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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 16 novembre 2021, n. 34515.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

Con la recentissima ordinanza in oggetto, la Sesta Sezione Civile ripropone i criteri di sussunzione del soggetto fideiussore all’interno della categoria consumeristica. Nello specifico, i giudici di legittimità, esaminando i motivi di ricorso, rilevano come, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità (sebbene non univoco), la persona fisica – fideiussore, a garanzia di un debito contratto da un professionista, non assumeva lo status di consumatore, ma, per riflesso, anche egli quello di professionista, con le relative conseguenze sulla disciplina di riferimento[1].

In termini dissonanti si sono espressi altri pronunciamenti di legittimità[2], che, proprio con riferimento a un regolamento di competenza e in tema di status da riconoscere al fideiussore (come nel caso di specie), hanno escluso che possa essere dato rilievo alla «natura societaria» del debitore principale ai fini dell’eventuale applicazione della normativa di protezione consumeristica, e, al contempo, hanno evidenziato che la tesi per cui l’accessorietà (della fideiussione) implichi il rinvio al rapporto principale, (per la valutazione dell’eventuale status di consumatore del garante), sia stata recisamente smentita dalla più recente giurisprudenza unionale[3]. In particolare, la Corte di Cassazione ha recentemente rilevato che con le due pronunce del 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e del 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras, la Corte di Giustizia Europea, innovando rispetto alla precedente giurisprudenza, abbia affermato il principio per cui l’oggetto del contratto sia irrilevante ai fini della applicazione della disciplina del consumatore, essendo invece determinante la qualità dei contraenti, dal momento che la Direttiva 93/13 definisce l’ambito di applicazione della disciplina “consumeristica” non con riferimento all’oggetto del contratto (tantomeno di quello garantito), quanto con riferimento alla condizione che i contraenti non agiscano nell’ambito della loro attività professionale[4].

In precipua considerazione di siffatto revirement in seno alla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 742/2020, ha espressamente abbandonato il prefato orientamento tradizionale, in tema di criteri selettivi dell’eventuale ascrizione del fideiussore alla categoria normativa del consumatore, e segnalato che le succitate decisioni della Corte Giustizia indicano quale criterio per la positiva identificazione di un fideiussore nell’ambito della categoria consumeristica, «la valutazione se il rapporto contrattuale» di cui alla fideiussione nel concreto rientri o no «nell’ambito di attività estranee» all’esercizio della eventuale professione specificamente svolta dal soggetto che ha predato la garanzia[5].

Il Collegio decide di porsi senza soluzione di continuità con l’orientamento più recente, da ultimo rassegnato, reputando, di tal guisa, che, nella fattispecie attenzionata, la ricorrente avesse stipulato la fideiussione non nell’ambito della propria attività professionale o, comunque, per finalità inerenti a tale attività o strettamente funzionali allo svolgimento (cc.dd. atti strumentali in senso proprio), ma, per contro, come persona fisica, che agiva da “non professionista”, in virtù del rapporto di coniugio all’epoca intercorrente con il debitore principale; peraltro, la circostanza che la ricorrente, alle dipendenze (senza alcuno specifico “inquadramento”) del padre, quest’ultimo titolare di farmacia, e la sua famiglia di origine esercitassero «attività lavorativa nel settore farmaceutico» non poteva scientemente far ritenere che la stessa avesse sottoscritto, quale “professionista”, la fideiussione attenzionata, prestata a garanzia di un mutuo personale dell’allora marito, per l’acquisto (da parte esclusivamente di quest’ultimo e a titolo personale) di una farmacia, (attività, poi, esercitata dallo stesso coniuge come impresa individuale).

 

Qui l’ordinanza.


[1] Cfr. Cass. 11.01.2001, n. 314; Cass. 13.05.2005, n. 10107; Cass. 13.06.2006, n. 13643; Cass. 05.12.2016, n. 24846.

[2] Cfr. Cass. 12.01.2005, n. 449.

[3] Cfr. Cass. 31.12.2018, n. 32225.

[4] I giudici unionali hanno evidenziato che «tale criterio corrisponde all’idea sulla quale si basa il sistema di tutela istituito dalla direttiva stessa, ossia che il consumatore si trovi in :Ina situazione di inferiorità rispetto al professionista», che «questa è particolarmente importante nel caso di contratto di garanzia .; di fideiussione stipulato da un istituto bancario e un consumatore», che il «contratto di garanzia o fideiussione, sebbene possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che esso garantisce … si presenta, dal punto di vista delle parti contraenti, come un contratto distinto in quanto è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale. È dunque in capo alle parti del, contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito».

[5] In senso conforme, Cass. 03.12.2020, n. 27618.


 

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