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Sempre meno dai prestiti e sempre di più dalla vendita di prodotti come fondi di investimento e polizze assicurative. Per la prima volta, la banche hanno avuto ricavi superiori dalle varie commissioni e non dalla loro attività tradizionale, quella legata all’erogazione di credito. La notizia dello storico sorpasso viene dalla Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani, che ha pubblicato un’analisi sui bilanci del 2020 del settore bancario. Su 78,1 miliardi di euro di ricavi totali, 39,4 miliardi arriva dalle commissioni mentre il credito garantisce ricavi per 38,7 miliardi: le percentuali, 50,5% rispetto a 49,5%, mostrano che il «margine di interesse» che deriva dall’attività di erogazione del credito (cioè finanziare imprese e famiglie) non è più la fonte principale dell’attività delle banche.

Banche, gli «altri ricavi»

Oltre la metà dell’attività proviene da «altri ricavi», cioè dalle commissioni che il cliente paga per l’acquisto allo sportello di prodotti di risparmio come fondi di investimento o dal trading online per la compravendita di titoli e dalle provvigioni sulla vendita di polizze assicurative. La «struttura dei profitti» rivela quello che viene offerto maggiormente alla clientela. La banche, sostiene la Fabi, «stanno diventando sempre più negozi finanziari».

Il rischio del «risparmio tradito»

La spinta delle banche sul business della vendita di prodotti potrebbe per aumentare la redditività (leggete qui l’approfondiento sui profitti delle banche) è più che lecita ed è nell’interesse degli azionisti. Ma potrebbe avere risvolti negativi. «Il ruolo delle crescenti, indebite pressioni commerciali sulle lavoratrici e sui lavoratori bancari è sempre più al centro dell’attenzione nei confronti tra le organizzazioni sindacali e l’Abi – segnala la Fabi – oltre che nell’ambito dei tavoli aziendali e di gruppo. L’attenzione è rivolta anche ai pericoli per la clientela a cui vengono offerti prodotti e servizi nelle filiali sempre più simili a negozi finanziari. Il rischio, in assenza di una inversione di rotta, è di trovarsi a dover gestire nuovi casi di risparmio tradito».

Sileoni: «Rischio concorrenza sfrenata»

«Occorre ricordare che i fondi di investimento stranieri, tra i principali azionisti delle banche italiane, sono interessati esclusivamente ai dividendi – commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni – e più sono alti, più gli amministratori delegati delle stesse banche preservano le loro posizioni di vertice. Tutto questo quadro potrebbe causare danni alla clientela bancaria, sia famiglie sia imprese, che comunque nell’ambito di un mercato libero e in piena concorrenza, potrà sempre scegliere le soluzioni più adeguate alle proprie esigenze». Inoltre, Sileoni segnala un altri rischio: «Oggi- sottolinea – va tenuta sotto stretta osservazione questa fase di aggregazioni che produrranno, nel settore bancario, una concorrenza sfrenata».

La redditività e i tassi negativi

Ma perché le banche si stanno concentrando più sulla vendita di prodotti e meno su credito e finanziamenti? «Perché – osserva la Fabi – puntano su attività poco rischiose (la vendita di prodotti finanziari, appunto) e mettono in qualche modo in secondo piano i prestiti, ambito reso sempre più complesso anche per le regole stringenti, forse troppo, scritte in Europa. Poi sostengono che i tassi di interesse particolarmente contenuti rendono poco redditizia l’attività creditizia». Il maggiore sindacato dei bancari italiani contesta questo ultimo punto. «I finanziamenti alle imprese e alle famiglie – analizza – assicurerebbero un margine di guadagno discreto, ancorché lieve e più contenuto rispetto a quello di qualche anno fa. Laddove le banche lamentano scarsi profitti col margine d’interesse, occorre notare che i costi della ”provvista” di denaro sono assai bassi». In questo particolare momento storico di tassi di interesse negativi, infatti, gli interessi sui conti correnti sono nulli e quindi la raccolta diretta dalla clientela non costa niente alla banche e la liquidità fornita dalla Banca Centrale Europea con le operazioni di rifinanziamento a lungo termine viene fornita addirittura a tassi negativi.

Prestiti in calo e pulizia dei bilanci

A riprova che il credito risulta un’attività in calo, la Fabi fornisce i dati: nel 2018, rispetto al 2017, il totale degli impieghi alla clientela è sceso di 27,6 miliardi, mentre nel 2019, rispetto al 2018, è diminuito d i 40,7 miliardi. Contemporaneamente, è proseguita la cessione dei crediti deteriorati: nel corso del 2020, le banche italiane hanno ceduto 33 miliardi di «non performing loans», un valore assai più alto rispetto a quanto preventivato. «Nell’arco di soli 12 mesi – analizza la Fabi – le banche hanno smaltito circa il 20% dell’ammontare totale delle sofferenze iscritte a bilancio alla fine del 2019; il risultato è più alto della media registrata nel triennio 2017-2019, pari a circa il 17%». L’alleggerimeto dei bilanci – spiega la fabi – è stato favorito da un’agevolazione fiscale contenuta nel decreto «cura Italia» approvato durante la pandemia da Covid, che con la cessione di crediti deteriorati ha consentito alle banche di convertire le imposte anticipate («dta», deferred tax asset) in crediti d’imposta.

Una scelta poco premiante

La tendenza di puntare sulla gestione del risparmio e sulla vendita di prodotti e non sui prestiti è in atto da diversi anni: «A partire dal 2015 – spiega la Fabi – come le banche hanno spostato la loro attenzione sulla vendita alla clientela di prodotti finanziari e assicurativi, puntando sempre meno sull’intermediazione creditizia ovvero sui finanziamenti sia alle imprese sia alle famiglie. Ma la scelta di trascurare il credito per spingere la vendita di prodotti finanziari non sembra essere particolarmente premiante. «Il Roe (return on equity, ritorno sul capitale, cioè l’indice che misura la redditività di una banca) – si legge nell’analisi della Fabi – dopo aver toccato il picco nel 2018 attorno al 6% si è ulteriormente ridotto nel 2020, calando all’1,9% dal 5% dell’anno precedente».

 

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