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Con l’ordinanza interlocutoria n. 19881 del 23 luglio 2019 (scarica il testo in calce), la prima sezione della Corte di Cassazione ha chiesto l’intervento delle Sezioni Unite per dirimere la questione relativa all’ammissibilità dell’azione revocatoria radicata nei confronti della curatela fallimentare, essendo emersa l’esigenza di un superamento dei precedenti orientamenti giurisprudenziali in ragione della recente introduzione del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza.

Sommario
1. Il caso
2. La questione
3. L’ordinanza di rimessione

1. Il caso

La vicenda ha visto il Tribunale di merito rigettare l’opposizione allo stato passivo proposta dalla curatela del fallimento di una società in liquidazione nei confronti della curatela del fallimento di una s.r.l., confermando il provvedimento di diniego emesso dal Giudice delegato avverso la domanda presentata ai sensi dell’art. 103 L.F. con la quale era stata richiesta la restituzione di un compendio aziendale oggetto di cessione in forza dell’istanza revocatoria di due atti dispositivi posti in essere dalla società opposta in bonis poi dichiarata fallita.

Il Giudice di merito ha accolto le deduzioni difensive formulate dalla curatela opposta secondo cui doveva ritenersi inammissibile l’azione revocatoria proposta nei confronti del fallimento dopo l’apertura del concorso.

In ragione del principio della cristallizzazione del passivo fallimentare sancito dall’art. 52 L.F., il Tribunale ha pertanto confermato il diniego alla richiesta di restituzione dei beni aziendali del cui trasferimento si assumeva l’inefficacia per la contestuale domanda revocatoria avanzata dalla curatela opponente.
La curatela della società in liquidazione ha indi proposto ricorso per cassazione.

2. La questione

La Corte di Cassazione ha tuttavia ritenuto di dover rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in merito alla questione della proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un fallimento.

Nell’affrontare il tema in discussione, i Giudici di legittimità ripercorrono i propri precedenti giurisprudenziali, partendo dal consolidato orientamento in forza del quale non è ammissibile un’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento, stante non solo il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso, che non subisce peraltro alcuna deroga, ma anche la natura costitutiva dell’azione [1].

Ed in questo senso è speculare l’ulteriore principio in forza del quale deve ritenersi esclusa la sanzione dell’improcedibilità sopravvenuta della azione revocatoria quando essa è stata esperita prima della dichiarazione di fallimento. [2]

La Cassazione rammenta altresì che i richiamati consolidati principi hanno recentemente trovato conferma nell’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità, le quali hanno ribadito che la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare ha natura costitutiva in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, privando di effetti gli atti che avevano già conseguito piena efficacia e determinano la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto dispositivo.

È stato pertanto riaffermato il principio in forza del quale deve ritenersi inammissibile l’azione revocatoria esperita nei confronti di un fallimento, tenuto inoltre conto del fatto che il principio di cristallizzazione del passivo opera alla data di apertura del concorso in funzione di tutela della massa dei creditori (si veda: Cass. civ. Sez. Unite, 23/11/2018, n. 30416).







3. L’ordinanza di rimessione

La Cassazione evidenzia che i riferiti consolidati orientamenti giurisprudenziali meritano tuttavia un momento di riflessione e un meditato ripensamento alla luce delle novità introdotte dalla riforma delle procedure concorsuali testé avvenuta per effetto della recente emanazione del D.lgs. n. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza).

La Cassazione ritiene infatti di dover richiamare la disciplina contenuta nel nuovo codice – sebbene non direttamente applicabile ratione temporis nel caso di specie – a fini interpretativi e ricostruttivi della fattispecie in oggetto, dal momento che la normativa da poco introdotta non solo fa ora parte integrante del nostro ordinamento giuridico, ma segna altresì un’evidente incrinatura delle argomentazioni formulate negli orientamenti interpretativi sin qui espressi dalla giurisprudenza di legittimità.

La Cassazione rinvia in particolare alla novità legislativa introdotta dall’art. 290, comma 3, del D.lgs. n. 14/2019, in forza del quale “il curatore della procedura di liquidazione giudiziale aperta nei confronti di una società appartenente ad un gruppo può esercitare, nei confronti delle altre società del gruppo, l’azione revocatoria prevista dall’art. 166 degli atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lett. a) e b), nei due anni anteriori al deposito della domanda o nell’anno anteriore, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lett. c) ed d)”. [3]

La sezione remittente sottolinea in primis che l’art. 290 del D.lgs. n. 14/2019 supera l’argomento letterale della “specialità” utilizzato nei propri precedenti giurisprudenziali per marginalizzare il riferimento contenuto nell’art. 91 del D.lgs. n. 270/1999 in relazione alla c.d. revocatoria aggravate alle sole procedure di amministrazione straordinaria.

Per i giudici di legittimità appare pertanto opportuno rimeditare sui principi affermati in passato non solo in ragione della notevole valenza sistematica rivestita dall’art. 290, comma 3, del D.lgs. n. 14/2019, ma anche in considerazione dell’applicazione generalizzata della norma introdotta dalla riforma a tutte le ipotesi di revocatorie infragruppo.

La Cassazione sottolinea inoltre che l’art. 290, comma 3, del D.lgs. n. 14/2019 non contiene deroghe specifiche al principio dell’inammissibilità dell’azione revocatoria nella liquidazione giudiziale, così come invece in passato affermato in via interpretativa.

È conseguentemente possibile sostenere che deve ritenersi generalizzata l’applicazione del principio di ammissibilità dell’azione revocatoria – ordinaria e fallimentare – nei confronti della procedura di liquidazione giudiziale anche al di là delle azioni esercitate nell’ambito dei gruppi di imprese.

I Giudici di legittimità sostengono che tale posizione trova difatti conferma nel fatto che laddove il legislatore ha introdotto deroghe ai principi affermati in precedenza lo ha fatto esplicitamente nel tessuto normativo delle nuove disposizioni.

È stata pertanto avvertita la necessità di rimettere gli atti per l’esame della questione alle Sezioni Unite della Cassazione. 

CASSAZIONE CIVILE, SSUU, ORDINANZA INTERLOCUTORIA 19881/2019 >> SCARICA IL TESTO PDF



[1] Cass. civ. Sez. I Sent., 12/05/2011, n. 10486; Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 08/03/2012, n. 3672

[2] Cass. civ. Sez. I, 30/08/1994, n. 7583; Cass. civ., 21/06/1984, n. 3657; Cass. civ. Sez. I, 04/02/1987, n. 1001; Cass. civ. Sez. Unite, 13/06/1996, n. 5443

[3] È solo il caso di precisare che secondo quanto prescritto dall’art. 166 comma 1 del D.lgs. n. 14/2019, “sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore: a) gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal debitore sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore; b) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore; c) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore per debiti preesistenti non scaduti; d) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori per debiti scaduti”. L’art. 166, comma 2, del D.lgs. n. 14/2019 dispone inoltre che: “sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori”. L’art. 290 del D.lgs. n. 14/2019, in combinato disposto con l’art. 166 del riferito decreto, ha come obiettivo quello di configurare un regime di maggior rigore per quanto concerne la proponibilità dell’azione revocatoria nell’ambito delle operazioni infragruppo, poiché esse sono finalizzate a modificare la condizione patrimoniale di alcune imprese a vantaggio di altre con conseguente possibile consumazione di atti pregiudizievoli per i creditori.

















 

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