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La famosa fashion blogger Chiara Ferragni torna a far parlare di sé. Questa volta non sui social network o sulle riviste di moda, bensì davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

L’8 febbraio 2019 la Corte ha affermato che il marchio figurativo “CHIARA FERRAGNI” costituisce un marchio dell’Unione Europea[1]. La fashion blogger potrà dunque proseguire il suo progetto di internazionalizzazione dei suoi prodotti senza incorrere in ostacoli giuridici. Ma l’importanza della decisione non risiede solamente in questo elemento.

Infatti, i giudici del Lussemburgo offrono una chiara esplicazione di come debba essere effettuato il difficile esercizio di analisi della similarità tra due segni e di applicazione dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza e dalla pratica degli Uffici.

Ripercorriamo brevemente la vicenda che ha portato alla pronuncia.

Il 9 luglio 2015 Serendipity, la compagnia di cui fa parte Chiara Ferragni, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione Europea all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO). I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione del famoso marchio con l’occhio, rientrano nella classe 18 (borse, sacche, valigie ecc..) e 25 (abbigliamento, calzature ecc..).

Non molto dopo la compagnia olandese CLK Holdings NV, proprietaria del marchio “CHIARA”, decide di iniziare la procedura di opposizione sulla base dell’articolo 8 (1) (b) del regolamento 2017/1001 (motivi di rifiuto relativi)[2]. Infatti, secondo la compagnia il marchio di cui la Ferragni chiedeva la registrazione poteva portare il pubblico di riferimento ad un rischio di confusione con il preesistente segno “CHIARA”, registrato nel Benelux per alcuni prodotti della classe 25.

La divisione di opposizione si schiera in favore di quest’ultima, accogliendo parzialmente l’opposizione per quanto riguarda “borse, sacche, astucci, portamonete” della classe 18 e tutti i prodotti della classe 25. Secondo gli esaminatori, infatti, il marchio CHIARA FERRAGNI è facilmente confondibile con il segno CHIARA.

Il tentativo di appello si risolve in un clamoroso insuccesso per l’influencer. Il Fourth Board of Appeal considera, prima di tutto, che il pubblico di riferimento per entrambi i marchi è costituito dal pubblico dei tre paesi del Benelux. Inoltre, i prodotti per cui la Ferragni chiedeva la registrazione nella classe 25 erano identici ai prodotti designati dal marchio anteriore e quelli appartenenti alla classe 18 presentavano una “somiglianza di grado medio”. In particolare, la commissione sosteneva che a livello visivo la somiglianza tra i due segni era di un “grado medio”, a livello fonetico “al di sopra della media” e a livello concettuale era “neutrale”.

Il rischio di confusione era dunque evidente per l’EUIPO.  Ma ovviamente l’appello davanti alla Corte di Giustizia non si è fatto attendere.

La decisione della Corte

Dopo aver constatato l’inesistenza di errori da parte del Board of Appeal relativi all’individuazione del pubblico di riferimento e al fatto che i prodotti contrassegnati dai marchi fossero identici, la Corte di Giustizia ha ricordato il metodo generale che deve essere adottato per valutare le somiglianze tra due segni.

Due marchi sono simili quando “dal punto di vista del pubblico di riferimento, esiste tra loro un’uguaglianza almeno parziale per quanto riguarda uno o più aspetti pertinenti”[3]. La Corte ricorda come l’analisi della somiglianza debba fondarsi cumulativamente su un livello visivo, fonetico e concettuale, tenendo in considerazione in particolare gli elementi distintivi di ciascun segno.

Gli elementi distintivi e denominanti del marchio

Prima di tutto la Corte analizza se il marchio Chiara Ferragni sia caratterizzato da elementi distintivi.

Questo marchio complesso consiste in un occhio azzurro stilizzato con delle lunghe ciglia nere realizzato in un modo particolare, facilmente identificabile dal consumatore. Secondo i giudici dunque, tale marchio non può essere considerato meramente ornamentale.

Inoltre, poiché il segno non possiede alcun collegamento con i prodotti rivendicati e non rappresenta una descrizione di questi, l’elemento figurativo possiede anche un “carattere distintivo intrinseco”. Infatti, ricordiamo che nella giurisprudenza, per analizzare la capacità distintiva di un marchio, è comune distinguere tra marchi deboli e forti. Un marchio può essere definito forte quando è costituito da un segno privo di riferimento con il prodotto che contraddistingue (es. il marchio Apple utilizzato su prodotti tech). Viceversa, un marchio è considerato debole, se si limita ad evocare il prodotto o il servizio cui si riferisce e rappresenta una mera descrizione della natura o qualità di questo[4](es. il marchio Apple applicato su delle mele).

Inoltre, non solo nel marchio oggetto di analisi l’elemento figurativo è posto al di sopra dell’elemento denominativo, ma le sue dimensioni superano di gran lunga quelle di quest’ultimo. Pertanto, non deve essere applicato nessun automatismo che porti a dire che l’elemento nominativo del marchio costituisca in ogni caso la parte dominante e distintiva di questo (come invece rilevato dal Fourth Board of Appeal).

Ne consegue dunque che l’analisi sulla somiglianza non può essere effettuata tenendo solamente in considerazione l’elemento verbale, ma questa deve tener conto di una comparazione globale di tutti gli elementi.

 Il livello debole di somiglianza visiva

Nonostante sia evidente che due marchi debbano essere considerati simili se un segno anteriore viene incluso nella sua totalità in un marchio successivo[5], secondo la Corte il fulcro dell’esame deve consistere piuttosto nel determinare il livello di tale somiglianza. Tale similarità può essere considerata nella media (come sostenuto dall’EUIPO) o debole (come sostenuto dai richiedenti)?

La Corte del Lussemburgo inizia la sua analisi rilevando come l’importanza dell’elemento figurativo nel segno “CHIARA FERRAGNI” sia importante quanto l’elemento verbale e contribuisca in modo importante all’impressione visiva complessiva di questo. Inoltre, rileva che l’elemento “FERRAGNI”, essendo più lungo, sia visivamente più importante di “CHIARA” (8 lettere contro 6).

Ne consegue che tra il marchio anteriore «CHIARA» e il segno «CHIARA FERRAGNI» vi sia un debole livello di somiglianza visiva, a differenza da quanto rilevato dal Fourth Board of Appeal.

A questo punto la Corte di Giustizia ha messo in guardia contro un’applicazione “automatica” di determinati criteri stabiliti dalla giurisprudenza precedente. Così, ad esempio, mentre è vero che in linea di principio la parte iniziale di un segno è più rilevante della parte finale, non sempre è così.

Ciò che importa è l’impressione generale e complessiva trasmessa dai segni in questione, poiché il consumatore medio normalmente percepisce un segno nel suo insieme e non ne esamina i singoli elementi[6]. Anche l’idea che il nome “Chiara” possa sembrare un po’ “esotico” per il pubblico di riferimento (Benelux), non compensa il fatto che la somiglianza visiva tra i segni in questione sia debole.

Il livello medio/basso di somiglianza fonetica

Passando alla valutazione della somiglianza fonetica, la Corte ha osservato che il nome ‘FERRAGNI’, data la sua lunghezza, sia più rilevante foneticamente dell’elemento ‘CHIARA”: “le sei sillabe formate dal marchio richiesto si distinguono per lunghezza, ritmo e accentuazione dalle tre sillabe che compongono il marchio anteriore esaminato” (paragrafo 57). Infatti, le sillabe che si ritrovano in entrambi i marchi sono solo due, ovvero “chia” e “ra”.

Si dovrebbe evitare, ancora una volta, qualsiasi automatismo e pensare che solo perché “CHIARA” viene prima di “FERRAGNI”, il primo sia più importante di quest’ultimo.

In quanto tale, la somiglianza fonetica tra i segni “CHIARA” e “CHIARA FERRAGNI”, sebbene esistente, dovrebbe essere considerata media se non addirittura tenue.

L’inesistenza di una somiglianza concettuale

Passando alla valutazione della somiglianza concettuale, la ricorrente ha affermato che “CHIARA FERRAGNI” gode di una reputazione che “CHIARA” non possiede, in quanto è il nome e il cognome della “fashion blogger Chiara Ferragni, conosciuta in tutto il mondo come persona influente nel campo della moda e nota già al momento del deposito del marchio richiesto ” (paragrafo 63).

A sostegno di ciò, il richiedente ha fornito un estratto di Wikipedia, una copia del profilo Instagram di Chiara Ferragni e diversi estratti di pubblicazioni nel settore della moda in diversi paesi. Solo perché i marchi contengono lo stesso nome femminile, ciò non significa che i segni siano concettualmente simili. Infatti, il marchio richiesto identifica e contraddistingue una determinata persona, mentre il marchio anteriore si riferisce solo a un generico nome femminile[7].

Ne consegue che non sussiste alcuna somiglianza concettuale tra “CHIARA” e “CHIARA FERRAGNI”. Questa conclusione è ulteriormente rafforzata dalla presenza, nel secondo segno, di un elemento figurativo (l’occhio) con un “contenuto semantico molto preciso“, che non può essere rinvenuto nel marchio preesistente.

In quanto tale, il Board of Appeal ha errato nel ritenere che la somiglianza concettuale tra i segni sarebbe “neutrale“.

L’esclusione di un rischio di confusione

Il Tribunale ha constatato che la conclusione errata riguardante la somiglianza visiva tra i segni aveva anche portato a una constatazione errata riguardante la sussistenza di un rischio di confusione. La Corte di Giustizia ha infatti affermato che “nonostante l’esistenza di un’identità o di una somiglianza tra i prodotti in questione, le differenze tra i segni esaminati, in particolare sotto il profilo visivo, costituiscono motivi sufficienti per escludere la sussistenza di un rischio di confusione nella percezione del pubblico di riferimento” (paragrafo 86).

Conclusione

Questa decisione è di particolare importanza perché, come rilevato precedentemente, la Corte offre una chiara spiegazione di come debba essere effettuata l’analisi della similarità tra due segni. È evidente che ogni tipo di automatismo decisionale dipendente da una precedente giurisprudenza non debba essere vincolante e sostitutivo del ragionamento di merito dei giudici. Secondo la Corte i criteri esistenti per verificare la somiglianza tra due marchi non devono essere applicati rigidamente ad ogni situazione, ma devono piuttosto essere considerati come una sorta di linee guida.

La sentenza rappresenta dunque un invito all’EUIPO di dar prova di una certa flessibilità ed adattabilità dei principi consolidati dalla giurisprudenza nella valutazione di ogni caso di specie, quando ricorrono esigenze di comparazione della similarità tra due segni.

 

[1]Sentenza dell’8 febbraio 2019, Serendipity Srl e a. contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale Marchio dell’Unione europea, T-647/17, disponibile qui: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=210621&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=12353531

[2]REGOLAMENTO (UE) 2017/1001 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 14 giugno 2017
sul marchio dell’Unione europea, disponibile qui: http://www.marchiedisegni.eu/wp-content/uploads/2017/07/nuovo-regolamento-marchio-ue.pdf

[3]Sentenza del 23 marzo 2017 — Vignerons de la Méditerranée/EUIPO — Bodegas Grupo Yllera (LE VAL FRANCE) T-216/16, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62016TA0216

[4]Per un approfondimento v. https://www.ufficiobrevetti.it/marchio-forte/

[5]Sentenza del 19 ottobre 2017, Aldi/EUIPO – Sky (SKYLITe), T‑736/15, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:62015TA0736

[6]Sentenza del 10 dicembre 2008, Giorgio Beverly Hills/UAMI – WHG (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑228/06, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62006TJ0228

[7]V., in tal senso, sentenza del 18 settembre 2017, ANA DE ALTUN, T‑86/16, disponibile qui: http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?num=T-86/16&language=IT

 

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