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I vizi del precetto, indicazione delle parti, firma procura, ufficio del giudice, data di notificazione del titolo esecutivo.

Come già più volte specificato, è il secondo comma dell’art. 480 c.p.c. a dettare quale debba essere il contenuto dell’atto di precetto previsto a pena di nullità e, quando diciamo “a pena di nullità”, intendiamo fare riferimento ai concetti appena illustrati. Tuttavia, occorre tener presente che non tutti in dottrina concordano sulla nullità del precetto nel caso in cui manchi l’avvertimento al debitore introdotto, da ultimo, dal D.L. 83/2015, conv., con modif., dalla L. 132/2015, più volte citati. A parere d chi scrive, non sussiste, nullità del precetto nelle ipotesi richiamate.

Per coerenza con quanto già chiarito, dobbiamo presumere che quanto dettato dalla norma in esame sia stabilito nell’esclusivo interesse delle parti, nello specifico, del precettato.

In linea di massima, quindi, i vizi del precetto devono intendersi sanati se non rilevati con opposizione agli atti esecutivi; la disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere poi coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli, sicché, con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., non possono farsi valere vizi quale la nullità della notificazione del titolo esecutivo e del precetto ,che devono considerarsi sanati per raggiungimento dello scopo ex art. 156, ult. co., c.p.c., in virtù della proposizione dell’opposizione da parte del debitore.

Fatte tali premesse, possiamo esaminate i singoli “contenuti” dell’atto di precetto.

L’indicazione delle parti

Il primo elemento da prendere in esame è l’indicazione delle parti: sembra una prescrizione quasi superflua perchè si è portati a pensare che, nel redigere un atto di precetto, come nel redigere un qualsiasi atto del processo, si debbano sempre indicare le parti.

Prendiamo come esempio l’atto di citazione e notiamo che la prescrizione dell’art. 163, co. 2, n. 2, c.p.c. è quanto mai specifica in confronto alla disposizione di cui al secondo comma dell’art. 480 c.p.c., superficiale ed approssimativa.

Può sembrare un caso di scuola, ma la S.C. si è dovuta occupare anche della incompleta od omessa indicazione di dati riguardanti il precettante, sostenendo che, in queste ipotesi, non si configura un vizio che riguarda i presupposti dell’azione esecutiva da far valere, quindi, con l’opposizione all’esecuzione ma un’irregolarità formale dell’atto, da far valere con l’opposizione agli atti esecutivi.

La Corte di Cassazione con sent. 4896/2011 ha ritenuto che: «La mancanza, in un atto di precetto notificato da un condominio, delle generalità dell’amministratore è vizio che attiene alla regolarità formale del precetto, e non riguarda i presupposti dell’azione esecutiva. Pertanto tale vizio dev’essere fatto valere dal debitore esecutato con l’opposizione agli atti esecutivi, nel termine per questa previsto, e non con l’opposizione all’esecuzione

».

Altro riferimento normativo, relativo all’indicazione delle parti lo ritroviamo nell’art. 4, co. 8, D.L. 193/2009, conv., con modif., dalla L. 24/2010, che ha introdotto l’obbligo di indicazione del codice fiscale negli atti processuali.

Per quanto riguarda l’atto di precetto, in particolare, richiamiamo l’art. 14, co. 1bis, D.L. 669/1996, conv., con modif., dalla L. 30/1997 (e più volte modificato fino al 2010, con L. n. 183) il quale dispone che: «Gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, gli atti di precetto nonché gli atti di pignoramento e sequestro devono essere notificati a pena di nullità presso la struttura territoriale dell’Ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati e contenere i dati anagrafici dell’interessato, il codice fiscale ed il domicilio»

Tale disposizione, come già detto, integra le disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 480 c.p.c.

Precisati questi concetti, chiediamoci ora cosa succede nell’ipotesi di erronea o omessa indicazione delle parti.

Si ritiene che l’erronea o omessa indicazione delle parti non comporta nullità, se non in caso di assoluta incertezza, per analogia con quanto dispone l’art. 164 c.p.c. per la citazione; tuttavia, è difficile riscontrare nella pratica questa ipotesi.

Se parliamo, infatti, dell’atto di citazione, vi sono, di fatto, tanti elementi che portano all’identificazione del convenuto, senza contare che, al riguardo, possono essere utili anche i documenti allegati.

Quanto all’atto di precetto, pur potendo valere, in parte, le stesse considerazioni, c’è una “scialuppa di salvataggio” particolare: il titolo esecutivo da mettere in esecuzione.

Come vedremo a breve, a norma degli artt. 479 e 480 c.p.c., il titolo esecutivo deve essere notificato prima dell’atto di precetto, salva la facoltà, per l’intimante, di redigere l’atto di precetto di seguito al titolo esecutivo, notificandoli contestualmente.

È evidente che, in tale contesto, un’incertezza circa l’identità dell’intimato è di difficile ipotizzabilità.

Anche riguardo all’identificazione del precettante possono valere le considerazioni svolte.

Nella sent. 22510/2014, leggiamo che: «Nell’espropriazione forzata promossa in forza di ingiunzione esecutiva, il precetto deve contenere l’indicazione delle parti, della data di notifica del decreto ingiuntivo, nonché del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e l’apposizione della formula esecutiva, in quanto la completa identificazione del titolo sostituisce, in forza dell’art. 654 c.p.c., la notifica dello stesso, sicché, in assenza di tali indicazioni, l’atto è viziato ex art. 480 c.p.c., producendosi una nullità equivalente a quello che colpisce il precetto non preceduto dalla notifica del titolo esecutivo, non suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo con la mera proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi» (tratta da Il Foro Italiano, ed. 2015).

L’ufficio giudiziario

Passando a ciò che concerne più strettamente l’aspetto processual-civilistico della vicenda, sarebbe bene chiarire che l’art. 480 c.p.c., ultimo comma, richiama l’art. 125 c.p.c. disponendo, infatti, che: «

Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell’art. 125 e notificato alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti». Dunque, l’art. 125 c.p.c. detta norme riguardo al contenuto e alla sottoscrizione degli atti di parte in generale, li elenca e vi comprende il precetto; da qui nasce, dunque, l’opinione di parte della dottrina che sostiene che l’atto di precetto debba contenere l’indicazione dell’ufficio giudiziario competente.

A parere di chi scrive, tuttavia, non è così; d’altra parte, anche la giurisprudenza della S.C. ha ritenuto che la mancata indicazione, nell’atto di precetto, dell’ufficio giudiziario davanti al quale si potrà svolgere l’esecuzione forzata, da sola, non crea incertezze sull’individuazione del giudice competente all’esecuzione e non comporta, pertanto, la nullità del precetto.

Secondo la Corte di Cassazione (sent. 1229/1992) l’indicazione dell’ufficio giudiziario nell’atto di precetto non comporta la nullità dello stesso: «L’art. 480 c.p.c., che regola la forma del precetto, non prescrive che in esso siano indicati l’ufficio giudiziario davanti al quale si svolgerà la procedura esecutiva e la forma di esecuzione (mobiliare o immobiliare), della quale il creditore intimamente ritenga di avvalersi

».

La questione, però, merita un breve approfondimento. La Corte di Cassazione, nella sent. 9670/2008, ha ritenuto che il terzo comma dell’art. 480 c.p.c. attribuisce alla parte che intende promuovere l’esecuzione forzata una facoltà, consistente nel dichiarare la propria residenza o nell’eleggere domicilio ma, nel contempo, le impone l’onere di scegliere come tale uno tra i possibili luoghi dell’esecuzione. Dunque, se la parte istante elegge domicilio in un comune in cui il debitore della prestazione pecuniaria da realizzarsi coattivamente non possiede beni o in cui non risiede un terzo debitor debitoris, l’elezione di domicilio resta priva di effetti ed il debitore può proporre l’opposizione a precetto davanti al giudice del luogo nel quale gli è stato notificato il precetto stesso, in quanto incombe sul creditore l’onere di dimostrare che, nel comune nel quale egli ha eletto domicilio, sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore.

La questione è stata affrontata anche dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Rimini sent. 696/2011), rilevando due particolarità nel caso al suo esame: l’indicazione dell’ufficio giudiziario era stata formulata in comparsa di risposta; l’opposizione a precetto era stata proposta innanzi al giudice del luogo nel quale il precetto stesso era stato notificato.

Peraltro, è interessante richiamare al riguardo la Sentenza 480/2005 Corte Cost., che dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 480, co. 3, c.p.c. sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost., dal Tribunale di Firenze con ordinanza del 7-8-2004.

Per quel che in questa sede interessa, il Giudice delle Leggi osservò, ribadendo proprie precedenti pronunce, che la norma in esame (art. 480, co. 3, c.p.c.) deve interpretarsi nel senso che la competenza spetta al giudice del luogo di notifica del precetto non solo nel caso di mancata elezione di domicilio (o dichiarazione di residenza) da parte del creditore, ma anche nel caso in cui questi dichiari «una residenza o elegga un domicilio non aventi alcun collegamento con il luogo ove sono i beni da espropriare».

In caso di notificazione del precetto eseguita da un ufficiale giudiziario territorialmente incompetente, la conseguente nullità del precetto, non impedendo il perseguimento delle finalità del precetto medesimo, è da considerarsi sanata in forza della proposizione, da parte dell’intimato, dell’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. (Cass. 14495/2013).

La data di notificazione del titolo esecutivo

La notificazione, come noto, è atto proprio dell’ufficiale giudiziario; di quest’ultimo è opera la relazione di notifica (la famosa relata), che è nettamente distinta dall’atto notificato ed è l’unico atto idoneo a fornire la certificazione dell’avvenuta notifica, della data di questa e della persona cui la copia è stata consegnata.

Dunque, risulta evidente lo scopo della disposizione di cui all’art. 480 c.p.c.: indicare la data di notificazione del titolo esecutivo (se fatta separatamente) significa mettere l’intimato nelle condizioni di conoscere quale sia il titolo in forza del quale gli si intima una prestazione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, in più sentenze, anche degli anni passati (cfr. ad es. Cass. civ., Sez. III, 18-3-1992, n. 3321), ha ritenuto che l’omessa o inesatta indicazione della data di notifica nell’atto di precetto comporta nullità dello stesso se non vi siano altri elementi idonei a far individuare con certezza il titolo esecutivo.

In caso di omessa o inesatta indicazione della data di notifica nell’atto di precetto, questo non è nullo se dal medesimo risultino altri elementi idonei a far individuare senza incertezze la sentenza in forza della quale si intende procedere esecutivamente (Ex multis, Cass. 3321/1992).

Inoltre, non possiamo trascurare in materia quanto è disposto dal codice di procedura civile all’art. 479, che disciplina proprio la notificazione del titolo esecutivo e del precetto: «Se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto.

La notificazione del titolo esecutivo deve essere fatta alla parte personalmente a norma degli artt. 137 e seguenti.

Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte personalmente».

La disposizione richiamata è fondamentale; se è vero infatti che, nell’atto di precetto, si deve indicare la data di notifica del titolo esecutivo, vuol dire che il titolo, salvo il caso di cui al terzo comma dell’articolo in discorso, è già stato notificato, correttamente, si deve presumere.

Dunque: in caso di notifica uno actu di titolo esecutivo e atto di precetto, può anche essere omessa l’indicazione della data di notifica del titolo esecutivo, dato che questa indicazione, per la contestualità della notifica, risulterebbe impossibile.

non va taciuto peraltro che l’indicazione in discorso è prevista in alternativa alla trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge, ma di questo ci occuperemo più nello specifico a breve.

Bisogna poi fare attenzione ad un caso particolare: l’art. 654 c.p.c., disciplinante la dichiarazione di esecutorietà ed esecuzione nell’ambito del procedimento d’ingiunzione, al secondo comma, dispone che: «Ai fini dell’esecuzione, non occorre una nuova notifica del decreto esecutivo; ma nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula».

La Cassazione, con sent. 14730/2001, ha in proposito rilevato che l’articolo 654 cit. deroga a due principi generali propri del processo di esecuzione

: a) quello secondo il quale l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto (art. 479 c.p.c.); b) quello secondo il quale (anche) il decreto ingiuntivo, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, deve essere munito della formula esecutiva (art. 475 c.p.c.). La giustificazione della deroga, però, secondo la giurisprudenza di legittimità, sta nell’esigenza di semplificare l’inizio del procedimento esecutivo, evitando un’inutile duplicazione della notifica del titolo già avvenuta ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell’opposizione ed integrandola se il titolo in quel momento non era ancora munito di esecutività.

Un Tizio, ottenuto decreto ingiuntivo contro un condominio, divenuto esecutivo, per mancata opposizione, ha notificato atto di precetto, per l’intera somma, alla condomina Caia; quest’ultima ha proposto opposizione agli atti esecutivi, deducendo la nullità – inesistenza del precetto, per la mancata notifica a lei del titolo esecutivo; l’opposto ha resistito, sul rilievo che la notifica del titolo non era necessaria, in forza del disposto del secondo comma dell’art. 654 c.p.c.

Il Tribunale ha respinto l’opposizione; la S.C., accogliendo il ricorso della condòmina Caia, ha precisato che «il principio di cui all’art. 654 c.p.c. è operante solo nei confronti dell’ingiunto» (Cass. civ., Sez. III, 11-11-2011, n. 23693).

Di poco precedente, poi, la decisione di un giudice di merito, sempre in tema di condominio e di azione esecutiva contro il singolo condomino: «L’azione esecutiva promossa contro il singolo condòmino in forza di un titolo esecutivo ottenuto contro il condominio deve essere preceduta dalla notifica (oltre che del precetto, anche) del titolo esecutivo nei confronti del soggetto il cui patrimonio si intende aggredire, non essendo sufficiente che il predetto titolo venga notificato all’amministratore condominiale» (Trib. civ. Nocera Inferiore, Sez. I, 22-7-2011, in Arch. loc. 3/12).

La trascrizione del titolo esecutivo

Come noto, l’art. 480, co. 2, c.p.c. prevede che il precetto debba contenere a pena di nullità, tra l’altro, anche eventualmente la trascrizione integrale del titolo, in alternativa alla data di notificazione dello stesso, quando è richiesto dalla legge.

È il caso di precetto notificato sulla base di cambiale o sulla base di assegno bancario, di cui già abbiamo già trattato. Tuttavia, è bene ricordare in proposito che né l’art. 63 R.D. 14-12-1933, n. 1669 (legge cambiaria), né l’art. 55 R.D. 21-12-1933, n. 1736 (legge assegno) prescrivono la trascrizione integrale del titolo nel precetto.

Anche la giurisprudenza, peraltro, ha affermato che «Ai sensi dell’art. 480 cod. proc. civ., la trascrizione integrale del titolo esecutivo costituisce requisito di validità del precetto solo nei casi in cui essa sia richiesta dalla legge. Pertanto, poichè l’art. 63 del r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669 non stabilisce che il precetto cambiario debba contenere la trascrizione integrale del titolo di credito, per la validità di questo precetto è sufficiente che esso indichi gli elementi essenziali idonei a fare individuare la cambiale o le cambiali poste in esecuzione».

Lo stesso principio di diritto è dunque applicabile anche in ipotesi di precetto notificato sulla base di assegno bancario.

Non può poi essere tralasciato il discorso relativamente alle scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute.

Della scrittura privata autenticata, quale titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, abbiamo già detto precedentemente, quello che però ora ci interessa è l’onere della trascrizione integrale del titolo de quo nell’atto di precetto.

Dobbiamo considerare che, quando fu redatto il vigente codice di procedura civile, il riferimento dell’art. 480, co. 2 , c.p.c. non poteva di certo essere alla scrittura privata autenticata, introdotta come titolo esecutivo nell’art. 474 c.p.c., come noto, solo nel 2005 (con D.L. 35/2005, conv., con modif., dalla L. 263/2005). Ne consegue che, anche per quanto attiene alle scritture private autenticate, «l’ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale» (art. 480, co. 2, c.p.c.).

Analogamente, del resto, a quanto era già previsto in materia di cambiale, con la differenza che, nel caso in esame, diversamente da quanto dettato per i noti titoli di credito, l’art. 474, co. 3, c.p.c. prevede ed esige la trascrizione integrale delle scritture private autenticate.

L’ulteriore contenuto dell’atto di precetto: art. 480, co. 3, c.p.c.

Il terzo comma dell’art. 480 c.p.c. contiene una prescrizione che non è a pena di nullità, ma è sanzionata in modo semplice ed efficace dalla previsione contenuta nel secondo periodo del comma stesso: «Il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso».

Dunque, che succede in caso di mancata dichiarazione di residenza o elezione di domicilio da parte del ceditore procedente nell’atto di precetto? La giurisprudenza di legittimità (Cass. 2151/1989) rispose chiarendo che, nei suddetti casi, non vi è nullità del precetto ma soltanto «l’individuazione del forum executionis, ai fini della proposizione dell’opposizione a precetto, nel luogo in cui l’atto è stato notificato

».

La sottoscrizione e l’eventuale procura

Secondo quanto dispone l’art. 480, co. 4, c.p.c., come già specificato, il precetto deve essere sottoscritto ex art. 125 c.p.c.

Osserviamo, però, che quest’ultimo, rubricato “Contenuto e sottoscrizione degli atti di parte”, è praticamente “ritagliato a misura” per l’atto di citazione o, comunque, per atti introduttivi di giudizio. E’ fin troppo chiaro, dunque, che alcune parti della disposizione mal si adattano al precetto che, come noto, non è “atto iniziale” di alcun tipo di giudizio, bensì atto “preliminare stragiudiziale”.

Il secondo comma dell’art. 125 c.p.c. si occupa, invece, specificamente, della procura al difensore dell’attore, così come il terzo comma. Dunque, viene naturale chiedersi: e la procura al difensore del ricorrente, del controricorrente, del precettante? Evidentemente, si deve, con logica e buon senso, procedere ad opportuni adattamenti.

Dunque, un problema forse c’è e ne sono prova le sentenze nelle quali si ribadisce che il precetto è atto di natura sostanziale, e non processuale, che precede l’inizio dell’espropriazione o dell’esecuzione in genere

. In altri termini, il richiamo dell’atto di precetto nell’elenco di cui all’art. 125 c.p.c. è un’impropria collocazione ad opera del legislatore, il quale, tra l’altro, trovandosi ad elencare, ha omesso di richiamare il pignoramento immobiliare (art. 555 c.p.c. ) che, a norma dell’art. 170 disp. att. c.p.c., deve essere sottoscritto, prima della relazione di notifica, dal creditore pignorante.

Secondo Cass. 27943/2005 è da considerarsi “tamquam non esset” il pignoramento immobiliare non sottoscritto dalla parte.

Premesse queste brevi considerazioni, passiamo ad esaminare la sottoscrizione dell’atto di precetto.

Secondo Cass. 8213/2012, il precetto, pur rientrando tra gli atti di parte il cui contenuto e la cui sottoscrizione sono regolati ex art. 125 c.p.c., non costituisce «atto introduttivo di un giudizio» contenente una domanda giudiziale, bensì atto preliminare stragiudiziale, che può essere validamente sottoscritto dalla parte oppure da un suo procuratore ad negotia. Dunque, in caso di sottoscrizione del precetto da parte di altro soggetto in rappresentanza del titolare del diritto risultante sul titolo esecutivo, tale rappresentanza è sempre di carattere sostanziale, anche se conferita a persona avente la qualità di avvocato, essendo irrilevante il difetto di procura sull’originale o sulla copia notificata dell’atto.

In primo luogo, da chi deve essere sottoscritto l’atto di precetto? La Corte di cassazione, con sent. 10497/2006, ha chiarito che è necessaria la sottoscrizione della parte o di un suo rappresentante, ma non anche di difensore che sia necessariamente munito di procura alle liti (in quanto appunto non si tratta di “atto del processo”).

Peraltro, a conferma della natura “sostanziale” dell’atto di precetto già era stata pronunciata una sentenza della Cassazione nel 1992, la n. 7394, nella quale, nel ribadire la natura sostanziale del precetto medesimo, si è ritenuto che «identica natura ha la procura conferita ad altri dal creditore per redigere e notificare il precetto».

Quindi: l’atto di precetto, quale atto di natura sostanziale, può essere sottoscritto anche direttamente dalla parte o da un suo rappresentante. Quest’ultimo può essere anche un difensore incaricato dell’eventuale successiva esecuzione; ciò non toglie che, ai fini della notifica del precetto, la rappresentanza sia di natura sostanziale anche se conferita a persona avente qualità di procuratore legale.

Ricordiamo poi che, per la citazione, il conferimento della procura è consentito anche dopo la notificazione, purché anteriormente alla costituzione dell’attore (art. 125, co. 2, c.p.c.).

Dunque, sulla scorta di tale dato normativo, si è ritenuto possibile, con riguardo all’atto di precetto, il conferimento della procura dopo la notificazione (scilicet: dell’atto di precetto), in quanto, con la notificazione, il processo esecutivo non è ancora iniziato [24].

Anche Cass. 9365/2000 ritenne che al precetto è sicuramente applicabile l’art. 125, co. 2, c.p.c., che consente alla parte di dare procura al difensore che per lei l’ha sottoscritta, anche dopo la notificazione e «al più tardi al momento in cui l’attore si costituisce, momento che, nel processo di espropriazione forzata, potrebbe semmai discutersi se non sia addirittura posteriore, ma certo non è anteriore a quello in cui è eseguito il pignoramento».

Dalla norma richiamata, infatti, è enucleabile il principio secondo il quale «anche l’atto con cui si propone la domanda è suscettibile di ratifica da parte del rappresentato, secondo la regola che vale nell’ambito del diritto sostanziale (art. 1399 c.c.). Sicchè la procura non può essere conferita dopo il deposito o la notificazione dell’atto, nei processi o nelle fasi processuali che iniziano per ricorso, ma quanto al precetto può esserlo anche dopo, perchè con la notifica del precetto il processo esecutivo non è ancora iniziato

».

In verità, a parere di chi scrive, si tratta di un indebito allargamento dei limiti e della portata della disposizione in esame. Per quanto attiene all’atto di citazione, infatti, esiste il “momento della verità”, costituito dalla costituzione in giudizio; ma, riguardo all’atto di precetto, non è precisato, nelle sentenze citate, quale sia il momento utile per munire di procura il difensore; non è scritto, da alcuna parte che vi debba sempre essere opposizione. Si dovrebbe ricorrere al momento nel quale inizia l’esecuzione; però, pur ritornando a quei momenti iniziali del procedimento esecutivo, non si rinviene un termine certo entro il quale porre rimedio alla carenza.

La conclusione, per chi scrive, è che l’atto di precetto e l’atto di citazione hanno natura, funzione e contenuto diversi.

Se il legislatore ha previsto, nel secondo comma dell’art. 125 c.p.c., un’eccezione al principio, implicito nel disposto del primo comma dello stesso articolo, quell’eccezione non si può estendere ad libitum

col ricorso all’interpretazione analogica, né si può parlare di interpretazione estensiva.

Ora, alla luce di tale puntuale inquadramento, non pare lecito sostenere che la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 125 c.p.c. abbia un contenuto effettivo più ampio “di quello che appare dalla sola considerazione del valore letterale delle espressioni che compongono la disposizione stessa” fino, aggiungiamo, a ricomprendervi l’atto di precetto che ha natura, funzione, contenuto diversi, sostanzialmente e profondamente diversi, rispetto all’atto di citazione.

Tra precetto ed atto di citazione sono diversi anche i destinatari. L’atto di citazione evoca, infatti, in giudizio un tale, nei cui confronti l’attore ritiene di avere delle ragioni, delle quali deve esporre il “per come” ed il “perché”. Quel tale deve essere invitato a costituirsi, nei modi e termini di legge, innanzi il Tribunale al quale la domanda è proposta.

L’atto di precetto, invece, è indirizzato ad un soggetto che è debitore del precettante o, quanto meno, da costui ritenuto tale. Esso deve solo pagare o tenere un certo comportamento adempiente, salvo il caso di opposizione e di provvedimenti del competente giudice.

Ne consegue che, a parere di chi scrive, l’ampliamento all’atto di precetto del disposto di cui al secondo comma dell’art.125 c.p.c. integra l’indebita ricerca non di una regolamentazione che non si ritrova nelle norme, ma di una “sanatoria” che il legislatore, quando voleva, ha disposto (ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit).

Consideriamo, infine, un’ultima problematica, quella cioè relativa alla fine della procura, a quella che cioè potremmo definite la “data di scadenza” della procura.

In proposito, la S.C., nella sent. 1760/2012, ha ritenuto che: «Il principio di ultrattività del mandato alle liti, costituente una deroga alla regola per cui la morte del mandante estingue il mandato, secondo la disciplina generale della materia ai sensi dell’art. 1722 n. 4 c.c., opera solo all’interno della fase processuale in cui l’evento si è verificato, derivandone che, esaurito il grado in cui l’evento morte non dichiarato si è verificato, la legittimazione attiva e passiva compete solo alle parti reali e viventi; tale principio trova altresì applicazione quanto al precetto, atto di natura sostanziale più che processuale».

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