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La controversia sorge a seguito della stipula di un contratto di mutuo fondiario, a seguito del quale, in corso di rapporto, le parti stipulanti hanno convenuto in giudizio la Banca al fine di ottenere una pronuncia di illegittimità della somme corrisposte a titolo di interessi, ovvero in ipotesi, gli importi superiori agli interessi legali, in virtù del fatto che tramite analisi delle risultanze del conto si era riscontrata l’applicazione di tassi di interessi superiori a quelli di usura, oltre all’applicazione di interessi superiori a quelli contrattualmente convenuti, conseguentemente, configurandosi una potenziale condotta illecita posta in essere dalla Banca in danno della parte e tale da giustificare la rideterminazione del credito ma anche la possibile condanna della Banca alla restituzione delle somme indebitamente trattenute a titolo di interessi. Con memoria ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c. era stato prospettato anche il superamento dei tassi soglia in conseguenza degli effetti anatocistici del piano di ammortamento adottato, così con sentenza veniva disattesa la domanda di nullità del contratto di mutuo per contrasto con la disciplina antiusura, e con contestuale ordinanza era disposta la remissione in istruttoria al fine di verificare la validità del contratto in riferimento alla indeterminata pattuizione delle clausole negoziali.

Nel contratto di mutuo fondiario – il cui accertamento della invalidità delle sue clausole costituiva oggetto della domanda principale – le parti hanno previsto un rimborso del capitale finanziato mediante 30 rate semestrali costanti di importo non specificato (c.d. “alla francese”) comprensive di una quota progressivamente crescente di capitale interessi con scadenza; un periodo di preammortamento di due anni, ed un successivo periodo di ammortamento di 15 anni, con impegno della parte mutuataria alla restituzione del finanziamento in 30 rate semestrali di euro 53.409,14, comprensive di interessi e capitale.

Gli interessi corrispettivi venivano concordati in misura variabile, in base al parametro costituito da media dell’Euribor 360 a sei mesi, arrotondata ai cinque centesimi superiori e riferito alla data del mese antecedente a quella di scadenza della rata precedente, pari all’epoca al 2,15 % maggiorato di una percentuale (c.d. spread) di 1,80% all’anno.

Con riferimento al tasso di interesse concordato la questione posta dalla parte attrice concerneva se il regolamento negoziale, nel suo complesso, rispondesse ai requisiti richiesti, anche a pena di nullità, dall’art. 123 TUB, per quanto riguarda la determinazione del regime di capitalizzazione degli interessi applicato e la indicazione del TAE. Sul punto, le stesse norme sulla trasparenza bancaria prevedono che gli intermediari finanziari debbano indicare ai clienti, consumatori o meno, il costo complessivo del finanziamento attraverso l’inserimento nei contratti di un indicatore espresso con l’acronimo ISC o TAEG (quest’ultimo relativo al credito al consumo). Per l’Indicatore Sintetico di Costo (ISC), è necessario fa riferimento alla Delibera C.I.C.R. 4 marzo 2003, ove all’art. 9 relativamente alle informazioni contrattuali nei contratti, prevede che al contratto debba essere unito un documento di sintesi delle principali condizioni contrattuali, lasciando però la determinazione dei criteri alla Banca d’Italia e anche le operazioni e servizi per i quali gli intermediari sono obbligati a rendere noto l’ISC. Così le istruzioni della Banca d’Italia prescrivono che l’ISC deve essere riportato non solo nel documento di sintesi, ma anche nel contatto, in quanto avente la finalità di informare il cliente in ordine al costo complessivo dell’operazione. Così che qualora l’ISC indicato risulti scorretto, va rilevata la nullità rispetto alla singola clausola e la rideterminazione degli interessi ai tassi minimi dei BOT, così come previsto dagli artt. 117 e 125 bis TUB.

Nel caso di specie, il tasso di interessi di corrispettivo è stato previsto in misura variabile e la questione sollevata attiene, quindi, al meccanismo concreto di determinazione della quota di intessere sulla singola rata che, nella prospettazione di parte attrice, essendo a scadenza semestrale sarebbe stata determinata sulla base di una formula attuariale che sconta l’applicazione di un regime di capitalizzazione a tasso composto e che quindi comprende un meccanismo implicito di anatocismo. Punto di partenza, dunque, è costituito dal fatto che la mancata indicazione in contratto del TAEG, secondo l’indirizzo maggioritario non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto, ma svolge la funzione informativa volta a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi, sicché in tale prospettivo, l’omessa indicazione del TAEG non incide sulla validità del contratto ex art. 117 TUB, ma al massimo può rilevare sotto il profilo della responsabilità precontrattuale. Così la S.C., in coerenza con tale impostazione, ha precisato che nella vigenza del TUB e in particolare con riferimento all’art. 117 dello stesso T.U., il tasso di interesse può essere determinato “per relationem” con esclusione del rinvio agli usi, purché il contratto richiami criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non siano determinato unilateralmente dalla Banca[1].

In tale prospettiva, almeno in apparenza il tasso corrispettivo applicabile, alla data del contratto, doveva ritenersi sufficientemente determinato qualora il mutuatario, nel corso del rapporto mantenesse la possibilità di verificare la rispondenza del piano di ammortamento applicato, suscettibile di modifiche in ragione della variabilità del tasso. Nel caso di specie, dall’analisi operata dal CTU si da rilievo al fatto che non risultava allegato al contratto di mutuo un piano di ammortamento elaborato al momento della sottoscrizione, in quanto non richiamato dal contratto originario, né dal successivo atto di riduzione. Di conseguenza, in assenza di specificazione di TAE e del regime di capitalizzazione degli interessi, di fatto il mutuatario non era in grado di ricostruite adeguatamente la corretta rideterminazione degli interessi nel corso del rapporto, sempre suscettibile di modifiche automatiche al variare del riferimento Euribor. Da tale valutazione ne deriva un ineliminabile grado di indeterminatezza delle clausole relative al computo degli interessi da applicare, che giustifica la pretesi di dichiarare la nullità della clausola determinativa degli interessi e l’applicazione dei tassi di interessi nella misura legale, alla luce di tali considerazione il Tribunale ha ritenuto di accogliere la richiesta di rideterminazione degli importi ancora dovuti e la richiesta di rideterminazione degli interessi ai tassi minimi dei BOT, così come statuito dagli artt. 117 e 125 bis TUB. Il Tribunale si è pronunciato dichiarando la nullità parziale del contratto di mutuo fondiario relativamente alle clausole di determinazione degli interessi, e rideterminando il credito della banca mutuante nei confronti degli attori per effetto della dichiarazione della nullità parziale.

 

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[1] Così, Cass., 26 giugno 2019, n. 17110.

 

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