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Deve essere revocato fallimento che è stato dichiarato oltre l’anno dalla cancellazione della società, posto che il termine annuale di cui all’art. 10 L. fallimentare si riferisce alla dichiarazione di fallimento e non al deposito dell’istanza di fallimento. Pertanto, è a carico del creditore che ha presentato tempestivamente istanza di fallimento il rischio della durata del procedimento per la dichiarazione di fallimento.

È quanto ha stabilito la Cassazione nella sentenza 12 aprile 2013, n. 8932.

In particolare, nella decisione in commento, la Suprema Corte ha accolto il reclamo proposto da un imprenditore dichiarato fallito su istanza di Equitalia Esatri s.p.a., e revocato il suo fallimento e quello della società di cui era socio illimitatamente responsabile, perché tale fallimento era stato dichiarato oltre l’anno dalla cancellazione della società.

La Corte sottolinea che “il termine stabilito nella L. Fall., art. 10, non opera come un termine di prescrizione o decadenza, ma costituisce un limite oggettivo per la dichiarazione di fallimento (Cass. 28 marzo 1969, n. 998), svolgendo non tanto la funzione di tutelare i creditori rispetto all’inatteso venire meno della qualifica d’imprenditore commerciale nel loro debitore, quanto la funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche e l’affidamento dei terzi (altrimenti esposti illimitatamente al pericolo di revocatorie), ponendo un preciso limite temporale alla possibilità di dichiarare il fallimento di chi non è più imprenditore”.







 

Ne consegue che il dies ad quem del termine annuale dell’art. 10 L. fallimentare è necessariamente quello della pubblicazione della sentenza di fallimento e che l’istanza di fallimento tempestivamente presentata dal creditore non può produrre effetti prenotativi come nel processo civile (laddove la durata del processo non può ridondare in danno della parte che ha ragione): la semplice presentazione dell’istanza di fallimento non sarebbe, infatti, conoscibile da parte dei terzi, i quali resterebbero esposti per tutta la durata del procedimento al rischio di contatti con un soggetto fallibile, se ad essa fosse riconosciuto un effetto prenotativo.

Tale interpretazione normativa, conclude la Corte, supera ogni obiezione di illegittimità costituzionale, dal momento che la previsione di un termine annuale tutela interessi contrapposti quali, da un lato, quelli dei creditori e, dall’altro, quello generale alla certezza dei rapporti giuridici: “in questo contesto è insussistente una qualsiasi lesione del diritto di difesa, tenuto conto sia dell’ampiezza del termine, sia della possibilità di informare il Tribunale di eventuali ragioni di urgenza”.

Nei fatti, tuttavia, è chiaro ad ogni operatore del diritto che il termine annuale cosi’ inteso non è affatto ampio, dal momento che spesso l’istanza di fallimento segue inutili tentativi di pignoramento.

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(Altalex, 29 aprile 2013. Nota di Giuseppina Mattiello)

 

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