Quali sono i presupposti su cui un giudice
dell’esecuzione può sospendere o revocare in maniera
legittima un ordine di demolizione? Si tratta di un tema più volte
affrontato dalla Corte di Cassazione, in ambito di condono
edilizio. Vi ritorna ancora una volta con la sentenza
n. 4175/2022 della Sez. 4 penale, ribadendo i principi
che guidano il lavoro del giudice dell’esecuzione.
Revoca o sospensione ordine di demolizione: la sentenza della
Cassazione
Il caso in esame, riguarda l’istanza di condono
edilizio per un edificio abusivo su cui è
stata emessa un’ordinanza di demolizione, confermata dal giudice
dell’esecuzione. Secondo la ricorrente in Cassazione, il giudice
non avrebbe svolto correttamente il proprio lavoro, perché non
aveva valutato l’intera documentazione della pratica. L’edificio,
non ancora completato allo stato grezzo nel 1985, era stato invece
completato, dopo il termine previsto dalla Legge n. 724/1994
(Secondo Condono Edilizio) ed era ancora in attesa
di parere da parte dell’Amministrazione sull’eventuale rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica.
Ordine di demolizione: il ruolo del giudice
dell’esecuzione
Sul punto, gli ermellini hanno ribadito che in tema di
reati edilizi, il giudice dell’esecuzione
investito della richiesta di revoca o di sospensione dell’ordine di
demolizione delle opere abusive di cui all’art. 31 d.P.R. n.
380/2001 (Testo Unico Edilizia), in conseguenza
della presentazione di una istanza di condono o sanatoria
successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è
tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di
conclusione del procedimento amministrativo e, in
particolare:
- a) il prevedibile risultato dell’istanza e la
sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; - b) la durata necessaria per la definizione
della procedura.
Inoltre ha ricordato che in tema di reati edilizi, non sussiste
un onere probatorio a carico del soggetto che invochi in sede
esecutiva la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione, ma
solo un onere di allegazione: esso consiste nel
prospettare e indicare al giudice i fatti sui quali la sua
richiesta si basa e incombe poi all’autorità giudiziaria il compito
di procedere ai relativi accertamenti.
Nel caso in esame, tale onere è stato disatteso sul punto dal
ricorrente sotto un duplice profilo:
- con riferimento alla domanda di condono presentata, ancora
pendente, non si è fatto carico di allegare alcun elemento concreto
dal quale il Giudice dell’esecuzione potesse desumere che la
domanda di condono fosse definibile in tempi brevi, considerato che
tra la sentenza irrevocabile inerente l’ordine di demolizione e la
notifica al ricorrente dell’ingiunzione a demolire erano trascorsi
ben 5 anni; - tali documenti sarebbero stati utili a dare corso a una
istruttoria per accertare i possibili esiti e i tempi di
conclusione del procedimento amministrativo.
Di conseguenza, il giudice dell’esecuzione, dopo avere esaminato
gli atti in suo possesso, ha correttamente considerato il
perdurante mancato perfezionamento della procedura di condono, data
anche l’assenza di parere sul vincolo
paesaggistico.
Per altro, considerato che al 31 dicembre 1993, termine massimo
stabilito dalla legge 724/1994 per la sussistenza dei requisiti al
condono, diversamente da quanto dichiarato dal ricorrente il
manufatto abusivo non era ultimato nemmeno al “rustico”, era palese
che mancavano elementi concreti diretti a fare ragionevolmente
presumere il rilascio di un eventuale provvedimento di
sanatoria, tale quindi da legittimare la revoca o la
sospensione dell’ordine di demolizione.
Quindi il ricorso è stato respinto: il giudice dell’esecuzione
ha correttamente confermato l’ordine di demolizione, riconoscendo
l’insussistenza di possibili motivazioni che potessero portare al
perfezionamento della pratica di condono
edilizio.
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