ciò, spesso gli imprenditori, specialmente quelli di imprese di piccole dimensioni che, per ragioni anche pratiche, non sono abituati a pensare in ottica finanziaria o non possiedono un assetto contabile e amministrativo adeguato, ne sottostimano l’importanza, non attribuendo il giusto peso invece al fatto che dal monitoraggio costante del CCN è possibile evitare crisi di liquidità e la possibilità di compromettere l’equilibrio finanziario.

Ecco che allora le novità introdotte dal Decreto Legislativo n. 14/2019 devono essere lette come un monito nei confronti delle suddette aziende e allo stesso tempo devono servire da stimolo nei confronti degli organi gestori affinché includano nelle loro attività periodiche, la determinazione e il monitoraggio del ciclo del circolante, con una frequenza almeno trimestrale (art.24 CCI). Tale monitoraggio potrebbe avvenire, ad esempio, prevedendo un controllo più frequente delle variazioni dei crediti, dei debiti e del magazzino al fine di verificare se tali variazioni sono in linea con le attese. In generale, sarà dunque necessario, per quanto possibile, indirizzare le aziende verso una maggiore attenzione al controllo di gestione, magari dotandole di sistemi di controllo di gestione e di reporting, nonché di figure professionali chiave (come ad esempio il direttore finanziario ovvero il direttore amministrazione-finanza e controllo – CFO) che siano adeguati a tali scopi. Per la costruzione di tale indicatore, invitiamo il lettore a prendere nota, non solo dello schema civilistico di stato patrimoniale (art. 2424 c.c.), ma anche dei principi contabili OIC dove troviamo il dettaglio analitico e descrittivo delle poste contabili che compongono le voci di bilancio (numeri arabi) riprese nello schema civilistico. Esempio, il principio contabile OIC n. 13 tratta delle rimanenze, il n. 15 dei crediti e il n. 19 dei debiti.  

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