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di Carmine Filicetti

Sommario: 1. La vicenda contenziosa – 2. La decisione – 3. Conclusioni.

1. La vicenda contenziosa

La statuizione del Consiglio di Stato origina da una controversia di natura monitoria, in quanto la società appellata agiva per l’esecuzione del giudicato derivante da un decreto ingiuntivo del Tribunale di Cagliari al fine di ottenere il pagamento di una somma nei confronti di un’azienda sanitaria sarda.

Quanto deciso dal G.O. veniva portato all’attenzione del Tar sardo che, con la sentenza n. 124 del 14 novembre 2018, accoglieva il ricorso, dichiarando l’obbligo della P.A. di provvedere all’esecuzione del giudicato e, per il caso di persistente inadempimento, nominava commissario ad acta il Direttore Generale dell’Assessorato alla Sanità della Regione Sardegna, con facoltà di delega.

Ricevuta la nomina dal Tar, il funzionario pubblico acquisiva la prova dell’avvenuto pagamento di tutte le fatture integranti la sorte capitale del decreto ingiuntivo azionato e ne dava atto con una doppia nota a sua firma. 

In sostanza il commissario ad acta, organo straordinario del giudice d’ottemperanza, espletava la sua funzione al fine di assicurare una piena tutela della P.A. oggetto di potere sostitutivo.

L’appellata notificava reclamo, affinché il Tribunale disponesse l’integrale esecuzione del decreto ingiuntivo; di contro il commissario ad acta, aveva dichiarato che nulla era più dovuto dall’azienda sanitaria cosicché l’appellata proponeva reclamo, con ricorso ex art. 114 avverso i predetti atti del commissario.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con la sentenza n. 770 del 30 settembre 2019, accoglieva il ricorso, ritenendo – in conformità alla tesi della ricorrente – irrilevante il pagamento disposto dalla P.A. prima del decreto ingiuntivo.

L’azienda sanitaria soccombente proponeva appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante articolava i motivi di ricorso in appello nei seguenti termini:

– l’erroneità della sentenza n. 770 del 30 settembre 2019 gravata, in quanto contrastante con il giudicato costituito dal decreto ingiuntivo n. 1443/2017 del Tribunale di Cagliari, la cui esecuzione era oggetto del giudizio di ottemperanza;

– il giudicato non può che essere eseguito attraverso l’esecuzione dei pagamenti in esso previsti, consistente nel pagamento delle fatture poste a base del provvedimento monitorio, ed eseguite dall’Azienda appellante.

2. La decisione 

Il giudice di secondo grado, prima di entrare nel merito della questione, svolgeva delle considerazioni di natura preliminare relative alla qualificazione dell’avvenuto incasso, nello specifico si soffermava sull’istituto dell’adempimento parziale dell’obbligazione, ex art. 1176 c.c., ed escludeva l’applicazione di questi al caso de quo in quanto la somma già corrisposta dalla P.A. in alcun modo poteva essere considerata di natura creditoria, sia a titolo di eccezione di compensazione che di altro; tale qualificazione trovava giustificazione in quanto il pagamento del debito risulta rilevante sul piano oggettivo, ed estingue l’obbligazione, anche se effettuato anteriormente alla sentenza che dispone la condanna al pagamento della somma[3].

Inoltre precisava che il requisito oggettivo dell’adempimento è la conformità della prestazione eseguita in relazione alla determinazione della prestazione dovuta che, nella specie, trattandosi di somma di denaro non poteva che consistere nell’esatta corrispondenza della somma versata a quella indicata nel decreto ingiuntivo di cui è stata chiesta l’esecuzione.

Orbene è indubbio che nella sentenza in commento, il giudice amministrativo veniva chiamato ad esercitare una giurisdizione estesa al merito[4], con la conseguenza che l’indagine doveva essere estesa alla propedeutica verifica dell’inadempimento da parte della P.A; invero, non si tratta di sollevare eccezioni che avrebbero dovuto essere illustrate in sede di opposizione al provvedimento monitorio, bensì di rimarcare l’insussistenza dell’inadempimento, che costituisce il presupposto indefettibile della stessa ammissibilità del giudizio di ottemperanza, sicché il giudice è stato chiamato a valutare se e quali effetti abbia prodotto sul decreto ingiuntivo non opposto in ragione del successivo contratto transattivo intervenuto tra le parti, trattandosi di una questione preliminare di merito che il giudice è tenuto a risolvere per valutare se sussiste il diritto di agire in via esecutiva al fine di verificare se il diritto incorporato nel decreto ingiuntivo portato in esecuzione era realmente esistente oppure sia venuto meno per il pagamento già eseguito dal debitore, in epoca anteriore al decreto ingiuntivo.

Non a caso, l’avvenuto adempimento della intera somma rileva ipso iure, con la conseguenza che il debitore che ha pagato il suo debito, eseguendo la prestazione dovuta, resterà liberato dal debito non essendo mai giustificata dall’ordinamento una indebita locupletazione sotto qualsiasi forma

Il rimedio generale dell’exceptio doli risponderebbe ad un principio di solidarietà che impone a ciascun contraente di esercitare i propri diritti selezionando, fra più modalità possibili, quella meno incisiva della sfera giuridica altrui, assecondando i canoni portanti del nostro ordinamento di correttezza e buona fede, che impongono al titolare del diritto di astenersi dal porre in essere condotte che, seppur formalmente lecite, si traducono in una lesione del diritto della controparte. 

Il giudice si è soffermato a sottolineare come nel rapporto tra il privato e l’amministrazione vi sia l’obbligo dirispettare le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza.

Il Collegio si è dunque persuaso del principio per il quale – qualora il creditore abbia ottenuto una sentenza di condanna e in sede di esecuzione e chieda l’esecuzione, senza tenere conto dell’adempimento già effettuato in precedenza – si sia in presenza di un suo comportamento non corretto, che abilita il debitore a chiedere al giudice di esecuzione – sostanzialmente con una exceptio doli – di rilevare il precedente pagamento: una tale difesa, del resto, configura una eccezione in senso lato, dal momento che l’avvenuto pagamento, finanche parziale, può essere rilevato anche d’ufficio, quando emerga dagli atti.

L’aver agito in sede giurisdizionale per ottenere dall’amministrazione la totalità della somma dovuta, nonostante la stessa sia stata in precedenza incassata, connota la condotta dei privati per mala fede e scorrettezza e, dunque, il collegio ha ritenuto di accogliere integralmente l’appello condannando l’appellata alle doppie spese di giudizio.

3. Conclusioni

L’attuazione del giudicato ed il delicato rapporto intercorrente tra questo e l’esecuzione dello stesso dinanzi al giudice dell’ottemperanza costituisce, da tempo, occasione di riflessione in ordine alla sua natura e alle divergenze che possono scaturire allorché si tratti di dare compiuta attuazione alle sentenze del giudice civile

In una prospettiva costituzionale, il giudizio di ottemperanza non deve necessariamente modellarsi ed essere inquadrato sul processo esecutivo ordinario, attese le peculiarità funzionali del giudizio amministrativo, che può essere esteso al merito e dotato di potenzialità sostitutive e intromissive nell’azione amministrativa, non comparabili con i poteri del giudice dell’esecuzione nel processo civile.

Pertanto, nel nostro ordinamento, non esiste un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo (civile e amministrativo), potendo i rispettivi ordinamenti processuali differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio. 

In sostanza, il legislatore ha delineato due modelli fortemente diversificati: se da un lato il giudizio d’ottemperanza rappresenta il punto di caduta più avanzato del confronto fra il principio di effettività della tutela e il principio di separazione fra i poteri, dall’altro il giudizio esecutivo richiama in causa, oltre al principio di effettività della tutela, i diritti fondamentali della proprietà sui beni (e i crediti).

Il bilanciamento di tali principi è funzionale all’effettività della tutela giurisdizionale, garanzia riconosciuta dall’art. 24 Cost., che permette di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, tutela che ovviamente comprende anche la fase dell’esecuzione forzata

È indubbio che la tutela in sede esecutiva sia componente essenziale del diritto di accesso al giudice: l’azione esecutiva rappresenta uno strumento indispensabile per l’effettività della tutela giurisdizionale poiché risulta essere l’unico mezzo capace di soddisfare le pretese creditorie in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore.

Tuttavia, la fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, proprio in quanto componente intrinseca ed essenziale della funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria, in ragione del fatto che “il principio di effettività della tutela giurisdizionale […] rappresenta un connotato rilevante di ogni modello processuale”.

Certamente uno dei casi che viene sottoposto in maniera regolare dinanzi al G.A., riguarda l’attuazione del giudicato contenente l’adempimento dell’obbligazione relativo al pagamento di una somma di danaro, derivante per lo più da provvedimenti di natura monitoria che, nel caso di specie, presenta la peculiare caratteristica di essere stata adempiuta, ratione temporis, dalla P.A. prima del decreto ingiuntivo.

La sentenza in commento è connotata dal particolare aspetto in ordine ai profili cognitori – di regola rimessi al G.O. – che nel caso di specie vengono esercitati dal G.A. il quale, per l’appunto, estende la propria valutazione non solo all’ottemperanza pura e semplice, ma interviene ed estende il suo potere decisorio a delle valutazioni prodromiche utili a verificare se il diritto portato in sede di ottemperanza sia ancora esistente o meno.

La decisione, dunque, ricalca i precedenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato che sul punto sono abbastanza fermi nel mantenere inalterato l’orientamento assunto.

In virtù della natura del giudizio di ottemperanza, il giudice amministrativo esercita una giurisdizione estesa al merito, ove si afferma che rientra nel perimetro della cognizione del giudice dell’ottemperanza valutare se e quali effetti abbia prodotto sul decreto ingiuntivo il successivo contratto transattivo intervenuto tra le parti.

Il dato temporale dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento, seppur consente in un primo momento di azionare il processo monitorio non è sufficiente a condannare l’obbligato anche in sede amministrativa, poiché si realizzerebbe di fatto una ripetizione di pagamento. 

Non a caso, ove il giudice dell’ottemperanza venga chiamato a risolvere tali questioni questi deve svolgere delle valutazioni preliminari utili a stabilire se sussiste il diritto di agire in via esecutiva, al fine di verificare se il diritto incorporato nel decreto ingiuntivo portato in esecuzione sia attualmente esistente o sia venuto meno per volontà delle parti.

Del resto, l’adempimento parziale rileva ipso iure, con la conseguenza che il debitore che ha pagato in parte il suo debito – se è condannato a pagare il credito per l’intero – resterà obbligato solo per la differenza, non essendo mai consentita dall’ordinamento una indebita locupletazione sotto qualsiasi forma.

Deve, dunque, essere dato il giusto risalto ai relativi doveri e comportamenti gravanti reciprocamente su amministrazione e privato.

Sebbene dalla giurisprudenza sia costantemente ricordato, forse in maniera risonante, in riferimento alla condotta tenuta dall’amministrazione, che ai sensi dell’art. 97 Cost. deve agire con imparzialità e in ossequio al principio del buon andamento, anche al fine di ritenere sussistenti forme di responsabilità della stessa, tale attenzione grava e deve essere richiesta  in maniera parimenti pregnante alla parte privata, onerata ad agire secondo le clausole generali di correttezza e buona fede, i cui principali riferimenti normativi si trovano negli articoli 1175 e 1375 del codice civile ai quali, com’è noto, devono essere improntati i rapporti fra i consociati tenuti, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà.

A tale scopo e a maggior tutela dei privati, sprovvisti delle competenze necessarie a svolgere valutazioni di tipo tecnico, è certamente invocabile una maggiore cautela da parte dei legali che dovrebbero far desistere la parte assistita ad intraprendere azioni infruttuose in virtù della responsabilità professionale che caratterizza la prestazione d’opera intellettuale, di cui all’art. 2229 c.c., instaurata col proprio cliente.

 La dottrina sul commissario ad acta e sul giudizio di ottemperanza è molto vasta, a titolo non esaustivo ma significativo si rinvia ai contributi di: D. Vaiano, Il commissario ad acta nel sistema dei giudizi di ottemperanza, Roma, 1996; G. Orsoni, Il commissario ad acta, Padova, 2001; A. Cioffi, Sul regime degli atti del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza, in I Tribunali Amministrativi Regionali, 2001, 1, II, p. 1 ss.; V. Caputi Jambrenghi, Commissario ad acta, in Enc. giur., Agg., Vol. VI, Milano, 2002, p. 284 ss.; S. D’Antonio, Il commissario ad acta nel processo amministrativo: qualificazione dell’organo e regime processuale, Napoli, 2012; S. Pignataro, Il commissario ad acta nel quadro del processo amministrativo, Bari, 2019.

 Sulle funzioni del commissario ad acta si è espressa l’Ad. plen. 25 maggio 2021 n. 8.

 Cons di Stato Sez. IV, n. 3058 del 2021; Cass. civ., sez. I, n. 9912 del 2007.

 Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2017, n. 1704; sez. IV, 29 agosto 2012, n. 4638; cfr. in particolare,     Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 2018, n. 4093.

 Secondo il pacifico e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, non è possibile dedurre in sede di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo di formazione giudiziale fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto azionato anteriori alla formazione del titolo stesso (cfr., fra le tante: Cass. civ., VI, ordinanza 14 febbraio 2020, n. 3716).

 Sul diritto ad ottenere la restituzione dell’indebito in caso di doppio  pagamento, Cass. civ., Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 4528.

 Sul principio dell’exceptio doli il Cons. di Stato, sez. V, 22 marzo 2023, nel caso di specie, tratta di una fattispecie in cui si chiede di effettuare al giudice dell’ottemperanza un giudizio di cognizione di merito, non ammesso in quanto il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.

 Il giudizio di ottemperanza nasceva in stretta correlazione con l’attribuzione al giudice ordinario del potere della disapplicazione. Tale giudizio è, quindi, figlio dell’esigenza di garantire una più incisiva tutela rispetto al provvedimento illegittimo, ma nel rispetto del principio della separazione dei poteri. 

L’obbligo di conformarsi al giudicato civile è stato, in origine, concepito come obbligo dell’Amministrazione di annullare l’atto amministrativo disapplicato, annullamento precluso al giudice ordinario in virtù del principio di separazione dei poteri. Nel corso del tempo, dopo che la giurisprudenza ha esteso il rimedio anche alle sentenze del giudice amministrativo, regola oggi contenuta nell’art. 112 c.p.a., il giudizio di ottemperanza ha visto accentuarsi la funzione, strettamente connessa al riconoscimento della giurisdizione di merito, di sostituzione dell’Amministrazione (inottemperante) al fine di assicurare l’adempimento della pronuncia giurisdizionale, pur nella consapevolezza che detta sostituzione non avviene nell’esercizio del potere di cura dell’interesse pubblico attribuito dalla legge, ma solo con riferimento al decisum ottemperando (trovando titolo nella sentenza medesima).

 Una precisa ricostruzione in termini unitari dell’istituto dell’ottemperanza, sia con riferimento al giudicato civile sia a quello amministrativo, cfr.: F. Francario, Il giudizio di ottemperanza. Origini e prospettive, in Il Processo, 3/2018, 171-215, Id., Giudicato e ottemperanza, in F. Francario, Garanzia degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, sez. II, Napoli, 2019; F. Taormina, L’ottemperanza al giudicato. La giustizia nell’amministrazione, in Esecuzione civile e ottemperanza amministrativa nei confronti della p.a., Atti dei seminari tenuti presso il Consiglio di Stato (30 novembre 2017) e il Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli (6 febbraio 2018), B. Capponi – A. Storto (a cura di), Napoli, 2018, 163-258; A. Storto, Il giudizio di ottemperanza come rimedio alle lacune dell’accertamento, 139 e ss.; A. Police, Giudicato amministrativo e sentenze di Corti sovranazionali. Il rimedio della revocazione in un’analisi costi benefici, 181 e ss; G. Montedoro, Esecuzione delle sentenze CEDU e cosa giudicata nelle giurisdizioni nazionali, 199 e ss.

 Corte cost. 22 giugno 2021 n. 128.

 Corte cost. 5 dicembre 2018 n. 225.

 Nella risoluzione di una vicenda abbastanza analoga il Cons. Stato sez. IV, n. 3058 del 2021 è addivenuto alle stesse conclusioni richiamando i medesimi principi.

 Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2017, n. 1704; sez. IV, 29 agosto 2012, n. 4638; cfr. in particolare, Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 2018, n. 4093.

 Ex plurimis, sul diritto ad ottenere la restituzione dell’indebito in caso di doppio pagamento, Cass. civ., Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 4528.

 In generale, Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2018, n. 4912; sez. III, 16 maggio 2018, n. 2920; con specifico riferimento alla responsabilità precontrattuale, Cons. Stato, sez. II, 20 novembre 2020, n. 7237; sez. V, 2 maggio 2017, n. 1979; sez. IV, 23 agosto 2016, n. 3671; Ad. Pl., n. 5 del 2018.

 Cfr., Cons. Stato, sez. II, 4 giugno 2020, n. 3537.

 

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