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Strumenti negoziali stragiudiziali e accordi di ristrutturazione

La riforma del sistema concorsuale, introdotta dalla Legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, non trascura di condurre ad organicità anche gli strumenti stragiudiziali atti al superamento della crisi di impresa.

Attrae a sé gli strumenti esistenti migliorandone alcuni contenuti, come nel caso degli accordi disciplinati nel Capo I del Titolo V della riforma.

È il tema di fondo del modello Rordorf, che segue un processo normativo mirato ad alleggerire il ruolo dei tribunali nella amministrazione delle controversie, così favorendo soluzioni di tipo differente.

Le soluzioni proposte dal nuovo sistema extra concorsuale saranno:

  • accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento;
  • accordi di ristrutturazione dei debiti;
  • accordi di ristrutturazione agevolati e ad efficacia estesa;
  • transazione fiscale.

Gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, originariamente regolamentati solo negli effetti delle esenzioni dalle azioni revocatorie fallimentari, ora trovano una disciplina inclusiva rispetto al quadro concorsuale italiano.

L’imprenditore, anche non commerciale, può rivolgere ai creditori un piano volto a favorire il risanamento della esposizione debitoria con la sola finalità della continuità aziendale. Il piano deve avere una data certa, anche al fine dell’esenzione da revocatoria in caso di successiva liquidazione giudiziale. L’imprenditore dovrà proporre un piano compiuto che contenga anche i rimedi in caso di scostamento dagli obiettivi previsti, accompagnato dalla stessa documentazione prevista per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi. Il piano deve essere attestato da un professionista indipendente e potrà essere pubblicato presso il registro delle imprese su richiesta del debitore.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, invece, costituiscono una procedura differente dalla precedente, poiché promossa dall’imprenditore con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti ed è soggetta a omologazione.

Nei contenuti la procedura è simile a quella dei piani attestati, ma deve tenere ovviamente conto anche dei creditori estranei all’accordo, garantendo il loro pagamento entro 120 giorni dalla omologazione, in caso di crediti scaduti, o entro 120 giorni dalla loro scadenza, se avviene nell’ambito della procedura.

Anche in questo caso è richiesta una attestazione di un professionista indipendente, posto che questi dovrà ora anche preoccuparsi di considerare l’attestazione delle garanzie dell’integrale pagamento dei creditori estranei all’accordo.

Qualsiasi modifica al piano, che avvenga prima o dopo l’omologazione, procurerà la necessaria riattestazione del piano e pubblicazione presso il registro delle imprese, oltreché il consenso dei creditori.

Gli accordi non limitano, salvo patto contrario, l’efficacia del titolo di credito nei confronti di coobbligati, fideiussori o obbligati in via di regresso.

Esiste la possibilità che la percentuale di ammissibilità per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione scenda della metà quando il debitore non proponga moratoria nei confronti dei creditori estranei agli accordi e non richieda misure protettive, così ricadendo nell’ipotesi degli accordi di ristrutturazione agevolati.

Inoltre, è confermata la possibilità di adottare accordi con efficacia estesa quando si possano categorizzare i creditori per classi omogenee di interessi, evitando che basti l’opposizione di pochi tra essi a delegittimare l’intero istituto. E così è possibile che creditori suddivisibili in classi omogenee, di solito banche e intermediari finanziari, possano rappresentare un voto di categoria per l’intera classe, una volta raggiunta una percentuale pari al 75% della stessa, previa adeguata informazione verso tutti. Il piano deve garantire comunque continuità aziendale e l’estensione ai creditori non aderenti è ammessa se dimostrata maggiore convenienza del piano rispetto alla liquidazione giudiziale.

La transazione fiscale, infine, non costituisce autonomo istituto, ma, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione precedenti, può essere proposta al fine di risolvere pendenze di tipo tributario e contributivo, purché l’attestazione del professionista indipendente certifichi una generale convenienza della transazione rispetto alla liquidazione giudiziale. Sul punto, si esprime il tribunale con autonoma valutazione. L’accordo, se raggiunto, prevede espressa adesione della Direzione regionale e provinciale dell’Ufficio competente e va sottoscritto anche dall’agente di riscossione per la parte attinente i propri compensi. La transazione si risolve in caso di inadempimento in via di diritto.

 

Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono strumenti applicabili ai soggetti minori, per i quali le ordinarie procedure di liquidazione non sono applicabili, ovvero consumatori, professionisti, imprenditori minori, imprenditori agricoli e start up innovative.

Si intendono:

  • per impresa minore, l’impresa che presenta congiuntamente:
    • fino a 300.000 € di attivo patrimoniale negli ultimi tre esercizi,
    • fino a 200.000 € di ricavi negli ultimi tre esercizi,
    • un ammontare di debiti non superiore a 500.000 €, anche non scaduti;
    • per consumatore, la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività di impresa, artigiana o professionale, e i soci di società non dotate di autonomia patrimoniale perfetta, per i debiti estranei a quelli sociali.

Gli strumenti previsti dalla riforma sono i seguenti:

  • piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore;
  • concordato minore;
  • liquidazione controllata.

Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sono attualmente previste dalla Legge 27 gennaio 2012, n. 3. Tuttavia, non hanno visto una applicazione soddisfacente, anzi sono state molto rare le applicazioni condotte a termine, anche a causa di un testo normativo complicato e farraginoso.

La riforma si prefigge di migliorarne gli aspetti procedurali, anche adattandoli al complesso normativo in cui saranno inserite ed ispirandole a criteri generali, laddove possibile, comuni alle altre procedure liquidatorie.

Importante novità è l’introduzione del concetto di crisi di famiglia. Laddove i debitori siano familiari conviventi, ovvero laddove la crisi di più debitori all’interno del nucleo familiare abbia un’origine comune (si pensi ad esempio ad una successione ereditaria), risulta coerente gestire unitariamente i casi di crisi personale, prevedendo il medesimo piano di composizione, pur mantenendo distinte le masse attive e passive.

 

I piani di ristrutturazione dei debiti del consumatore

Il debitore può rivolgersi a un Organismo di composizione della crisi (OCC), il quale fornisce supporto nella predisposizione del piano e rappresenta il debitore avanti al Tribunale che omologherà il piano stesso. La norma prevede che l’OCC svolga i compiti propri del commissario giudiziale o del liquidatore.

Con l’ausilio dell’OCC, il debitore presenta un piano di ristrutturazione dei debiti. La proposta può avere contenuto libero e può proporre il soddisfacimento anche parziale dei crediti, in qualsiasi forma. Lo stesso vale anche per i crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca, pur con alcune limitazioni.

La domanda, tramite l’OCC, è presentata al Tribunale competente. Inoltre l’OCC deve notificare la presentazione del piano anche all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, permettendo a questi ultimi di segnalare eventuali debiti tributari accertati o in fase di accertamento.

Sarà inoltre prevista un’area web sul sito del Tribunale o del Ministero della giustizia, in cui verranno pubblicate le domande considerate ammissibili. Laddove non ci fossero opposizioni da parte dei creditori alle domande presentate, il Tribunale dichiara il piano omologato con sentenza, dichiarando al contempo chiusa la procedura e notificandone l’esito ai creditori.

Il ruolo dell’OCC, a questo punto, è quello di vigilare sull’esatto adempimento del piano, risolvere eventuali difficoltà e sottoporle al giudice laddove necessario. Terminata l’esecuzione, l’OCC presenta al giudice il rendiconto.

Al termine della procedura, il debitore ottiene l’esdebitazione, ovvero la liberazione totale dai debiti e l’inesigibilità da parte dei creditori per quanto non soddisfatto nell’ambito della procedura.

A tutela dei creditori, ed a garanzia del corretto funzionamento della procedura, è previsto che il Tribunale possa revocare l’omologazione nel caso in cui il debitore abbia, con dolo o colpa grave, aumentato il passivo ovvero sottratto o dissimulato la consistenza attiva ed in ogni caso in cui abbia commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. In caso di revoca dell’omologazione, il giudice può disporre la conversione in liquidazione controllata.

Nella stessa ottica, è previsto che il consumatore non possa accedere alla procedura di ristrutturazione laddove sia già stato esdebitato nei cinque anni precedenti, ovvero laddove abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode.

Le procedure di concordato minore e liquidazione controllata verranno analizzate in un intervento successivo.

 

Riferimenti normativi:

 

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