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2. Il presupposto oggettivo previsto dall’art. 142, comma secondo, l. fall. secondo il diritto vivente. Come noto, la non perspicua, certamente lacunosa, disciplina prevista dal legislatore in tema di esdebitazione, segnatamente gli artt. 142, 143 e 144 r.d. n. 267 del 1943, ha già destato non pochi problemi interpretativi, anche di livello costituzionale come dimostra la recente sentenza “addittiva” della Consulta che ha riscritto a tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24, comma secondo, Cost. l’art. 143 dichiarandolo costituzionalmente illegittimo limitatamente alla parte in cui esso, in caso di procedimento attivato, ad istanza del debitore già dichiarato fallito, nell’anno successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevede la notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli artt. 137 e ss. c.p.c., ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonché del decreto col quale il Giudice fissa l’udienza in camera di consiglio [v. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 181, in Giur. it., 2008, 2769 ss. con nota adesiva di Conte, Procedimento di esdebitazione ex art. 143 L. Fall., principio del contraddittorio e diritto di difesa dei creditori]. Stante le plurime criticità esegetiche, tutt’altro che risolte dalle prime pronunce di merito edite, capaci di minare una condivisibile ed uniforme applicazione dell’istituto nel quadro dell’attuale sistema delle procedure concorsuali, in particolare nel caso di specie la Sezione prima della Suprema Corte si occupa di quella sin da subito emersa dalla lettura dell’art. 142, comma secondo, l. fall. che testualmente recita «l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali». Attualmente, sia in dottrina che in giurisprudenza, esistono due orientamenti contrapposti, pur con alcune trascurabili varianti sul tema, oggi ben sintetizzati dall’ordinanza qui oggetto di commento, circa l’esatto significato di quella che è stata sin da subito definita come un’importantissima pre-condizione, un presupposto quindi, di natura oggettiva funzionale all’accesso al nuovo istituto [cfr. Castagnola, L’esdebitazione del fallito, in Giur. comm., 2008, p. 448 ss., spec. 450]. Il pun__ctum dolens è in particolare rappresentato dall’esatta portata dell’inciso «neppure in parte» che, sulle prime, come necessario e doveroso utilizzando il parametro di valutazione di cui all’art. 12, comma primo, delle “preleggi” al codice civile, ha una «significato proprio delle parole» ambiguo dato che la citata locuzione può in effetti riferirsi, indifferentemente, o al numero dei creditori concorsuali, oppure solamente alla parte di soddisfacimento che ogni singolo creditore riceve. In altri termini nell’un caso, la totale o parziale soddisfazione anche di un solo creditore potrebbe fa ritenere integrato il presupposto, con ciò estendendo nei fatti, in modo sensibile, la possibilità statistica di utilizzo dell’istituto in parola, nell’altro viceversa l’applicazione dell’art. 142, comma secondo, l. fall. verrebbe drasticamente ridotta ad un numero limitatissimo di casi [Norelli, L’esdebitazione, in La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, a cura di Fabiani-Patti, Milano, 2006, p. 255 ss., spec. p. 265]. Orbene, giustamente la Cassazione rileva che il primo orientamento, quello estensivo, poggia sull’individuazione di una pretesa voluntas legis che, se da un lato emergerebbe dalla stessa legge delega in tema di esdebitazione, in specie l’art. 1 della l. n. 80 del 2005, ove è appunto previsto che l’esdebitazione debba estendersi a tutti i «debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti» e dunque, sembrerebbe, siano essi parzialmente o totalmente insoddisfatti, dall’altro ed a fortiori, diversamente opinando, cioè avvalorando la tesi c.d. restrittiva, si provocherebbe un palese, insanabile, contrasto con la ratio premiale, il favor debitoris insomma, che invero informa l’esdebitazione quale strumento processuale, si è visto, volto a consentire in favore dell’imprenditore meritevole una ripartenza senza doversi più curare del pesante fardello della responsabilità patrimoniale da debiti pregressi sancita dal codice civile [cfr. ex plurimis, Trib. Piacenza, 8 maggio 2008, in www.ilcaso.it, 2008, Trib. Mantova, 3 aprile 2008, ibidem, Trib. Taranto, 22 ottobre 2008, in Il Fall., 2009, p. 488, Trib. Firenze, 2 aprile 2008, in Toscana giur., 2008, p. 166]. In definitiva, si sostiene, solo un’interpretazione lata della norma potrebbe inserirsi coerentemente in un sistema volto a facilitare, per superiori esigenze economico-pubblicistiche, il reinserimento nel mercato di un soggetto produttivo di reddito e lavoro al fine di incrementare le opportunità di crescita del Paese quale conseguenza, appunto, della massima estensione applicativa dell’istituto [v. Frascaroli Santi, L’esdebitazione del fallito: un premio per il fallito o un’esigenza di mercato?, in Studi in onore di Carmine Punzi, Torino, 2008, V, p. 135 ss.]. E se in tal senso, la norma non sembrerebbe porre ostacoli insormontabili avendo un significato letterale variamente interpretabile, parimenti neutro risulterebbe anche il successivo art. 143 ove sia al primo che al secondo comma si specifica che, rispettivamente, il decreto di accoglimento della domanda comporta l’inesigibilità dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente e che legittimati ad impugnarlo sono i creditori non integralmente soddisfatti. Qui, il legislatore avrebbe minus dixit quam voluit, nel senso cioè che diverrebbero inesigibili, con conseguente possibilità di proporre reclamo ex art. 26 l. fall., tutti quei crediti che residuano dalla chiusura del fallimento, siano essi parzialmente, come espressamente indicato, o totalmente soddisfatti, a seconda delle circostanze, poco importa [v. anche Panzani, Commento all’art. 142 legge fallimentare – Della esdebitazione, in Il nuovo diritto fallimentare a cura di Jorio-Fabiani, Bologna, 2006, II, p. 2096 e ss., spec. 2104, Cavalli, Gli effetti del fallimento per il debitore”, in La riforma della legge fallimentare – Profili della nuova disciplina, a cura di Ambrosini, Bologna, 2006, p. 110 ss., spec. p. 119]. Ed ancora, sempre secondo l’indirizzo favorevole all’orientamento estensivo, diversamente opinando, cioè ritenendo che anche i chirografari debbano essere parzialmente soddisfatti, in concreto si otterrebbe il risultato di imporre in ogni caso il pagamento integrale, sempre e comunque, di tutti i creditori privilegiati e questo in contrasto con lo spirito “aperto” della riforma e con lo stesso dettato normativo che appunto non distingue affatto tra classi di creditori [cfr. Trib. Piacenza, 17 aprile 2008, Trib. Vicenza, 1 dicembre 2009]. Non senza rilevare che, come osservato ad esempio dalla Corte d’Appello di Bologna con decreto dell’8 luglio 2008, un’interpretazione restrittiva in concreto relegherebbe l’istituto ad una pressoché totale marginalità applicativa con ciò ponendosi in contrasto, ancora una volta, con l’obiettiva volontà del legislatore di garantirne al contrario un diffuso utilizzo a beneficio e protezione del tessuto imprenditoriale del Paese.

 

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