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Con la sentenza in commento la Cassazione si è pronunciata in tema di diritto al silenzio e obbligo di collaborazione con le autorità di vigilanza precisando che “la peculiarità della fattispecie esaminata dalla Consulta – rifiuto di rispondere a domande formulate in sede di audizione o per iscritto dalle Autorità di vigilanza – non proietta dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2638 c.c., che delinea condotte alternative di omessa comunicazione di informazioni dovute o di ricorso a mezzi fraudolenti, anche quando dalla condotta conforme potrebbero derivare elementi di prova di altro illecito”.

Questa in sintesi la vicenda processuale

La Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la decisione di primo grado con la quale erano stati condannati due imputati, in qualità di presidente del CdA l’uno e di concorrente morale nel reato l’altro, per più ipotesi di reato, tra cui la fattispecie di omesse informazioni dovute alle autorità di vigilanza. I predetti presentavano ricorso per Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, il vizio di motivazione in relazione al predetto reato, sostenendo che l’impugnata sentenza non avesse correttamente giustificato l’idoneità della condotta omissiva degli imputati a determinare un ostacolo alle funzioni di vigilanza ai sensi dell’art. 2638 c.c.

La Suprema Corte rigetta tale motivo di ricorso ritenendolo manifestamente infondato.

Nella sentenza in commento viene, infatti, precisato che ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2638 c.c., in quanto reato d’evento, l’elemento oggettivo può ben consistere anche nella omessa comunicazione delle informazioni dovute, come sancito dal secondo comma del medesimo articolo. Nello specifico, nella vicenda in esame i ricorrenti erano tenuti ad ottemperare all’obbligo di comunicazione alla CONSOB ai sensi dell’art 114 del TUF (Testo Unico della Finanza) e, disattendendolo, secondo la Corte, avevano impedito o perlomeno rallentato l’esercizio di vigilanza da parte della suddetta autorità.

Una volta chiarite le ragioni sottese alla configurabilità nel caso in scrutinio del reato contestato, la Suprema Corte rileva come in relazione alla disposizione di cui all’art. 2638 c.c. non possa applicarsi il principio recentemente espresso dalla Corte Costituzionale per cui l’obbligo informativo nei confronti delle autorità di vigilanza è da ritenersi incompatibile con il diritto al silenzio della persona fisica. Nella sentenza n. 84 del 13 aprile 2021 l’art. 187 quinquiedecies del TUF veniva, infatti, dichiarato illegittimo nella parte in cui “si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato“, in quanto in conflitto con il principio “nemo tenetur se detegere“.

La citata sentenza si fondava su una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella quale, a seguito di una questione pregiudiziale posta dalla Consulta, si era affermato che gli Stati membri sono liberi di scegliere di non sanzionare la persona fisica che non fornisca alle autorità competenti le informazioni necessarie per individuare la sussistenza di un illecito amministrativo o un reato alla stessa imputabile.

Nel caso di specie, tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, non può trovare applicazione il suddetto principio, risultando preminente l’obbligo di dichiarare all’Agenzia delle Entrate eventuali redditi provenienti da attività illecita – e, pertanto, l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche di cui all’art. 53 Cost – rispetto all’interesse all’impunità del singolo, non rilevando, di conseguenza, il principio “nemo tenetur se detegere“.

La Cassazione statuisce, pertanto, la prevalenza del bene giuridico protetto dalla norma in esame rispetto all’interesse personale del singolo, precisando come la tutela del diritto al silenzio non metta in discussione, nell’ambito del dovere di informazione nei confronti delle autorità di vigilanza, la legittimità dall’art. 2638 c.c. anche qualora la condotta di collaborazione del singolo possa far emergere una responsabilità penale in capo al medesimo.

*a cura dell’Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Giorgia Conconi (dello Studio Legale Ventimiglia)

 

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