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Gli utili e le perdite su cambi, emerse all’atto della conversione di crediti in valuta estera in titoli partecipativi emessi da una società in concordato preventivo, costituiscono differenze su cambi da realizzo e concorrono alla formazione del reddito imponibile in base alla propria disciplina fiscale, poiché non trova applicazione l’esclusione prevista dall’articolo 88 del Tuir per le sopravvenienze da esdebitazione.

Lo ha chiarito l’agenzia delle Entrate con la risposta a interpello 138, riferita a un’articolata istanza presentata da una società italiana il cui piano di concordato prevede: la separazione dei beni destinati a essere impiegati nell’attività aziendale da quelli destinati a essere liquidati; la confluenza di questi ultimi in un patrimonio destinato a uno specifico affare ex articoli 2447-bis e successivi del Codice civile unitamente ai debiti delle stabili organizzazioni estere (in regime di branch exemption); il soddisfacimento di questi debiti mediante la loro conversione in titoli partecipativi di nuova emissione a seguito della omologazione del concordato.

Dopo aver precisato che l’assegnazione di tali beni al patrimonio separato non è rilevante ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni e che tale entità non può costituire un autonomo soggetto passivo d’imposta, l’Agenzia ha affermato che la differenza fra il valore fiscale dei debiti in valuta estera e il rispettivo controvalore in euro al tasso di cambio a pronti, corrente alla data di attribuzione dei debiti, costituisce una differenza su cambi che concorre alla formazione del reddito delle stabili organizzazioni, senza usufruire dell’esclusione prevista dall’articolo 88.

Il controvalore in euro del debito in valuta estera diventa però il valore fiscale del debito da utilizzare, in contrapposizione con il valore fiscale del corrispondente credito in capo al creditore, per determinare la sopravvenienza da conversione ai sensi del comma 4-bis dell’articolo 88, la quale è tuttavia detassata se la conversione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, a norma del successivo comma 4-ter.

L’Agenzia non ha chiarito se tale sopravvenienza attiva resta soggetta alle disposizioni di detto comma relative alle procedure liquidatorie (con detassazione integrale) oppure a quelle riguardanti le procedure di risanamento (con «detassazione limitata»). Se è vero che il patrimonio separato non costituisce un soggetto passivo d’imposta a sé, dovrebbe propendersi per la seconda soluzione in considerazione della “sopravvivenza” dell’impresa debitrice.

Ai fini della tassazione della sopravvenienza da conversione, secondo l’Agenzia è irrilevante la residenza estera del creditore, ma ciò non pare logico, perché in tal caso viene meno l’esigenza che la giustifica.

 

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