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Avv. Massimo Di Rocco.

La genesi della vicenda processuale muove dalla richiesta di ammissione allo stato passivo fallimentare di un credito vantato dalla ex Cassa di Risparmio di Ferrara (ora BPER Banca S.p.A.) per l’importo di € 3.973.553,39, promanante da un contratto di finanziamento a stati di avanzamento iscritto dalla curatela in via ipotecaria. Il Giudice delegato, ritenendo sussistere un’ipotesi usuraria, ammetteva il credito della Banca epurando la parte ritenuta eccedente il tasso soglia.

Dinanzi all’opposizione allo stato passivo del fallimento proposta dalla BPER al Tribunale di Salerno, la Curatela – in sede di costituzione – confermava come la Banca avesse superato il tasso soglia ed erroneamente riportato in contratto l’indicatore sintetico di costo (ISC), richiedendo a tal fine di volersi accertare la ricorrenza di usura, con conseguente declaratoria di nullita’ della clausola degli interessi pattuiti ex art. 1815, II comma, c.c..

Svolta la fase di merito in fase d’impugnazione, il Tribunale di Salerno accoglieva – con Decreto datato 27.09.2017 – le doglianze dell’Istituto di Credito, ritenendo dovuto all’Istituto l’intero importo richiesto in sede di istanza di ammissione allo stato passivo, comprensivo degli interessi, rilevando come non vi fosse stato alcun superamento del tasso soglia sul presupposto che il “contratto di finanziamento per stati di avanzamento” andasse inquadrato nella categoria “altri finanziamenti” e non gia’ a quella del “mutuo”, mancando l’erogazione in “piu’ stadi successivi”.

Per quanto sopra la Curatela Fallimentare ricorreva in Cassazione fondando le proprie ragioni su tre motivi di lagnanza:

1) lo stesso Istituto di Credito aveva sempre riconosciuto di aver concesso alla societa’ fallita un “mutuo fondiario con garanzia reale a tasso variabile”;

2) la riconduzione – da parte del Tribunale di Salerno – del contratto di finanziamento nel novero degli “altri finanziamenti” veniva ritenuta incongrua;

3) il Tribunale aveva omesso di motivare in ordine ad eccezioni proposte dalla curatela fallimentare che, di contro, aveva l’obbligo di verificare.

I tre motivi consentivano agli Ermellini di fissare punti cruciali sulla materia laddove veniva statuito che:

1. per quanto al primo motivo, sia sempre consentito al Giudice, dinanzi ad un rapporto bancario che viene contestato e qualificato come appartenente ad una determinata categoria, disattendere entrambi gli inquadramenti e disporre una propria autonoma collocazione in una categoria non indicata (rectius: suggerita) dalle parti. Cio’ in quanto il giudicante, pur in mancanza di una “specifica” impugnazione sull’appartenenza all’una o all’altra categoria, ha l’obbligo di statuire in maniera esatta sulla disciplina giuridica degli atti e fatti cosi come intessuti nella vicenda processuale e, indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, ha l’onere qualificare il rapporto in maniera diversa, pur nei limiti invalicabili del rispetto del petitum e della causa petendi;

2. sul secondo motivo di doglianza la Suprema Corte rileva come:

a. l’art. 2, comma II, della Legge 108/96, prevede – ai fini delle rilevazioni trimestrali del tasso effettivo globale medio degli interessi (TEGM) – che la classificazione delle operazioni per categorie omogenee, tenuto conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie, venga effettuata annualmente con Decreto del Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’UIC;

b. in ragione di cio’ la Suprema Corte precisa che la Banca d’Italia – sin dal 2002 – aveva classificato come gli “altri finanziamenti” fossero una “categoria residuale” rispetto alla ulteriori categorie tra le quali annoverare i “mutui”; oltre al fatto che, con il successivo D.M. 18.09.2003, erano state enucleate distintamente la categoria dei “mutui” da quella degli “altri finanziamenti a breve, medio e lungo termine”. In ragione di cio’ – rappresenta la Corte Suprema – e’ stata proprio la norma appena citata a prevedere la rilevazione trimestrale del TEGM sulle operazioni per categorie omogenee, laddove vige un diverso limite superato il quale “gli interessi sono sempre usurari” (legge 108/96, art. 2, comma 4);

c. correttamente la Curatela Fallimentare aveva fatto rilevare come, ai fini dell’inquadramento di un credito in una categoria piuttosto che in un’altra, sia ininfluente il dato dell’effettiva erogazione delle somme alla mutuataria, considerato che la garanzia reale immobiliare veniva acquisita dalla Banca ab origine, ovvero sin dalla stipula del contratto di finanziamento e che, pertanto, l’Istituto aveva gia’ ridotto sensibilmente il proprio rischio. Stante – tra l’altro – che l’ex Cassa di Risparmio aveva erogato le somme a titolo di “mutuo fondiario con garanzia reale a tasso variabile”;

d. allorquando viene posto un dubbio sulla “riconducibilita’” di una operazione di credito all’una o all’altra categoria, tanto da non aversi certezza rispetto alle categorie riportate nei decreti ministeriali cosi come succedutisi negli anni, sia necessario “individuare i profili di omogeneita’ che l’operazione stessa presenti rispetto alle diverse tipologie”, dovendosi avere riguardo ai “parametri normativi” individuati dalla Legge nr. 108/96, art. 2, comma 2 – ovvero natura, oggetto, importo, durata, rischi e garanzie – ed “apprezzando quelli tra essi che, sul piano logico, meglio giustifichino l’inclusione del finanziamento in questa o in quella classe di operazioni”;

e. in ordine alla “natura” il “contratto di mutuo in senso proprio” e’ indubbiamente ascrivibile alla tipologia dei contratti reali ed unilaterali che si perfezionano “solo” con la consegna di denaro o altre cose fungibili, sorgendo solo dalla consegna (c.d. traditio) l’obbligazione del mutuatario – oramai proprietario – alla restituzione in favore del mutuante di altrettante cose con l’aggiunta di interessi; mentre il “contratto di finanziamento” o di “mutuo di scopo” prevede – di contro – la “fornitura” di capitali a ripetizione su base consensuale ed obbligatoria, laddove l’onerosita’ e l’atipicita’, ovvero la funzione prettamente creditizia del contratto, pongono in relazione la “consegna di una somma” – per cosi’ dire – parziale rispetto al “controllo progressivo del raggiungimento dello scopo”. Di talche’ la consegna del denaro, mentre nel “contratto di finanziamento” rappresenta una “obbligazione (seppur principale) per il mutuante”, nel “contratto di mutuo” rappresenta “l’elemento costitutivo del contratto” e la sua mancata elargizione (a differenza del finanziamento SAL) comporta sinanche la nullita’ del contratto;

f. considerato che, nel contratto di finanziamento a SAL vero e’ che la Banca si trovi dinanzi ad un immobile incompleto ed ancora in fase di esecuzione, ma pur vero risulti che, sino alla liquidazione del SAL finale, l’Istituto di Credito non ha ancora impegnato l’intera somma originariamente garantita dal soggetto finanziato con una ipoteca reale. Con la conseguenza che “l’incremento degli importi mutuati si coniuga con l’accrescimento progressivo del valore del bene oggetto di garanzia”. Per cotali ragioni i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM hanno inquadrato diversamente le “operazioni di finanziamento a SAL” rispetto ai “mutui”;

g. oltremodo, considerando i due parametri dei “rischi” e delle “garanzie” prestate, ben si possa desumere l’omogeneita’ tra i “contratti di finanziamento ipotecario a SAL” e quelli di “mutuo con garanzia reale”, con la conseguenza che cotale contratto di finanziamento vada “assimilato” alla categoria dei mutui;

h. proprio in ragione della rilevata assimilazione il giudice ha sempre il compito, a norma della Legge 108/96, art. 2, comma IV, di “identificare la categoria di operazione, tra quelle cui si riferiscono le soglie, che presenti maggiori elementi di omogeneita’ con la singola operazione della cui usurarieta’ si controverta”;

3. in ordine al terzo motivo di ricorso afferente l’omessa motivazione circa un “fatto decisivo” della controversia non avendo il Tribunale di Salerno verificato la completezza della documentazione posta alla base dell’istanza di insinuazione, la Suprema Corte affermava come le contestazioni sull’ISC, ritenuto superiore di mezzo decimale rispetto a quello indicato nel contratto, non risultavano affatto un “elemento decisivo” ai fini dell’esito positivo del giudizio.

Sulla scorta di tutte cotali argomentazioni e rilievi ermeneutici di legittimita’ la Suprema Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla Curatela Fallimentare in ordine al secondo motivo di doglianza, ritenendo corretta l’ammissione del credito al passivo fallimentare nei limiti originari, e cassava con rinvio al Tribunale di Salerno.

E’ indubbio che – con cotale pronunzia – la Corte di Cassazione abbia statuito e confermato un importante principio ermeneutico che consente di qualificare un rapporto di credito, quantunque atipico, nel novero di una delle categorie indicate nei decreti ministeriali sulla rilevazione dei tassi soglia, grazie ai profili di omogeneita’, cosi convalidando i criteri e parametri necessari ai quali far riferimento per l’assimilazione alla categoria maggiormente “similare”.

 

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