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In attuazione della Legge Delega 19 ottobre 2017, n.155, l’introduzione del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs n. 14/2019) cerca di operare, in modo sistematico ed organico, una riforma organica della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali.

Infatti, la frequenza degli interventi normativi, di natura episodica ed emergenziale, intervenendo su disposizioni della Legge Fallimentare, hanno accentuato il divario tra le disposizioni riformate e quelle rimaste invariate, che risentono ancora di una impostazione nata in un contesto temporale e politico (anno 1942) ben lontano dall’attuale.

Da qui l’esigenza, largamente avvertita da tutti gli studiosi e dagli operatori del settore, di una riforma della materia che riconduca a linearità l’intero sistema normativo.

Una delle azioni che il nuovo Codice tenta di formula è rinvenibile nel tentativo di dialogo con il mondo del lavoro prevedendo significativi interventi in tema di:

  • procedure di allerta anche in caso di omessi o ritardati versamenti di contributi;
  • modifiche al Codice Civile;
  • condizioni per la prosecuzione di rapporti di lavoro nel caso di liquidazione giudiziale.

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in particolare, disciplina per la prima volta in modo organico la sorte dei rapporti di lavoro subordinato in caso di insolvenza dell’imprenditore.

Ora si resta in attesa della messa a regime definitivo di tutto l’impianto normativo che, dopo numerose proroghe, dovrebbe decorrere a far data dal 15 luglio 2022.

Procedure di allerta

Uno degli aspetti di rilievo tra le novità introdotte riguarda le Procedure di Allerta.

Il sistema di allerta muove dalla crisi economica dell’imprenditore da intendersi quale “stato di difficoltà economico-finanziaria a seguito del quale potrebbe scaturire una probabile insolvenza del debitore

Per l’imprenditore – e la sua azienda – verrebbe così a manifestarsi una inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

Quanto poi lo stato di crisi diviene irreversibile ecco che l’imprenditore può essere definito “insolvente” e cioè, alla luce dei manifestati inadempimenti o altri fattori esteriori, non più in grado di far fronte e soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Le chiavi su cui si basano le nuove procedure di allerta sono un mix di:

  • incentivi per chi vi ricorra, di tipo patrimoniale, sulla composizione del debito, sulle responsabilità personali dell’imprenditore in crisi;
  • su un sistema di obblighi organizzativi per l’imprenditore e di obblighi di segnalazione dei più significativi indizi di difficoltà finanziaria ad opera dei principali creditori istituzionali e gli organi di controllo interno.

Tali strumenti sono applicabili:

  • ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, con esclusione delle grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione, le società con azioni quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione autorizzati dalla Commissione nazionale per le società e la borsa – CONSOB, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante;
  • alle imprese agricole e imprese minori, compatibilmente con la loro struttura organizzativa, ferma la competenza dell’OCA CANTA (Organo di Composizione della Crisi) per la gestione della fase successiva alla segnalazione dei soggetti deputati ovvero alla istanza del debitore di composizione assistita della crisi.

Ne restano escluse tutte quelle attività d’impesa, in particolare del settore creditizio e finanziario, che sono attratte alle procedure di amministrazione straordinaria (es. banche, società di intermediazione mobiliare, fondi comuni di investimento, fondazioni bancarie, fondi pensione, imprese di assicurazione, società fiduciarie etc.)

Gli obblighi di segnalazione sono lasciati alle cure o degli organi interni delle società (es. collegio dei sindaci, revisori etc) o di particolari soggetti esterni denominati creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, Agenzia della Riscossione e Inps).

Modifiche al codice civile

Altra interessante modifica, operativa dalla data di entrata in vigore del CCII, concerne l’art. 2119 del codice civile regolamentante la risoluzione dei rapporti di lavoro.

Con la riscrittura del dispositivo civilistico la previsione secondo la quale “il fallimento non costituisce giusta causa di licenziamento” viene sostituita da una disposizione di rinvio.

Infatti, l’impossibilità di invocare la giusta causa rimarrà solo per il caso di liquidazione coatta dell’impresa.

Per contro, gli effetti della liquidazione giudiziale (oggi ancora conosciuto come fallimento) sui rapporti di lavoro saranno regolati direttamente dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e in particolare dall’art. 189.

Il licenziamento nella liquidazione giudiziale

L’aspetto più importante del CCII è rintracciabile nell’art. 189 dove il Legislatore ha voluto definire un coordinamento tra le procedure concorsuali e la sorte dei rapporti di lavoro ancora in essere nel momento in cui l’impresa venga coinvolta in un fallimento, ora rinominato “liquidazione giudiziale”.

Il primo aspetto di rilievo è quello secondo il quale l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento. Inoltre, i rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa, rimangono sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso.

Il recesso del curatore dai rapporti di lavoro subordinato sospesi, poi, dispiegherà i suoi effetti retroattivamente dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.

Decretata la liquidazione giudiziale, il curatore trasmetterà all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale, entro trenta giorni dalla nomina, l’elenco dei dipendenti dell’impresa in forza al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale stessa (in caso di necessità tale termine potrà essere prorogato dal giudice delegato per altri 30 giorni).

Va da sè che, qualora non sia possibile la continuazione o il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo o comunque sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l’assetto dell’organizzazione del lavoro, il curatore procederà senza indugio al recesso dai relativi rapporti di lavoro subordinato, comunicandolo per iscritto.

In caso di inerzia del curatore, però, decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, i rapporti di lavoro subordinato che non siano già cessati si dovranno intendere risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.

È ammessa una proroga dei 4 mesi, su richiesta motivata al giudice delegato, sia da parte del curatore che del direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo ove è stata aperta la liquidazione giudiziale. E questa soprattutto se sussistano possibilità di ripresa o trasferimento a terzi dell’azienda o di un suo ramo.

Trascorso anche tale ultimo termine, nel caso in cui il curatore non proceda al subentro o al recesso, i rapporti di lavoro subordinato che non siano già cessati, si intenderanno anche qui risolti di diritto.

In tale ipotesi, a favore di ciascun lavoratore nei cui confronti è stata disposta la proroga, sarà riconosciuta un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a otto mensilità, che verrà ammessa al passivo come credito successivo all’apertura della liquidazione giudiziale.

Vi è poi da puntualizzare come le eventuali dimissioni del lavoratore nel periodo di sospensione tra la data della sentenza dichiarativa fino alla data della comunicazione di risoluzione, si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.

Previste anche particolari procedure meno complesse in caso di licenziamento collettivo secondo le quali tutto l’iter viene snellito nella fase sia di consultazione che di risoluzione dei rapporti di lavoro.

Infine le tutele nei confronti dei lavoratori. Infatti, in caso di recesso del curatore, di licenziamento, dimissioni o risoluzione di diritto, spetta al lavoratore con rapporto a tempo indeterminato l’indennità di mancato preavviso che, ai fini dell’ammissione al passivo è considerata unitamente al trattamento di fine rapporto, come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale.

Parimenti, nei casi di cessazione dei rapporti secondo le previsioni qui analizzate, il contributo di licenziamento (c.d. Ticket Naspi) sarà comunque dovuto e sarà ammesso al passivo come credito anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale.

Ai lavoratori spetterà inoltre il sostegno al reddito per la perdita dell’occupazione. Infatti la cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di liquidazione giudiziale, costituirà perdita involontaria dell’occupazione con riconoscimento, a favore del lavoratore, del trattamento NASpI.

 

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