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Il trasferimento o la sostituzione penalmente rilevante sono comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene riconducibile a una forma di reimmissione dello stesso nel circuito economico.

In questi termini si è espressa, in tema di autoriciclaggio, la Sesta Sezione Penale della Corte di cassazione con la sentenza 16 aprile 2021 (testo in calce).

Il fatto

Il ricorrente era stato condannato, con sentenza confermata in appello, per le condotte, contestate nell’imputazione, di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio, bancarotta impropria in relazione all’art. 2621 c.c..

In particolare, era stato contestato al medesimo di essersi appropriato, nella qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto amministratore unico di una società interamente partecipata dall’Ente comunale, di varie somme di danaro provenienti dai ricavi gestionali della stessa (peculato); di avere, con detta condotta di peculato, distratto somme della società, causandone il fallimento (L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1); di aver reimpiegato parte rilevante del denaro sottratto indebitamente, destinandolo al rimborso di rate e all’estinzione di strumenti finanziari vari (art. 648 ter.1 c.p.); di avere, attraverso falsi bilanci societari, cagionato il dissesto della società (art. 223 L. Fall. in relazione all’art. 2621 c.c.).

Il ricorso proposto dalla difesa articolava quattro motivi:

Con il primo si assumeva che la sentenza impugnata fosse viziata nella parte in cui aveva ritenuto non violato il bis in idem fra i reati di peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione, accomunati dall’identità del fatto storico.

Con il secondo motivo si evidenziava che l’imputato aveva versato le somme di cui si era appropriato sui propri conti correnti bancari rendendo pertanto facilmente tracciabile il denaro. 

Con gli ulteriori motivi si contestava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l’inflizione delle pene accessorie nella misura massima, in assenza di una motivazione giustificativa adeguata.

Il reato di autoriciclaggio

Il reato di autoriciclaggio è stato introdotto sub art. 648 ter.1 c.p. dalla Legge n. 186/2014 con decorrenza dal 1° gennaio 2015.

La ratio di tale disposizione incriminatrice sembra quella di evitare pregiudizio all’ordine pubblico economico e finanziario, specie nell’ottica della libera concorrenza e, quindi, di sanzionare l’autore del delitto presupposto che autoricicli i proventi del delitto precedentemente commesso, assumendo tale condotta disvalore autonomo rispetto a quella del reato presupposto (Cipriani).

La norma punisce chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Trattasi di reato proprio, in quanto suscettivo di essere integrato da chi abbia commesso o concorso a commettere un delitto non colposo che abbia originato i proventi oggetto della condotta.

La descrizione della condotta tipica rappresenta  una sorta di “fusione” (Manes) dei precedenti articoli 648 bis e 648 ter c.p.: in particolare, al primo rimandano le nozioni di trasferimento e sostituzione mentre al secondo (qui integrato con riferimento alle attività speculative e imprenditoriali) i concetti di impiego e di attività economiche e finanziarie che rappresentano il contesto nel quale vengono realizzati tali comportamenti.   

Le attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni o di altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto devono avere la caratteristica specifica di essere “idonee” ad ostacolare “concretamente” l’identificazione della provenienza delittuosa dei suddetti beni o altre utilità.

Si è detto che l’aggiunta dell’avverbio “concretamente” (non presente nella figura dell’art. 648-bis c.p.),  richiama l’interprete a un’esegesi rigorosa, che “impone di attribuire al termine ostacolare la pienezza del suo valore semantico, che – in sede di prima approssimazione – ben può essere colto nel frapporre un mezzo (di qualunque genere) allo svolgimento di una azione o alla esplicazione di una facoltà (nel caso: il tracciamento della provenienza, ovvero lo svolgimento dell’attività a ciò finalizzata), mezzo che tuttavia deve essere in concreto (id est: avuto riguardo al caso specifico) capace di ridurne significativamente l’effetto o la portata, oppure di ritardarne in modo altrettanto significativo il compimento” (Mucciarelli).

Trattasi di espressione con cui il legislatore ha quindi tentato di circoscrivere l’ampiezza della fattispecie volendo delineare una condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria. 

Oggetto delle condotte vietate sono, stando al dettato normativo, “il denaro, i beni o le altre utilità”:  e pertanto “qualsiasi cespite (mobile o immobile) che abbia una consistenza economico-patrimoniale, dotato quindi di un valore di scambio apprezzabile” (Mucciarelli).

La delimitazione delle condotte punibili di autoriciclaggio si avvale, in negativo, della clausola di esclusione della punibilità della mera utilizzazione e del godimento personali di cui al comma 4.

L’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico, ovvero la rappresentazione di tutti gli elementi del fatto tipico inclusa la provenienza delittuosa del bene e la volontarietà della condotta di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa della res

Il legislatore non ha operato una selezione dei reati presupposto suscitando in dottrina critiche per la capacità di rendere l’autoriciclaggio un pendant sanzionatorio rispetto a quasiasi illecito contro il patrimonio.

Sotto il profilo sanzionatorio, la pena prevista per l’autoriciclaggio è quella della reclusione da due a otto anni e della multa da 5.000 a 25.000 euro. É prevista la reclusione da uno a  quattro anni e la multa da 2.500 a 12.500 euro quando il danaro i beni e le altre utilità provengano dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni.

Il comma 3 precisa che si applicano comunque le pene del comma 1 se il denaro i beni e le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o finalità dell’aggravante di agevolazione mafiosa (art. 7 d.l. 152/91).

I commi 5 e 6 prevedono, rispettivamente, un’aggravante ad effetto comune, quando il fatto sia commesso nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o altra attività professionale (evidentemente in ragione della maggiore portata offensiva) e un’attenuante ad effetto comune per chi si sia adoperato efficacemente per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori per assicurare le prove del reato o l’individuazione di beni, danaro o altre utilità provenienti dal delitto.

Antiriciclaggio


La sentenza

La Corte ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso.

Preliminarmente ha considerato inconferente il richiamo alla preclusione processuale poiché nel caso di specie il Pubblico Ministero non aveva differito nel tempo l’esercizio dell’azione penale in ordine allo stesso fatto nell’ambito di separati procedimenti, ma aveva esercitato il potere di azione in un unico procedimento, contestando distinti reati (peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione) rispetto ai quali si poneva invece il problema di verificare se fosse configurabile un concorso formale ovvero un concorso apparente.

A riguardo la Corte ha argomentato in ordine alla sussistenza di un concorso formale dei due reati in ragione delle differenze di struttura ed offensività di seguito enucleate:

  • la bancarotta è un reato di pura condotta e di pericolo, che tutela l’interesse dei creditori sociali a soddisfarsi sui beni del fallito e che si perfeziona allorquando l’agente procuri il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, con la precisazione che qualora, prima della soglia temporale di rilevanza penale costituita dalla dichiarazione di fallimento, la depressione della garanzia patrimoniale venga ripianata a mezzo di un’attività integralmente ripristinatoria, la valenza penale della condotta non si concretizza;
  • il peculato è un reato proprio, istantaneo, che si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica l’appropriazione del denaro o della cosa mobile, la quale implica una dipendenza funzionale del possesso dall’esercizio della pubblica funzione o dalla prestazione del pubblico servizio;
  • il peculato si differenzia dalla bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione a) per la particolare qualifica del soggetto attivo; b) per l’interesse tutelato, in quanto il peculato non tutela solo il patrimonio della Pubblica Amministrazione o di terzi, ma la legalità, l’efficienza, l’imparzialità della pubblica amministrazione, la fedeltà del pubblico ufficiale; c) per le modalità di aggressione al bene giuridico tutelato, nel senso che nel peculato, a differenza della bancarotta, non ogni condotta “appropriativa” assume rilievo ma solo quella costituita dallo sfruttamento del rapporto tra agente pubblico e cosa; d) per la mancanza di una condizione di punibilità che, nel reato fallimentare, rende solo eventuale che la condotta appropriativa sfoci in bancarotta; e) per il tempo in cui il reato si consuma, essendo il peculato un reato istantaneo rispetto al quale non rileva, a differenza della bancarotta, la “riparazione”. 

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha respinto il primo motivo di ricorso.

Ha invece accolto il motivo di ricorso in tema di autoriciclaggio.

Secondo l’impostazione accusatoria l’imputato, dopo aver commesso il peculato, aveva “creato debito” per ripulire e reimpiegare il denaro: in particolare, aveva contratto un mutuo per il versamento di parte del prezzo dell’abitazione di residenza e restituito la somma relativa con rate mensili di 800 euro, la cui disponibilità sul conto corrente bancario era stata assicurata mediante costanti versamenti in contanti; la residua parte del prezzo per l’acquisto dell’abitazione era stata corrisposta attraverso due assegni tratti da un conto corrente bancario personale, lo stesso sul quale erano state versate le somme distratte alla società; aveva inoltre acceso finanziamenti per la restituzione dei quali aveva fatto ricorso a versamenti di denaro (lo stesso, in tesi, oggetto del peculato e della bancarotta) su conti correnti a sè stesso intestati.

Sulla base di tale quadro di riferimento il Pm, prima, e i giudici di merito, poi, avevano concluso che l’imputato avesse reimpiegato il denaro in attività finanziarie, in tal modo commettendo autoriciclaggio.

La difesa aveva invece evidenziato che parte delle somme indicate nella imputazione erano state destinate per un bene ad uso esclusivamente personale, escluso dall’ambito della punibilità della norma; e che l’attività di pagamento delle rate di finanziamento, così come il deposito delle somme sul conto corrente personale dell’imputato in funzione del pagamento delle rate di finanziamento non potevano considerarsi attività finanziaria, come invece richiesto dall’art. 648 ter.1 c.p.

La Corte ha accolto le censure precisando che la caratteristica dell’autoriciclaggio è la reimmissione nel circuito dell’economia legale di beni di provenienza delittuosa, con un’attività che ne ostacoli la tracciabilità. In tale ottica la valutazione della concreta capacità dissimulatoria della condotta punibile a titolo di autoriciclaggio deve essere orientata da un criterio di idoneità ex ante: il Giudice deve, cioè, collocarsi al momento del compimento della condotta e verificare, sulla base degli elementi di fatto di cui dispone, se in quel momento l’attività posta in essere avesse un’idoneità dissimulatoria, cioè fosse in grado di ostacolarne la tracciabilità.

Ad avviso dei giudici di legittimità la condotta posta in essere, nel caso in esame, era priva di idoneità dissimulatoria,  in quanto il denaro corrisposto al creditore del debito creato era stato prelevato dallo stesso conto su cui erano state versate le somme oggetto di peculato. Con la conseguenza che non era ravvisabile alcuna intestazione formale a terzi e alcun meccanismo decettivo; un’operazione, in conclusione, che non dissimulava alcunchè.

Di qui l’annullamento della sentenza senza rinvio quanto all’autoriciclaggio, per insussistenza del fatto, e con rinvio, in relazione alla rideterminazione della pena, per i residui reati.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 14402/2021 >> SCARICA IL TESTO PDF

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