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In tema di procedura per la composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla L. 3 del 2012 (la “Procedura”), la Corte di Cassazione ha affrontato la questione se sia legittimo o meno imporre al debitore ricorrente, a pena di inammissibilità, il deposito di una somma a titolo di fondo spese per l’avvio della Procedura.

In particolare, nella vicenda esaminata, l’impugnazione ha avuto ad oggetto il decreto presidenziale con il quale, in sede di reclamo, veniva confermata la revoca della nomina dell’Organismo di Composizione della Crisi da sovraindebitamento (“OCC”), revoca decretata a seguito dell’omesso deposito delle somme chieste a titolo di fondo spese, sull’assunto che una simile circostanza stata sarebbe stata sintomatica di una difficile eseguibilità dell’accordo di composizione della crisi proposto dal debitore.

Al fine di analizzare il merito della questione, la Corte di Cassazione ha ritenuto in primo luogo opportuno un parallelismo tra le disposizioni di cui alla L. 3/2012 e quelle in materia di concordato preventivo: solo in quest’ultimo caso, infatti, il legislatore ha espressamente previsto quale ipotesi di revoca dell’ammissione al concordato il mancato deposito di una somma pari al 50 per cento (o minor somma comunque non inferiore al 20 per cento) delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura (cfr. artt. 163, commi 2 e 3, e 173, comma 1, L.F.). La mancanza di disposizioni analoghe nella legge che disciplina la Procedura, ovvero di richiami espressi alla disciplina de qua, inducono a ritenere che l’intenzione del legislatore sia stata proprio quella di esentare la procedura di sovraindebitamento da una simile imposizione: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Né si potrebbe giungere a conclusioni dissimili analizzando le norme specificamente dettate in materia di compensi dell’OCC. Ed infatti, il D.M. 24 settembre 2014, n. 202 (Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento) stabilisce inter alia che (i) la misura del compenso è preventivamente resa nota dall’OCC al debitore con un preventivo, (ii) l’OCC deve rendere noto ai creditori l’accordo concluso con il debitore in merito al proprio compenso, (iii) all’OCC è fatto divieto di percepire compensi o altre utilità direttamente dal debitore, (iv) la liquidazione del compenso avviene all’esito della Procedura, fatta salva la possibilità di percepire acconti sul compenso finale.

Ricostruito in questi termini il corpus normativo di riferimento, i giudici di legittimità hanno quindi concluso per la mancanza di qualsivoglia fondamento giuridico del provvedimento che condizioni l’ammissibilità della domanda di accesso alla Procedura al preventivo deposito di un fondo spese volto a coprire i compensi e le spese spettanti all’OCC, determinando – al contrario – un simile provvedimento una lesione dell’effettivo diritto del debitore di avvalersi della Procedura.

Pertanto, pur asserendo l’inammissibilità ex art. 111 Cost. del ricorso “per difetto dei caratteri di decisorietà e definitività del provvedimento impugnato”, i giudici di legittimità hanno espresso il seguente principio di diritto ai sensi dell’art. 363, comma 3, cod. proc. civ.: «In tema di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla legge n. 3 del 2012, il giudice non può, in assenza di una specifica norma che lo consenta, imporre al debitore, a pena di inammissibilità, il deposito preventivo di una somma per le spese che si presumono necessarie ai fini della procedura, potendo semmai disporre acconti sul compenso finale spettante all’organismo di composizione della crisi, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 24 settembre 2014, n. 202, tenendo conto delle circostanza concrete e, in particolare, della consistenza dei beni e dei redditi del debitore in vista della fattibilità della proposta di accordo o del piano del consumatore, anche si sensi dell’art. 8, comma 2, della legge n. 3 del 2012».

 

 

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