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Girolamo Sirchia è stato ministro della Salute tecnico del secondo Governo Berlusconi dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2005. Ancora oggi, a 89 anni, è da tanti considerato un medico stimato e un politico attento. Al suo nome si lega la storica legge n. 3 del 16 gennaio 2003 per il contrasto al fumo di in ambienti sanitari, di vita e di lavoro. Una norma che ha compiuto venti anni e il cui bilancio è senz’altro positivo, avendo accompagnato un passaggio culturale ma anche servita a dare valore al concetto di prevenzione diventato tema centrale in tutti i piani sanitari. Sirchia denuncia tuttavia un progressivo calo di attenzione e chiede oggi di riaccendere i fari su questo e altri temi legati agli stili di vita.

Professor Sirchia in quale contesto nacque la sua legge?
«Nel 2003, quando fu introdotto il divieto di fumo nei locali chiusi e aperti al pubblico, il clima era completamente diverso, tutto a favore dei fumatori. Anche in Parlamento ci furono molte resistenze in ogni schieramento. Si fumava ovunque, era tollerato anche in ambiente sanitario e ogni limitazione veniva vissuta, commentata, accompagnata come un ostacolo alla libertà individuale. Il rischio di subire gravi malattie in conseguenza di questa abitudine socialmente approvata veniva rimosso sistematicamente nei dialoghi come sui media. Anche il costume ne risentiva: in tutti gli uffici i posacenere erano, ad esempio, un elegante e irrinunciabile elemento di arredo».

Oggi invece è l’opposto?
«Appunto, è stato scavato un abisso che ha progressivamente capovolto il modo in cui si ci relaziona con il divieto di fumo non più vissuto come una imposizione ma anzi difeso da tutti come un diritto civile. Oggi è impossibile imbattersi in locali pubblici e luoghi di lavoro in cui si fuma. E se capita che qualcuno accenda una sigaretta il peso e la responsabilità, la protesta di chi ne è danneggiato spingono il fumatore ad andare fuori e a vergognarsi quasi della propria abitudine. Anche le multinazionali del tabacco hanno dovuto rinunciare alle tradizionali pubblicità. È stato un grande risultato aver scalfito la sostanziale sensazione di impunità che c’era inizialmente tra i fumatori».

Quella legge ha bisogno di un tagliando?
«È stata una grande battaglia ma dopo 20 anni serve uno sforzo per rilanciarne i contenuti anche sul piano politico e culturale. I fumatori, soprattutto tra i giovani, sono tornati ad aumentare. L’attenzione politica si è pian piano affievolita».

La legge non è più attuale?
«È attualissima, ma bisogna difenderla. Questa norma in questi anni si è salvata grazie alla forza di volontà dei cittadini che ne hanno compreso l’importanza e spesso l’hanno difesa a partire dalle prerogative educative di quel provvedimento».

Quali sono stati i risultati in termini epidemiologici?
«La norma ha sicuramente contribuito a ridurre i ricoveri per asma, l’incidenza di alcuni tumori legati al fumo e delle malattie cardiorespiratorie. Il numero di fumatori in Italia negli ultimi decenni è diminuito. La tendenza tuttavia si è recentemente invertita: se tra il 2003 e il 2020 i fumatori erano scesi dal 33% al 22% della popolazione con più di 15 anni, tra il 2020 e il 2022 la quota è risalita al 24,2%».

Cosa andrebbe fatto?
«Una scelta di campo netta. Il prezzo delle sigarette resta ancora troppo basso in Italia, molto di più che in altri paesi europei. I giovani, più vulnerabili alle pressioni sociali e culturali, riducono il consumo solo quando i prezzi salgono. Serve uno sforzo in più per portare avanti l’agenda antifumo vietando nei luoghi chiusi anche i nuovi prodotti tipo la sigaretta elettronica che restano un incentivo».

Cosa provoca la nicotina?
«È un’alcaloide che dà assuefazione, provoca disturbi cardiovascolari, reazioni neurologiche, tachicardia, danni miocardici e muscolari e come molti alcaloidi provoca assuefazione».

Quale deve essere la linea generale da seguire?
«Puntare alla salvaguardia della Salute agendo su tutte le leve e i livelli andando dall’alimentazione, all’alcol, dalle dipendenze patologiche all’attività fisica e agli stili di vita».

E invece?
«Invece mangiamo sempre più cibi industriali e assistiamo alla nascita di negozi in cui si vende anche la Cannabis».

Quale alimentazione preferire?
«Andrebbe tutelata la Dieta mediterranea, il biologico, le filiere corte, il patrimonio gastronomico, contrastati gli allevamenti intensivi dove c’è uso e abuso di antibiotici che contribuiscono alle resistenze quando servono per curare i malati. Cultura, turismo, storia, paesaggio, buona cucina della tradizione sarebbero le strade da incentivare per una politica orientata alla salute senza rinunciare allo sviluppo e all’economia. Finché l’Italia ha seguito un’alimentazione corretta, erede delle nostre radici contadine, era un Paese felice e a basso rischio cardiovascolare. Adesso siamo passati tra le popolazioni a medio rischio per il progressivo aumento del consumo di prodotti e cibi industriali con eccessiva presenza di zuccheri semplici, grassi saturi, farinacei a rapido assorbimento e alto indice glicemico. Così crescono obesità, diabete e malattie cardiovascolari. E non facciamo nulla per modificare questi comportamenti errati. Un paese che non fa nulla è colpevole».
 

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