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TREVISO – Una procedura di liquidazione del patrimonio, per debiti che sfiorano gli 11 milioni di euro. L’ha dichiarata aperta il giudice Clarice Di Tullio del Tribunale di Treviso nei confronti di Carlo Bramezza, direttore generale dell’azienda sanitaria 7 Pedemontana, in relazione ad alcune operazioni immobiliari travolte dalla crisi del mattone. «Impegni di mera firma a garanzia per esposizioni debitorie non proprie ma di terzi, assunti oltre dieci anni fa a titolo soltanto personale puntualizza l’avvocato Marco De Rosa come tali totalmente estranei alla sua attività professionale, attuale e passata, in favore ed alle dipendenze di qualsivoglia Ulss».

LE CAUSE

La puntualizzazione è stata diffusa ieri, dopo che giovedì l’emittente televisiva Rete Veneta aveva aperto Tg Bassano con il titolo Un direttore fallito alla guida dell’Ulss 7, ultimo di una serie di servizi andati in onda negli ultimi mesi, molto critici nei confronti del dg Bramezza. Il decreto del giudice Di Tullio è stato depositato lo scorso 7 ottobre, accogliendo la domanda presentata dall’avvocato De Rosa il 28 settembre. È così partita la procedura di liquidazione del patrimonio, cioè la possibilità per il debitore di mettere a disposizione tutti i propri beni, affinché un liquidatore (in questo caso l’avvocato Donatella Berto) possa venderli per soddisfare i creditori. Nella sua istanza, Bramezza ha illustrato le cause del proprio sovraindebitamento, spiegando che «il rilevante ed insuperabile squilibrio economico è imputabile, sostanzialmente, al fatto» di aver rilasciato «garanzie personali per debiti di due società di capitali di cui era socio» fra il 2006 e il 2013. Si legge ancora negli atti, di cui il Tribunale ha ordinato la pubblicazione: «A seguito del noto crollo del mercato immobiliare e, quindi, all’impossibilità di vendere gli immobili rapidamente a prezzi remunerativi, venne meno il flusso di liquidità necessario a fronteggiare le scadenze e le società debitrici divenivano insolventi».

L’IMPORTO

Il risultato si è tradotto in una situazione debitoria dall’importo considerevole: 10.969.493,93 euro, nei confronti di vari istituti di credito e di alcuni studi di professionisti. Il manager ha messo a disposizione dei creditori il proprio patrimonio pignorabile, composto da un’abitazione del valore di 210.000-230.000 euro, un appartamento venduto all’asta per 101.000 euro, svariati arredi e suppellettili per 2.565 euro, un quinto del reddito da lavoro dipendente per quattro anni e cioè 71.470,40 euro, qualche migliaio di euro sui conti correnti, alcune partecipazioni societarie in Brasile dal valore indeterminato, un’Audi Q3 da 15.630 euro che ha chiesto di poter conservare «per esigenze lavorative». Lo stesso Bramezza ha dichiarato di essere «esente da colpa» per tre motivi: ha «ragionevolmente confidato nella bontà dell’iniziativa che le stesse banche finanziatrici avevano ritenuto di poter finanziare»; «la sproporzione tra il proprio patrimonio e la garanzia prestata era conseguente alla specifica richiesta delle banche finanziatrici di garantire l’intero credito, a prescindere dall’entità del patrimonio del garante»; «le banche hanno violato il principio secondo cui esse possono chiedere garanzie nei limiti del merito creditizio del garante».

IL DECRETO

Argomentazioni che evidentemente sono state considerate condivisibili dal giudice Di Tullio, la quale ha ritenuto che Bramezza «abbia prodotto la documentazione che ha consentito di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale» e ha reputato che «non emergano elementi atti a far ritenere che il debitore abbia compiuto atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni». Di conseguenza è stato emesso il decreto che dichiara aperta la fase di liquidazione del patrimonio, autorizzando il dg a dimorare nella sua casa «fino alla vendita» e stabilendo che un quinto degli emolumenti mensili «dovrà essere versato alla procedura».

LA DIFESA

Secondo quanto trapela da Palazzo Balbi, la vicenda non dovrebbe avere ripercussioni sull’incarico di direttore generale, come invece ventilato dall’emittente, verso cui l’avvocato De Rosa non ha escluso iniziative legali, lamentando «un intento palesemente denigratorio e ritorsivo». Interpellato dal Gazzettino, Bramezza si è detto sereno: «Provo tanta amarezza, ma vado avanti. Parliamo di una vicenda personale, risalente a dieci anni fa, che non c’entra nulla con l’Ulss 7». La difesa ha sottolineato che l’accesso alla procedura «è avvenuto su base volontaria» e ciò è avvenuto «in perfetta trasparenza e con lo spirito di destinare il proprio patrimonio disponibile alla migliore soddisfazione possibile dei creditori».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il Gazzettino

 

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