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Con la pronuncia in esame la Corte di cassazione ha ribadito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il rimborso dei versamenti operati dai soci in conto capitale integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; mentre quello dei versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale (sentenza n. 852/2021 – testo in calce).

Il fatto

La pronuncia scaturisce dall’impugnazione della sentenza che, in secondo grado, confermava la condanna del ricorrente a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione per avere, nella qualità di amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita, ceduto, in concorso con l’amministratore di diritto, in favore della ex moglie, gli unici cespiti immobiliari di proprietà della fallita (un appartamento e un box pertinenziale), a un prezzo inferiore di oltre un milione di euro al valore di stima peritale.

La difesa proponeva due motivi con i quali denunciava la violazione di legge e il vizio di motivazione sia in merito all’elemento oggettivo che all’elemento soggettivo del reato.

In particolare, eccepiva che la Corte era incorsa in errore circa l’entità dei debiti della fallita (pari alla metà di quelli indicati in imputazione e ritenuti in sentenza), fondando il giudizio di responsabilità, non sulla differenza tra il valore dei beni ceduti (acquistati all’asta), e il prezzo di vendita (nettamente superiore), ma sulla considerazione del carattere genericamente non vantaggioso della vendita in sé, senza tuttavia aver dimostrato che i beni fossero stati venduti a un prezzo inferiore al loro valore reale.

Con riguardo, invece, all’elemento soggettivo del reato, il ricorrente contestava che vi fosse stata comunanza di interessi con la ex moglie (socio finanziatore, creditore della società) poiché la cessione era avvenuta in compensazione con un credito vantato, nei confronti della società, dall’acquirente, in ragione di un finanziamento soci, effettuato nel 2002, postergato nel bilancio di esercizio del 2011, di cui era stata chiesta la restituzione, a distanza di oltre dieci anni, anche presentando ricorso per decreto ingiuntivo, mai opposto dalla società.

Evidenziava infine la Difesa che non si era in presenza di una doppia conforme pronuncia di condanna, dal momento che, mentre il Tribunale aveva considerato, quale fatto distrattivo, la vendita immobiliare a prezzo inferiore al valore di mercato, la Corte di appello aveva considerato come fatto distrattivo la cessione in sé. Sosteneva, quindi, la Difesa del ricorrente che, in assenza di depauperamento patrimoniale, non era configurabile la distrazione.

Bancarotta per distrazione e bancarotta preferenziale: cenni

Pare opportuno, per meglio comprendere la sentenza in esame, ricordare brevemente le caratteristiche delle due fattispecie di bancarotta menzionate nel corpo della stessa: la bancarotta fraudolenta e la bancarotta preferenziale.

La prima si caratterizza per la condotta artificiosa, diretta ad aggravare lo stato di insolvenza in pregiudizio delle pretese creditorie. La bancarotta preferenziale si caratterizza per il vantaggio accordato nel pagamento di alcuni creditori in danno della par condicio creditorum.

La disciplina, originariamente contemplata dal Regio Decreto n. 267/1943, c.d. Legge Fallimentare (titolo VI, articoli 216-241) è stata rimodellata dal D.Lgs. n. 14/2019 recante il “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza la cui entrata in vigore in parte qua, prevista per il 15 agosto 2020, è stata differita al 1° settembre 2021 ad opera del c.d. Decreto “Liquidità”.

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Tale intervento normativo, nel ricondurre la disciplina della bancarotta e degli altri reati fallimentari nel Titolo IX del nuovo Codice, dedicato alle “Disposizioni penali” (artt. 322-347), non ha riformulato le disposizioni penali in tema di bancarotta salvo che per l’adeguamento lessicale conseguente al venire meno dei concetti di “fallimento” e “procedura fallimentare” sostituiti con quello di “liquidazione giudiziale”.

Ciò precisato, il reato di bancarotta fraudolenta punisce con la pena della reclusione da tre a dieci anni, l’imprenditore che, dichiarato fallito (ex art. 216 l.f., in liquidazione giudiziale ex art. 322 nuovo Codice), abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, abbia esposto o riconosciuto passività inesistenti oppure abbia sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li abbia tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, che, durante la procedura, commetta alcuno dei fatti preveduti dalla lettera a) del comma 1, ovvero sottragga, distrugga o falsifichi i libri o le altre scritture contabili.

Si tratta di un reato proprio, potendo essere commesso solo dall’imprenditore commerciale, dichiarato in liquidazione giudiziale, sul patrimonio allo stesso facente capo; di un reato di pericolo, essendo sufficiente alla sua integrazione l’idoneità della condotta ad intaccare la garanzia patrimoniale dei creditori; di un reato a dolo specifico, dovendo la condotta essere sorretta dallo scopo di recare pregiudizio ai creditori.

La disposizione normativa contempla due ipotesi: la bancarotta fraudolenta patrimoniale e quella documentale, nonché un’ulteriore ipotesi, nel caso in cui l’imprenditore sia stato già dichiarato fallito e sia in corso la relativa procedura, che riproduce le condotte compatibili con l’inizio della procedura.

La bancarotta fraudolenta patrimoniale può consistere nella distrazione, cioè nell’utilizzo dei beni per scopi estranei all’esercizio dell’attività imprenditoriale; nell’occultamento, cioè nel materiale nascondimento dei beni patrimoniali; nella dissimulazione, cioè nel creare l’apparenza che detti beni appartengano ad altri; nella distruzione, ovvero nell’eliminazione materiale degli stessi; nella dissipazione, cioè nelllo sperpero ingiustificato e di consistenza significativa rispetto all’entità patrimoniale; nell’esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, cioè nella rivelazione di uno stato patrimoniale passivo più consistente di quanto non sia realmente ovvero nel riconoscimento dell’esistenza di un credito di terzi non dovuto.

La bancarotta fraudolenta fraudolenta documentale può consistere nella distruzione, sottrazione, falsificazione (c.d. bancarotta documentale specifica) o nella tenuta irregolare dei libri contabili (c.d. bancarotta documentale generica) cioè condotte che impediscono alla procedura fallimentare la ricostruzione esatta e reale della situazione patrimoniale dell’imprenditore.

La bancarotta preferenziale punisce con la reclusione da uno a cinque anni il fallito che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegua pagamenti o simula titoli di prelazione.

L’oggetto giuridico è rappresentato dall’interesse dei creditori alla distribuzione del patrimonio secondo le regole della par condicio.

La condotta può consistere in un pagamento o nella simulazione di titoli di prelazione.

L’elemento psicologico è costituito dal dolo specifico, consistente nel fine di favorire alcuni dei creditori e non altri.

La sentenza

La Corte ha accolto il ricorso disponendo l’annullamento della sentenza impugnata e demandando al giudice del rinvio il compito di accertare la natura della condotta depauperativa, nonché la natura del finanziamento effettuato dalla ex moglie del ricorrente in favore del società che aveva prodotto il credito poi andato in compensazione all’atto della compravendita in contestazione.

Vediamo perchè.

Sotto il primo profilo, la Corte ha evidenziato come le due sentenze di merito avessero fondato su valutazioni differenti l’affermazione di colpevolezza e non si fosse quindi in presenza, come sostenuto dalla difesa, di una doppia conforme di condanna: infatti, il Tribunale aveva ravvisato la condotta distrattiva nell’avere ceduto a un corrispettivo largamente inferiore le uniche disponibilità immobiliari della società, la Corte di appello, invece, aveva ravvisato la condotta distrattiva nel negozio traslativo in sé, considerato genericamente non vantaggioso.

Di qui la necessità di accertare l’eventuale depauperamento patrimoniale e la sua idoneità a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori, solo in tal caso potendo ritenersi integrato il reato di pericolo ascritto al ricorrente.
Sotto il secondo profilo, la Corte di appello aveva usato, nel corpo della motivazione, espressioni che lasciavano intendere che il versamento effettuato dalla ex moglie del ricorrente non fosse un versamento in conto capitale, ma un vero e proprio finanziamento, come tale rimborsabile. La mancata specifica indicazione circa la natura di tale versamento risultava invece decisiva ai fini della qualificazione giuridica del fatto distrattivo.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, a proposito della natura dei finanziamenti dei soci in favore della società, pacificamente distingue tra l’ipotesi in cui l’indebita restituzione ai soci riguardi finanziamenti effettuati dai medesimi in conto capitale, dal caso della restituzione di versamenti effettuati a titolo di mutuo, affermando che: il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione; mentre, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale.

Ciò, in quanto i versamenti operati dai soci in conto capitale non sono iscritti tra i debiti e non danno luogo ad un credito esigibile nel corso della vita della società ma confluiscono in apposita riserva e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, mentre i versamenti operati a titolo di mutuo possono essere richiesti ad una determinata scadenza.

Di qui la necessità di chiarire in sede di rinvio la natura del versamento in denaro effettuato dalla ex moglie del ricorrente verificando se si fosse trattato di un versamento in conto capitale (per il quale non c’è obbligo di restituzione), oppure di un vero e proprio finanziamento (per il quale sussiste, invece, l’obbligo di restituzione).

Poiché nel primo caso, non essendo maturato in capo alla finanziatrice un diritto di credito verso la società, alcuna compensazione sarebbe stata possibile all’atto della compravendita immobiliare. Diversamente, essendo maturato un diritto di credito verso la società, avrebbe dovuto essere valutata la natura preferenziale della distrazione derivata dalla compensazione del credito in favore di uno dei creditori sociali.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 852/2021 >> SCARICA IL PDF

 

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