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Il 16 gennaio di vent’anni fa veniva approvata una delle norme più coraggiose in tema di salute pubblica, la legge n. 3/2003, che all’articolo n.51 disciplinava la “Tutela della salute dei non fumatori”, anche nota come “legge Sirchia”. Girolamo Sirchia era l’allora Ministro della Salute, che riuscì a condurre in porto quella che per diversi anni era sembrata un’impresa: affermare il diritto delle persone di non essere esposte al fumo passivo. Che cosa diceva la legge Sirchia del 2003? Che cosa è accaduto in questi vent’anni e qual è la situazione attuale? 

DAL PRIMO DDL VERONESI ALLA LEGGE SIRCHIA

E davvero sembrava un’impresa impossibile. Non era infatti andato a buon fine il primo disegno di legge che vietava il fumo in tutti i luoghi chiusi, pubblici e privati, presentato tre anni prima da un altro Ministro della Salute medico, caparbio e lungimirante, Umberto Veronesi. («Nessuna crociata e nessuno spirito proibizionista, ma solo salvaguardia e tutela della salute pubblica contro un rischio grave», precisava il professor Veronesi). Approvato a fatica in Consiglio dei ministri, il ddl era poi naufragato in Parlamento dove restò impantanato fino alla fine della legislatura. Il fallimento politico, però, ebbe il pregio di infrangere un tabù e, anche grazie alla popolarità e alla credibilità di Umberto Veronesi, di stimolare il dibattito sui giornali e presso l’opinione pubblica. Era finita un’epoca: non c’era più nulla di scontato nel dilagare del tabagismo e dei suoi devastanti effetti per la salute. Anche per il ministro Sirchia l’iter fu accidentato, con vari tentativi andati a vuoto, ma alla fine riuscì ad inserire la norma in una legge dedicata a disposizioni per la pubblica amministrazione. Si parlò all’epoca di una strategia da “cavallo di Troia”. Che funzionò.

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Il fumo. Una dipendenza che mette a rischio la salute

CHE COSA DICEVA LA LEGGE

La norma del 2003 sarebbe entrata in vigore soltanto il 10 gennaio 2005. Il bando antifumo si proponeva di proteggere la salute dei non fumatori in tutti i luoghi chiusi. «È vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di: a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico; b) quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati». Niente più fumo passivo obbligato, quindi, alla macchinetta del caffè in ufficio, al bancone del bar, in pizzeria, sui treni. Oltre al divieto di fumo, dovevano essere affissi cartelli appositi, identificati i responsabili dell’applicazione della norma, previste multe per i fumatori che la violavano e per gli esercenti inadempienti, fissati stretti criteri per le aree fumatori, dove consentite (ventilazione, superfici, collocazione, barriere, segnalazioni).

L’IMPATTO DEI DIVIETI DI FUMO

Oggi queste tutele sembrano scontate, ma il passaggio non fu banale e la legge n.3 accompagnò alcuni importanti cambiamenti nella società italiana. Nel 2003 fumava il 27,6 per cento degli italiani e i pacchetti di sigarette costavano 3-4 euro. Contrariamente alle più fosche aspettative, quando i nuovi limiti entrarono in vigore, nel 2005, la gente non smise di uscire per mangiare, bere e incontrarsi. Ma si adattò e, anzi, accolse la misura con favore. Un’indagine dell’Istituto superiore di sanità sui proprietari di pub e ristoranti rilevò che dopo l’entrata in vigore della legge antifumo solo il 2 per cento aveva registrato proteste da parte dei clienti, favorevoli nel 76 per cento dei casi, e solo l’11% aveva riportato perdite finanziarie significative. Nel 2005, il 90 per cento degli italiani intervistati si dichiarava a favore dei limiti al fumo nei luoghi chiusi e nel 2006 l’88 per cento riteneva che la norma fosse rispettata senza problemi. Questa tendenza si è rafforzata nel tempo ed è cambiata anche la percezione del fumo nei luoghi privati: nel 2008 il 70 per cento degli italiani dichiarava di non consentire il fumo in casa, in nessuna stanza, nel 2021 la percentuale era salita all’88,6 per cento. Nel 2016 la ministra Beatrice Lorenzin varò ulteriori divieti a tutela dei minori (il divieto di fumo in auto con bambini, nelle pertinenze esterne degli ospedali e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pediatrici, nonché nelle pertinenze esterne dei singoli reparti pediatrici, ginecologici, di ostetricia e neonatologia. Negli anni successivi, molte amministrazioni locali, compreso il comune di Milano, hanno deciso di estendere le tutele con provvedimenti peer la salute e/o per la qualità dell’aria. Nel 2021, Fondazione Umberto Veronesi ha partecipato al dibattito su un disegno di legge bipartisan per estendere gli spazi liberi dal fumo in aree all’aperto sensibili e frequentate.

L’INTERVISTA A GIROLAMO SIRCHIA: UN BILANCIO

In occasione del Convegno nazionale SITAB tenutosi lo scorso novembre, abbiamo chiesto al professor Girolamo Sirchia un bilancio di questi primi vent’anni della legge: «È stata una legge osteggiata in tutti i modi possibili e che poi, anche con un po’ di fortuna, è stata approvata. Ha ferito l’industria del tabacco e ha contribuito ad un chiaro calo di consumo, molto diverso dal calo registrato da quando sono stati introdotti la sigaretta elettronica e il tabacco riscaldato, perché lì si è trattato spesso di un semplice travaso di consumatori dalla sigaretta tradizionale. Naturalmente, come tutte le cose che feriscono c’è chi cerca di indebolirla e questi tentativi sono tuttora in corso».

Gli ultimi dati indicano un aumento dei fumatori in Italia, dopo anni di calo si è tornati circa ai livelli del 2006 (24,2 per cento, oltre 12 milioni di persone). Che cosa ci manca per affrontare seriamente la questione tabagismo? «Sappiamo benissimo che cosa servirebbe per non dico cancellare il fumo ma quantomeno contrastarlo, ma purtroppo vediamo che nessuno di questi provvedimenti viene attuato. Si tratta di una mancanza di volontà politica. Una cosa importante è che l’iniziativa di contrasto possa rientrare tra i compiti della Presidenza del Consiglio e non dei singoli ministri. Perché se lei va in Parlamento con un provvedimento come quello del 2005, ma nel contempo il Ministro delle politiche agricole e forestali stipula un accorto con i coltivatori di tabacco per potenziare la produzione in Italia, è chiaro che tutti capiscono che c’è un disaccordo all’interno del Consiglio dei ministri – come in effetti ci fu – e quindi si può mettere in discussione qualunque iniziativa, basta accampare timori per la ricaduta sull’occupazione, sugli interessi economici della filiera…».

E lei come risponderebbe a queste obiezioni? «Ma noi questo l’abbiamo vissuto e questa è una balla incredibile. Perché quando si presentò la legge si diceva: “verremo travolti da un’ondata di disoccupazione, chiuderanno tutti i ristoranti”. Ora, notoriamente, tutto questo non accadde né in Italia né poi è accaduto altrove, come in Irlanda che seguì immediatamente con una normativa simile alla nostra, o nella stessa Francia. Non è mai accaduto. Questo è terrorismo, è triste quando queste argomentazioni sono utilizzate dal Mise per contrastare le iniziative efficaci contro il tabacco, che sono sempre le stesse. Noi sappiamo benissimo che se si aumentano le accise, se si controlla la nicotina contenuta nei vari prodotti, vietandone l’aumento oltre un certo limite, la cosa va a spegnersi, perché finisce l’assuefazione e quindi il bisogno dei consumatori, o perlomeno si riducono. Abolire le esenzioni vergognose che sono state date al tabacco riscaldato, con sconti sulle accise, provvedimenti ignobili che spesso la gente non conosce. Altrimenti forse capirebbe che il problema è legato ad un’enorme quantità di denaro che viene investito per misure lecite e illecite di promozione del tabacco».

Lei ha spesso detto che abbiamo bisogno di finanziare una ricerca indipendente contro il tabacco. «Una delle grandi abilità dell’industria è stata quella di finanziare ricerche addomesticate per dimostrare non solo che il tabacco non fa così male, ma addirittura “fa bene”; si disse addirittura che nel Covid poteva dare un aiuto. Milioni e milioni di euro messi a disposizione per finanziare anche ottime iniziative, di centri di ricerca, ospedali capaci e in buona fede, ma che ovviamente poi sono vincolate agli interessi dei finanziatori. Ora, quello che non viene mai finanziato è la ricerca indipendente, che è purtroppo la Cenerentola che nessuno vuole, perché contrasta gli interessi contrari alla salute pubblica (accade anche con l’industria alimentare o con l’alcol). Spero che la gente capisca che non deve fidarsi di quello che racconta la pubblicità, ma deve sostenere la ricerca indipendente. Se manca questo, il Paese non riesce a progredire né in questo né in altri campi».

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