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Come funziona il pignoramento del conto corrente e quali sono i limiti di legge per l’attuazione della misura? È questa una delle domande che, negli ultimi tempi, sta coinvolgendo sempre più cittadini: complice la possibile introduzione di nuove procedure nella bozza della Legge di Bilancio 2024, l’argomento è tornato di stretta attualità.

In linea generale, si può definire il pignoramento del conto corrente come una procedura ordinaria volta al recupero di un credito. Nella pratica, il conto del debitore viene bloccato, affinché le autorità possano prelevare la somma necessaria per saldare il creditore. Tuttavia, questa misura può essere applicata solo in alcuni specifici casi e, soprattutto, deve sottostare a precisi limiti stabiliti dalla legge. 

Cos’è il pignoramento del conto corrente

Così come già anticipato, il pignoramento del conto corrente è una misura prevista per il recupero di un credito che, per varie ragioni, il debitore non ha provveduto a saldare. Questa procedura rientra a pieno titolo nei pignoramenti presso terzi, regolamentati dagli articoli 492 e 543 del Codice di Procedura Civile, perché coinvolge appunto un terzo soggetto: la banca o l’istituto di credito dove il denaro risulta depositato. Si tratta quindi di una misura ben diversa rispetto ad altri beni di cui il debitore fruisce, come ad esempio il pignoramento della prima casa, noto anche come pignoramento immobiliare: in questo caso non sono ovviamente coinvolti terzi.

Quello del pignoramento del conto corrente non è un processo automatico, ma avviene dopo aver accertato che il debitore non riesce a saldare il debito in modo autonomo, volontariamente o per altre ragioni. Per questa ragione, la misura viene applicata solo a seguito dell’emissione di un titolo esecutivo – come un decreto ingiuntivo oppure una sentenza – attraverso l’intervento di un ufficiale giudiziario.

Le fasi del pignoramento del conto corrente

Proprio poiché la presenza di un titolo esecutivo rappresenta la premessa per poter avviare il processo di esproprio presso terzi, il procedimento per il pignoramento del conto corrente segue diverse fasi.

Come facile intuire, la prima fase è rappresentata dall’ottenimento del titolo esecutivo sul credito maturato. Quando il creditore non riesce a ottenere il pagamento di quanto gli spetta, dopo aver cercato di accordarsi con il creditore per il rientro della cifra o una sua rateizzazione, può ottenere un documento ufficiale che certifica l’esistenza del debito. Fra questi documenti vi rientrano:

  • atti pubblici attestanti il prestito di denaro, sottoscritti in presenza di un notaio;
  • mutui, assegni e cambiali;
  • atti di conciliazione firmati da entrambe le parti.
  • sentenze di condanna;
  • decreti ingiuntivi, purché siano passati 40 giorni dalla loro notifica.

Ottenuto il titolo esecutivo, e rispettati i vincoli di legge, viene prima inoltrato un atto di precetto al debitore. Se quest’ultimo non procede a saldare il debito entro dieci giorni, l’ufficiale giudiziario può procedere a inoltrare un atto di pignoramento all’istituto di credito. A questo punto, la banca blocca sul conto del debitore una somma di denaro pari allo stesso debito, di cui il proprietario del conto corrente non potrà più disporre. Prima che il denaro venga effettivamente versato al creditore, si devono però completare altri passaggi:

  • il debitore ha 20 giorni dalla notifica dell’atto per opporsi al pignoramento, ad esempio se il debito in realtà non sussiste. In caso l’opposizione venga accolta, la procedura di pignoramento viene bloccata;
  • se l’opposizione viene respinta, o non presentata, passati i 20 giorni la somma viene assegnata al creditore. Se vi sono fondi sufficienti per saldare completamente il debito, la procedura viene chiusa. In caso contrario, si può procedere con altri atti per la parte di denaro ancora da saldare.

Pignoramento da privati e dall’Agenzia delle Entrate

Naturalmente, la procedura di recupero del credito – e quindi di pignoramento presso terzi – può essere richiesta sia da un creditore privato che dall’Agenzia delle Entrate, ad esempio in presenza di debiti accumulati verso lo Stato.

Mentre nel pignoramento del conto corrente da privato è necessario un titolo esecutivo, come appunto una sentenza o un decreto ingiuntivo, l’Agenzia delle Entrate può inoltrare la richiesta alla banca senza l’autorizzazione di un giudice. In questo caso, dopo la notifica all’istituto di credito e allo stesso debitore, quest’ultimo ha 60 giorni per procedere autonomamente al pagamento, dopodiché la somma verrà espropriata.

I vincoli del pignoramento del conto corrente

Come visto nei precedenti paragrafi, quella del pignoramento del conto corrente non è una procedura automatica: è necessario un titolo esecutivo e l’intervento di un ufficiale giudiziario, fatta eccezione per i debiti contratti con l’Agenzia delle Entrate. Oltre a questo, vi sono poi dei precisi limiti di applicazione: la normativa in materia è molto complessa, quali sono perciò i più rilevanti?

Il “minimo vitale” e il pignoramento dello stipendio

Di norma, il pignoramento del conto corrente non porta al blocco dell’intera somma depositata presso la propria banca, bensì viene garantito un cosiddetto “minimo vitale”. In altre parole, può essere pignorata la porzione di denaro che eccede il triplo dell’assegno sociale: considerato un attuale assegno pari a 502,27 euro, la misura riguarderà le somme eccedenti 1.509,81 euro.

Non è però tutto: se il conto corrente oggetto di pignoramento viene utilizzato per l’accredito dello stipendio, quindi sono presenti dei versamenti ricorrenti, il minimo vitale è pari al doppio dell’assegno sociale, cioè 1.006,54 euro. In questo caso, si applicano però dei limiti:

  • è possibile pignorare un 1/5 dello stipendio per i debiti da lavoro;
  • è possibile pignorare 1/3 dello stipendio se il debito è sugli alimenti previsti per legge.

A dispetto delle credenze comuni, è quindi facile intuire che il pignoramento del conto corrente non comporta il blocco totale dei fondi a disposizione del debitore. Nella pratica, quest’ultimo potrà continuare a prelevare dal conto:

  • la porzione di stipendio afferente al minimo vitale;
  • la porzione di denaro depositato eccedente il valore del debito da saldare.

È però utile ricordare che le banche potrebbero prevedere limitazioni specifiche alle operazioni in presenza di procedimenti giudiziari, secondo gli accordi presi con il proprio istituto di credito. Ancora, è bene ricordare che il creditore potrà richiedere l’esproprio sia del valore del credito che degli interessi e delle spese sostenute per ottenerlo, per un massimo del credito stesso aumentato della metà.

I limiti di pignoramento da parte dell’Agenzia delle Entrate

Quando il debito contratto è con l’Agenzia delle Entrate, e il conto è utilizzato per versamenti ricorrenti come appunto lo stipendio, vi sono altri limiti da prendere in considerazione:

  • se l’importo è inferiore a 2.500 euro, è pignorabile 1/10 dello stipendio;
  • se l’importo è inferiore a 5.000 euro, è pignorabile 1/7 dello stipendio;
  • se l’importo è superiore ai 5.000 euro, è pignorabile 1/5 dello stipendio.

I limiti per pensioni e conti cointestati 

Vi sono poi dei limiti relativi a casi specifici, come ad esempio in presenza di versamenti pensionistici o di un conto cointestato. Come si procede, in questi casi?

  • Se sul conto corrente avvengono versamenti ricorrenti legati alla pensione, oltre al minimo vitale non si può procedere al pignoramento di un quinto dell’assegno mensile;
  • Se il conto corrente è cointestato, il pignoramento riguarderà solo il 50% dell’intera somma depositata.

Quando non è possibile procedere al pignoramento del conto corrente

Infine, vi sono tre casistiche che non permettono di procedere al pignoramento del conto corrente. Queste dipendono dalla natura dei versamenti ricorrenti che vengono effettuati sullo stesso conto. In particolare, la procedura è inibita se sul conto sono presenti unicamenti fondi derivanti da:

  • l’accompagnamento per disabili;
  • le pensioni di invalidità;
  • le rendite da assicurazioni sulla vita.

Cosa accade se il conto del debitore è vuoto

Quando si valuta di richiedere l’intervento dell’ufficiale giudiziario per il recupero di un credito non saldato, è necessario prendere in debita considerazione una casistica frequente: un conto corrente vuoto da parte del debitore, ovvero in rosso. Come si procede in questi casi? Di norma, lo spazio d’azione è limitato a due principali scelte:

  • rinunciare al credito, che avviene presso il Tribunale con un’apposita dichiarazione;
  • attendere l’arrivo sul conto di altri fondi, ovviamente considerando sempre la somma eccedente il triplo del minimo vitale previsto per legge.

Per questa ragione, il consiglio è quello di affidarsi a un buon legale, anche per valutare la possibilità di seguire altre strade – se consentite dalla legge – per recuperare il proprio credito.

 

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