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Tra rischi fiscali, economici e pignoramenti il conto corrente non è mai stato tanto incerto.

Lasci troppi soldi sul conto corrente? Sia che si tratti di qualche migliaio di euro che di decine o – buon per te – di centinaia, i soldi sul conto non sono mai così sicuri come si può credere. Non è solo l’inflazione a rosicare i risparmi. Non è neanche un cattivo investimento suggerito dal consulente finanziario. Nemici ben più pericolosi si sono aggiunti nel tempo, come l’applicazione delle regole del bail-in in caso di fallimento della banca o il pignoramento dell’Agenzia delle Entrate. Questo non vuol dire che il tradizionale materasso sia un posto più sicuro dove nascondere la busta paga o magari la liquidazione, ma in alcuni casi è preferibile “diversificare”: in altre parole, frammentare il deposito in più rapporti bancari potrebbe far vivere il contribuente con maggiore serenità. Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i

rischi a lasciare troppi soldi sul conto corrente.

Fallimento della banca

Un tempo, quando una banca entrava in crisi, lo Stato interveniva per tutelare i correntisti tramite un fondo pubblico costituito con i soldi dei contribuenti. Oggi questa garanzia non esiste più: è l’istituto di credito a dover ripianare i debiti attingendo dalle proprie risorse. A farne le spese sono innanzitutto gli azionisti, gli investitori, gli obbligazionisti e, solo in ultimo, i risparmiatori. In particolare, in presenza di una situazione di indebitamento bancario, la legge prevede un ordine gerarchico “di rischio”, dove i primi della lista sono coloro che perderanno subito i soldi: gli azionisti, i detentori di altri titoli di capitale, gli altri creditori subordinati, i creditori chirografari e, solo alla fine, le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro.

Il consiglio è quindi quello di tenere il conto corrente al di sotto di 100mila euro in modo da non rischiare neanche un euro in caso di fallimento della banca.

Inflazione

Il problema dell’inflazione, sentito molto negli anni ’80, è stato di recente ridimensionato per via della recessione economica che ha comportato il fenomeno opposto, quello della deflazione. Oggi però i tassi si stanno gradualmente rialzando; e se anche è vero che, finché resteremo nell’Unione Europea, l’inflazione non potrà mai superare il tetto del 2%, in termini reali questo indice potrebbe essere leggermente superiore. Ciò significa che, lasciando i soldi sul conto corrente, si subisce una perdita di potere d’acquisto: gli stessi mille euro depositati oggi in banca, tra un anno permetteranno di comprare meno beni e servizi perché il livello dei prezzi nel frattempo è aumentato. È vero, ci sono gli interessi attivi, ma i tassi praticati dalla banca non garantiscono mai una remunerazione tale da neutralizzare l’inflazione.

Per risolvere il problema l’ideale è di buttarsi in forme di investimento a basso rischio come titoli di Stato oppure obbligazioni emesse da banche solide.

Risparmiometro

Dal 2018, l’Agenzia delle Entrate si è dotata di un nuovo strumento che valuta la congruità del volume dei risparmi dei contribuenti con il reddito da questi dichiarato. Si chiama Risparmiometro ed è l’altra faccia del Redditometro. Il meccanismo su cui si basa l’algoritmo del Risparmiometro è il seguente. Si parte dalla presunzione che una parte del reddito di ciascun cittadino sia spesa per i beni di prima necessità, un’altra parte parte per spese voluttuarie e il residuo venga risparmiato e conservato in banca o alle Poste. Chiaramente se il contribuente ha lasciato sul conto corrente tutte le mensilità dello stipendio senza aver mai prelevato un euro significa che sta campando con altri soldi e, se questi non figurano nella dichiarazione dei redditi, significa che sono il frutto di evasione. In buona sostanza, dopo aver ricevuto dall’Anagrafe dei conti correnti tutti i dati dei depositi bancari dei contribuenti e averli confrontati con le relative dichiarazioni dei redditi, il Risparmiometro passa al setaccio tali dati e crea delle liste selettive di soggetti più esposti al rischio di evasione: si tratta di quelli il cui volume di risparmio supera quanto presumibilmente ci si possa attendere da un contribuente della stessa classe. In ogni caso, come con il Redditometro, anche col Risparmiometro sarà necessario, prima di procedere all’accertamento fiscale, chiamare il cittadino a un contraddittorio preventivo per fornire spiegazioni. Ma in assenza di valide motivazioni allora il recupero dell’imposta sarebbe pressoché certo.

Pignoramento del fisco

Con l’arrivo di Agenzia delle Entrate Riscossione, si è parlato molto del potere che ha l’esattore di pignorare il conto corrente del contribuente senza alcun ordine del tribunale. La procedura, che può essere avviata non prima di 60 giorni dalla notifica della cartella, prevede l’invio di una lettera alla banca e al debitore (quest’ultimo la riceve quasi sempre in un momento successivo); in essa è contenuto l’avviso che, in difetto di pagamento entro i successivi 60 giorni, le somme presenti sul conto dovranno essere accreditate direttamente all’agente della riscossione, e così anche i successivi accrediti fino ad estinzione totale del debito. In una situazione del genere il conto corrente diventa inutilizzabile. L’unica soluzione è chiedere una rateazione oppure aprire un differente rapporto con un’altra banca, ma ciò non garantisce l’estensione del pignoramento anche a quest’ultimo.

Possono tirare un mezzo sospiro di sollievo i lavoratori dipendenti e i pensionati. Per questi il pignoramento parte solo per importi – già depositati alla data di notifica del pignoramento – superiori a 1.345,56 euro (ossia tre volte l’assegno sociale). Dunque, lasciando il conto sotto tale tetto non si rischia alcunché, fermo restando il pignoramento delle successive mensilità. Ma con questi ulteriori limiti:

  • per stipendi o pensioni fino a 2.500 euro, il pignoramento è di massimo un decimo dell’importo;
  • per stipendi o pensioni tra 2.5001 e 5.000 euro, il pignoramento è di un settimo;
  • per stipendi o pensioni superiori a 5.000 euro, il pignoramento è di un quinto.

C’è poi il divieto di pignorare l’ultima mensilità accreditata alla data di notifica del pignoramento (per non lasciare il contribuente, di punto in bianco, senza i soldi per fare la spesa).

Anche quando il creditore è un soggetto privato (ad esempio la banca), vale il divieto di pignoramento delle somme depositate al di sotto del triplo dell’assegno sociale.

I rischi della crisi economica

Nel luglio del 1992 il governo Amato impose, in una notte, un prelievo straordinario dai conti correnti degli italiani pari al 6 per mille (la cosiddetta «tassa patrimoniale»). In quella occasione tutti urlarono al furto di Stato. Lo spettro dell’imposizione fiscale, attuata con decretazione di urgenza, intimorisce tutt’oggi il popolo. Anche l’esempio della Grecia, che ha imposto d’un tratto un limite ai prelievi dal conto, ha segnato i risparmiatori di tutta Europa e, in particolare, quelli italiani, così vicini alla situazione ellenica.

Non c’è però chi avverte che, nel caso in cui vincano gli anti-europeisti in un eventuale confronto politico, l’uscita dell’Italia dall’UE potrebbe portare l’inflazione su numeri a due cifre, situazione in grado di svalutare qualsiasi tesoro nascosto sotto il mattone. Insomma, dalla crisi economica ci si salva difficilmente, sia che i soldi siano in banca che a casa in contanti. L’ideale sarebbe disporre di un conto estero o di un investimento resistente alle fluttuazioni dei mercati (di solito l’oro o gli immobili).

Agevolazioni fiscali

Attualmente il conto corrente con una giacenza media annua inferiore a 5mila euro gode di un più favorevole trattamento fiscale: per essi infatti non si deve pagare l’imposta di bollo. Invece su un conto con giacenza di 5mila euro in media si paga circa 34,2 euro, circa il 7 per mille. Più conveniente è impiegare i soldi in strumenti finanziari per i quali l’imposta di bollo è del 0,2%.

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