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ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO

Decisione 8 ottobre 2015, n. 7854

Prot. N° 0007854/15 del 08/10/2015

IL COLLEGIO DI COORDINAMENTO

composto dai Signori:

Dott. Maurizio Massera

Presidente del Collegio ABF di Roma

Presidente

Dott. Flavio Lapertosa

Presidente del Collegio ABF di Milano

Membro effettivo

[Estensore]

Dott. Marcello Marinari

Presidente del Collegio ABF di Napoli

Membro effettivo

Prof. Avv. Gustavo Olivieri

Componente del Collegio ABF di Roma

designato dal Conciliatore Bancario Finanziario

per le controversie in cui sia parte un cliente

professionista/imprenditore

Membro effettivo

Prof. Avv. Giuseppe Guizzi

Componente del Collegio ABF di Napoli

designato da Confindustria, di concerto con

Confcommercio, Confagricoltura e

Confartigianato

Membro effettivo

nella seduta del 23/09/2015, dopo aver esaminato

 il ricorso e la documentazione allegata;

 le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;

 la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,

FATTO

Con atto prot. il 4.9.2014, preceduto da due reclami, rispettivamente del 7 marzo 2014 e dell’8 maggio 2014, il ricorrente, titolare di contratto di conto corrente bancario, ha adito il Collegio ABF di Milano, muovendo una serie di contestazioni. In particolare ha lamentato:
(i) il progressivo innalzamento del tasso di interesse a debito sul conto corrente affidato, con progressione, a suo dire, rapida dal 6,05% del 31 dicembre 2010 al 15,40% vigente al momento del reclamo, innalzamento a suo dire attuato senza alcun avviso o accordo; (ii)
la sospensione improvvisa alla fine di giugno 2013 di detto fido; (iii) la capitalizzazione degli interessi a debito con conseguente anatocismo; (iv) il superamento del tasso soglia per effetto di anatocismo, commissioni, spese e altri oneri; (v) una illegittima segnalazione del suo nominativo in Centrale Rischi.

Con ordinanza in data 29.1.2015 il Collegio di Milano, ritenuta la particolare rilevanza e novità della questione, ha deliberato di rimettere l’esame del ricorso al Collegio di coordinamento.

Vale la pena riportare come segue il testo di tale ordinanza:

“Le doglianze così sintetizzate si inseriscono in un contesto in cui, sempre stando alla ricostruzione operata dal ricorrente, da un lato, la direzione della filiale di riferimento lo avrebbe “convinto” a firmare una rinuncia al fido originariamente operante sul citato conto, dall’altro, egli stesso ha richiesto un piano di rientro dell’esposizione maturata, piano poi non eseguito, perché solo dopo la sua sottoscrizione egli si sarebbe avveduto dell’applicazione di un tasso di interesse (il citato 15,40%) a suo dire fissato in modo unilaterale dalla banca, senza alcuna pattuizione e comunque tale da determinare in un breve lasso di tempo un’ assurda progressione degli interessi debitori.

Il ricorrente chiede, pertanto, che il Collegio si pronunci riconoscendo l’illegalità dell’operato della banca e «prendendo i necessari provvedimenti».

L’intermediario, che aveva puntualmente riscontrato i due reclami, in via preliminare solleva l’eccezione di incompetenza temporale dell’ABF fondata sul fatto che le richieste avanzate dal ricorrente “risultano riferibili al periodo precedente il 1° gennaio 2009”;
quanto al merito, contesta i vari addebiti affermando, anzitutto, di essersi sempre attenuto alla normativa di volta in volta vigente sia quanto al preteso superamento del tasso soglia, (suffragando le proprie dichiarazioni da documentazione risultante da appositi “controlli disposti presso le competenti strutture di settore della Banca”) sia quanto all’anatocismo, avendo operato in conformità alla disciplina prevista in materia di capitalizzazione degli interessi debitori e creditori dalla delibera CICR del 09 febbraio del 2000. Quanto alle restanti domande, l’intermediario respinge le contestazioni, in quanto non “supportat[e] da elementi probatori” e non avanzate “nei termini di legge”, e sottolinea il mancato rispetto del piano di rientro predisposto, su richiesta dello stesso ricorrente, nel dicembre 2013 e sottoscritto nel febbraio 2014. Di qui le domande di inammissibilità e comunque di rigetto.
L’esame dei reclami e della documentazione prodotta – che valgono ad integrare il sintetico contenuto del ricorso in cui ci si limita a denunciare “l’operato quanto mai scorretto e contrario alla legge della Banca” ed in cui il ricorrente sembra concentrarsi solo sulla questione “dell’immotivato e non concordato aumento del tasso di interesse a debito”
– consentono di rilevare come il ricorrente, che intratteneva presso l’intermediario qui convenuto il rapporto di conto corrente per cui si controverte, in relazione alla sua attività come notaio, usufruisse quanto meno dal 2010 di un fido sino a € 100.000 (cfr. estratti conto prodotti solo parzialmente). Risulta altresì che al 30 settembre 2013 il ricorrente aveva accumulato un’esposizione di oltre € 72.000 e che, stando a quanto rappresentato dall’intermediario, sin dal precedente mese di luglio le parti si fossero incontrate per concordare un rientro rimodulato dell’esposizione. Risulta, infine, che in data 5 febbraio 2014, evidentemente all’esito dei vari contatti avuti e precedentemente ai due reclami cui il ricorso fa seguito, le parti convenivano e formalizzavano un piano di rientro dell’esposizione – a quella data pari a € 75.189,81 – in 18 rate di cui la prima di € 20.000 dovuta a fine febbraio”.

Dopo la riportata narrativa, il collegio ABF di Milano ha svolto le seguenti osservazioni in diritto.

“Preliminarmente, occorre sgombrare il campo dall’eccezione di inammissibilità ratione temporis sollevata dall’intermediario in considerazione del fatto che il rapporto di conto corrente cui si riferiscono le domande è stato acceso nel 2004. L’eccezione è infondata, dal momento che le domande qui proposte non si incentrano su vizi genetici del contratto bensì su comportamenti/operazioni poste in essere tutte post gennaio 2009. Difatti, come sintetizzato sopra, il ricorrente si duole dell’insussistenza di validi accordi in punto tasso debitore, dopo quello iniziale del 6.05% convenuto il 31 dicembre 2010 (cfr. primo reclamo), del successivo superamento del tasso soglia anche per effetto dell’applicazione di interessi anatocistici e di commissioni varie, dell’indebita segnalazione in Centrale Rischi, tutti eventi e comunque svolgimenti del rapporto, appunto, successivi al gennaio 2009 e come tali perfettamente conoscibili da questo Arbitro.

Detto questo, appare chiaro che una delle doglianze proposte incide su un tema estremamente attuale e delicato perché relativa agli interessi anatocistici che nella specie rilevano ai fini delle determinazioni richieste dall’ultimo trimestre 2010 (il primo estratto dai documenti informativi prodotto dal ricorrente riporta lo specchietto degli interessi a debito con decorrenza 31 dicembre 2010 e 1° gennaio 2011: cfr. allegato D) ai giorni nostri.

Ora, se in relazione al periodo sino al 31 dicembre 2013 non possono sussistere dubbi in merito all’infondatezza delle domande proposte, una volta acclarato che nel caso concreto (come è: cfr. doc. 1 intermediario) è stata rispettata la disposizione di cui all’art. 120 TUB ante L. 27.12.2013 n. 147 che impone(va) la identica periodicità per il regolamento dei rapporti di dare e avere, è evidente come per il periodo successivo la risposta in merito alle modalità di calcolo degli interessi anatocistici – se sopravvissuti – possa essere molto meno scontata.

Più in particolare, come è noto, l’art. 120 TUB testo in vigore fino al 31 dicembre 2013, disponeva che “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori”. Come è altrettanto noto, il CICR, sulla base di tale rinvio, aveva assunto la delibera 9 febbraio 2000, con cui si prevedeva e disciplinava la produzione di interessi su interessi nei contratti di conto corrente (art. 2), nei finanziamenti con piano di rimborso rateale (art. 3) e nelle operazioni di raccolta (art. 4).

La cd. legge di stabilità per l’anno 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147), in vigore dal 1° gennaio 2014, ha riformulato l’art. 120 TUB nei seguenti termini: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Anche in seguito a varie critiche mosse alla prima formulazione si è registrato un secondo intervento sul tema con l’art. 31 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (cosiddetto D.L. Competitività). In tale occasione il comma 2 dell’art. 120 TUB è stato riscritto come segue: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31.12 di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre”. Infine – e questo è l’attuale stato dell’arte – la Legge 11 agosto 2014, n. 116, in vigore dal 21.8.2014, ha convertito il citato D.L. 91/2014, abrogando tuttavia l’art. 31 e sancendo il ritorno in auge della versione dell’art. 120, comma 2, TUB, come riscritto dalla legge di stabilità 2014.

Dunque, in conclusione, rispetto alla formulazione in vigore tra il 2000 ed il 2013, il nuovo art. 120 TUB espunge il riferimento agli “interessi sugli interessi” e introduce un divieto di produzione di “interessi ulteriori” sugli interessi periodicamente capitalizzati.

In questo quadro si pone il problema di comprendere l’ambito sia temporale che oggettivo di applicazione della nuova regolamentazione, ambito che, inevitabilmente, può produrre effetti che vanno ben al di là del caso specifico e che influenzano significativamente sistemi organizzativi e procedure dell’intero sistema bancario.

Gli elementi che possono essere considerati per arrivare ad una – quanto meno provvisoria – conclusione su una disposizione che, a prescindere dagli evidenti interessi in gioco, non è certo di cristallina chiarezza, possono essere riassunti come segue.

Premessa del discorso è che, per un verso, la disposizione rinvia all’emanazione di una delibera, senza la quale, si potrebbe argomentare adottando una prima tesi, il nuovo art. 120 TUB non può trovare immediata applicazione. E tale delibera allo stato è insussistente. Per un altro verso, il tema dell’anatocismo non rileva solo nei rapporti di conto corrente, ma anche, ad esempio, nei contratti di mutuo, così come in altri rapporti bancari. Il tutto in un contesto in cui l’intervento legislativo, dicono alcuni, pare essere finalizzato ad eliminare tout court la capitalizzazione degli interessi, così ripristinando il divieto generale di cui all’art. 1283 c.c.

Anzitutto rileva la relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera in cui si legge: “la presente proposta di legge intende stabilire l’illegittimità della prassi bancaria in forza della quale vengono applicati sul saldo debitore i cosiddetti interessi composti, o interessi sugli interessi … la proposta di legge, che per la prima volta tipizza l’improduttività degli interessi composti, intende mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore…”.

Tali espressioni, proprio per la terminologia utilizzata (‘saldo debitore’), sembrano denunciare, ponendo mente alla questione dell’ambito oggettivo di applicazione, la volontà del legislatore di appuntarsi solo sui rapporti gestiti in conto corrente, gli unici per i quali abbia un senso parlare di saldo debitore, e non in generale su ogni tipo di rapporto bancario.

In secondo luogo non può essere sottaciuto il fatto che l’espressione “produzione di interessi sugli interessi maturati” è stata sostituita dalla diversa locuzione “produzione di interessi” e che è stato precisato come “gli interessi ulteriori … sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Tali previsioni vanno tuttavia inserite nel loro contesto e cioè una norma non cristallina, per non dire, forse, addirittura contraddittoria, laddove fa comunque riferimento a interessi “periodicamente capitalizzati” – come a intendere che sull’importo capitalizzato maturano comunque ulteriori interessi – e a una pari periodicità nel conteggio degli interessi (cfr. lettera a), precisazione, questa, che sarebbe del tutto irrilevante se si dovesse concludere che il conteggio degli interessi debba essere fatto separatamente rispetto al conteggio delle poste dovute in via capitale.
Dunque ad un apparente chiara volontà di elidere tout court dal nostro ordinamento gli interessi anatocistici una lettura attenta del disposto di legge consente di evidenziare elementi di segno contrario o che mettono quantomeno in dubbio l’apparente certa abrogazione.

Quanto, poi, alla tempistica con cui il nuovo art. 120 TUB va applicato, costituisce un dato di fatto che a 14 mesi dalla sua entrata in vigore il CICR non abbia ancora esercitato la delega conferitagli dal legislatore. Di qui la necessità di stabilire se detto articolo sia self executing e trovi quindi immediata esecuzione anche a prescindere dall’emanazione della pur prevista delibera ovvero se medio tempore continui ad operare il vecchio regime ovvero vi sia un vuoto di disciplina.

In proposito sono già rinvenibili nel dibattito dottrinario (quanto alla giurisprudenza, pare sussistere solo un obiter dictum nella sentenza resa dalla Corte di Appello di Genova del 17 marzo 2014 pubblicata in dirittobancario.it) alcune prese di posizione.

Contro la natura self executing dell’art. 120, comma 2, TUB si sono pronunciati il Consiglio Nazionale del Notariato (Ufficio Studi, quesito n. 80-2014/C, ivi richiamato), la Banca d’Italia, in risposta ad un quesito del 17 ottobre 2014 (riportata in Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della delibera CICR 9/2/2000, in www.ilcaso.it, 12.12.2014, pag. 37), ed una parte della dottrina (Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 23, 2014, § 5). L’opposta tesi della natura immediatamente precettiva della norma è stata sposata da altra parte della dottrina (Dolmetta) e, pare, dalla Sezione VI del Tribunale di Milano.

In estrema sintesi gli argomenti svolti in proposito si incentrano, quanto alla immediata operatività, su una interpretazione della volontà legislativa nel senso della abolizione dell’anatocismo in tutti i rapporti bancari, così assegnando alla (nuova) delibera CICR la mera funzione di fissare le regole di tecnica bancaria e contabile per le scritturazioni relative alle varie tipologie di contratti.

Quanto, invece, alla non immediata applicabilità delle nuove disposizioni, su una interpretazione dell’art. 120 TUB che valorizza la delega assegnata al CICR nel senso che essa deve intervenire nel dettaglio sulla disciplina di tutte le tipologie d’interesse – pur vincolandola ad un certo contenuto (“Il CICR stabilisce modalità e criteri (…) prevedendo in ogni caso che …”), in tal mondo riempiendo di contenuto i principi esposti nella norma primaria che sembra contenere profili non immediatamente operativi. Come a dire che la delibera del CICR è atto indispensabile affinché la norma primaria possa tradursi in concreta disciplina, anche sotto il profilo dei tempi di adeguamento dei contratti, il tutto sostanzialmente in linea con l’esperienza passata.

Infine, per concludere la panoramica degli argomenti disponibili, non può sottacersi il tema della sorte della precedente delibera del 2000 correlato anche alla successione di disposizioni dalla Legge di Stabilità del 2014 sino alla legge sopramenzionata dell’agosto 2014. Deve infatti ricordarsi che il D.L. 24 giugno 2014, n. 91, poi convertito con modificazioni, aveva originariamente previsto che, fino a che non vi fosse stato un intervento del CICR, avrebbe continuato ad applicarsi la vecchia delibera del 9 febbraio 2000. In tale modo erano state risolte due questioni: il settore non avrebbe subito alcun vuoto di disciplina; la normativa primaria non avrebbe prodotto, di per sé, alcun effetto abrogativo sulla vecchia delibera CICR del 9 febbraio 2000, che, in sostanza, sarebbe rimasta in vigore anche in presenza del nuovissimo comma 2 dell’art. 120 TUB”.

DIRITTO

Dato atto del rigetto da parte del Collegio di Milano della eccezione preliminare di incompetenza temporale (con motivazione che questo Collegio di Coordinamento condivide e ribadisce), occorre delimitare l’ambito della controversia ai fini della decisione di merito.

Il ricorrente (non consumatore) ha chiesto l’accertamento della “illegalità dell’operato della banca”, invocando da parte dell’ABF l’adozione dei “necessari provvedimenti”, senza peraltro fornire ulteriori precisazioni al riguardo.

Occorre dunque interpretare la domanda (petitum), tenendo conto delle singole censure (causa petendi).

In primo luogo il ricorrente ha lamentato l’ illegittimità dell’aumento del tasso di interesse debitorio applicato, a far tempo dal 31.12.2010, al rapporto di conto corrente (dal 6,50% al 15,40%), sul rilievo che tali variazioni non sarebbero state precedute da alcun avviso né basate su una specifica pattuizione.

L’intermediario ha rivendicato la legittimità del proprio comportamento, asserendo di avere comunicato le variazioni delle condizioni economiche del contratto nel rispetto della normativa vigente.

Dunque, mentre è pacifico (oltre che documentato) il fatto che i tassi debitori, sia entro il fido che extra fido (in apparenza cessato dal 3.7.2013), siano stati applicati in aumento dal 31.12.2010 in avanti, è contestato il rispetto da parte della banca del disposto dell’art.118 TUB, a mente del quale qualunque modifica “unilaterale” delle condizioni contrattuali (compreso il tasso di interesse), oltre ad essere sorretta da un giustificato motivo, deve essere comunicata espressamente al cliente con forme e tempi specificamente disciplinati dalla norma. Nel caso di specie non vi è però prova alcuna delle comunicazioni inviate al ricorrente circa gli aumenti periodici dei tassi di interesse debitorio e pertanto non par dubbio che tutte le variazioni unilaterali in aumento di tale interesse, apportate dal 31.12.2010 in poi – più esattamente fino alla data del piano di rientro – sono da ritenere illegittime e quindi inefficaci per violazione del disposto dell’art.118 del TUB.

La soluzione di questo punto controverso rende inutile l’esame della ulteriore censura riguardante l’asserito (potenziale) sopravvenuto carattere usurario degli interessi debitori progressivamente applicati, una volta che gli aumenti praticati si ritengano comunque inefficaci. Al riguardo vale però solo la pena di osservare che il ricorrente non ha fornito specifiche indicazioni utili per individuare le varie componenti economiche rilevanti per l’accertamento del superamento del c.d. tasso soglia, venendo così a sollecitare al collegio ABF un’attività di tipo consulenziale che esula dalle sue funzioni. E pertanto, solo per esigenze di completezza, può rilevarsi ulteriormente che anche dopo il luglio del 2013 (data in cui parrebbe cessato l’affidamento) il valore legale del tasso soglia sarebbe stato comunque superiore a quello concretamente applicato al rapporto.

Il problema della illegittimità degli interessi debitori applicati al rapporto si pone peraltro in termini diversi in relazione al c.d. piano di rientro predisposto dalla banca nel dicembre del 2013 e perfezionato con l’accettazione del ricorrente il 6 febbraio del 2014 (v. all.4 dell’intermediario), laddove veniva prevista tra l‘altro l’applicazione di un tasso di interesse debitorio del 15,40%.

Qui evidentemente, essendoci una modifica concordata del tasso, non può sovvenire la disciplina che l’art.118 TUB dedica ai casi di variazioni unilaterali sfavorevoli al cliente.

E proprio per questa ragione il correntista deduce che quell’accordo sarebbe illegittimo perché da lui sottoscritto senza avere prima preso visione dell’assurda progressione del tasso in precedenza applicato dalla banca.

Senonchè, così prospettando la questione, il ricorrente adombra un motivo di invalidità dell’accordo per vizio del consenso il cui accertamento, a prescindere da ogni considerazione di merito, esula dalla sfera di cognizione dell’arbitro bancario e che, per esser produttivo di conseguenze utili, sottenderebbe una pronuncia di tipo costitutivo estranea alla tipologia di decisioni postulabili in questa sede.

Per altro verso, giova ribadire che il tasso contemplato nel piano di rientro non risulta superiore al tasso soglia, di guisa che non sarebbe neppure rinvenibile un motivo di illegittimità sostanziale connesso al rispetto della disciplina dell’ usura.

Il ricorrente lamenta poi che la banca abbia sospeso improvvisamente e senza alcuna segnalazione il fido concessogli, con conseguente illegittimità degli interessi extra fido applicatigli.

L’assunto della esistenza di un fido e della mancata comunicazione della sua (eventuale, come si vedrà) sospensione/revoca non è stato specificamente contestato dalla banca e pertanto potrebbe considerarsi come fatto incontroverso (art.115, comma 1, c.p.c.).

Tuttavia nessuna delle parti ha indicato quali fossero le caratteristiche del rapporto (a tempo determinato o indeterminato; quale fosse il termine e la forma dell’eventuale preavviso, ecc.), mentre negli atti acquisiti al procedimento non si rinviene la copia del contratto di affidamento (rectius: di apertura di credito in conto corrente) né del documento integrante la successiva rinuncia (del cliente) o del recesso (della banca).

Dalla contabilizzazione dei soli interessi extra fido a far tempo dal 3.7.2013 può inferirsi che, almeno da quella data, l’affidamento precedentemente accordato sia stato negato ma, come detto, nel caso di specie si ignora se ciò sia avvenuto a seguito della rinuncia del cliente (che nel ricorso adombra la indimostrata ipotesi di essere stato “costretto” a firmare una rinuncia preparata dalla direzione della banca), nel qual caso non si porrebbe neppure la questione del preavviso, o per il recesso dell’intermediario, la cui conformità alla legge dovrebbe però misurarsi sulla lettura delle clausole del contratto, qui mancante.

Ora, premesso che per costante giurisprudenza dell’arbitro bancario (v. ex multis, le decisioni di Collegio Milano n.372/2013 e Collegio Roma 284/10) il recesso dell’intermediario da un rapporto di affidamento precedentemente accordato rappresenta la naturale conseguenza di una valutazione costante del merito creditizio che è tenuto a effettuare periodicamente (anche in ossequio alla Circolare della Banca d’Italia n.229/1999, Istruzioni di Vigilanza per le banche, cap.11, Sez.II, par.1 e 2.1.) – valutazione che non è qui contestata – va da sé che, anche supponendo che vi sia stato recesso della banca resistente in violazione del disposto dell’art.1845 c.c. o più in generale del dovere di correttezza e buona fede (artt.1175 e 1375 c.c.), dall’eventuale accertamento della rottura brutale del credito non potrebbe sortire alcun effetto ripristinatorio della linea di credito originariamente accordata, ma al più il diritto del ricorrente di ricevere il risarcimento del danno subito.

Egli però non ha neppure allegato il tipo di pregiudizio sofferto né ha offerto gli elementi minimi utili ai fini di una sua valutazione equitativa, a cominciare appunto da quelli inerenti alle modalità di esercizio del recesso, di guisa che la censura riguardante la sospensione del fido va disattesa per carenza di prova, anche rispetto ai suoi risvolti risarcitori.

Lo stesso dicasi della censura mossa riguardo all’ asserita segnalazione del nome del ricorrente nella Centrale Rischi della Banca d’Italia (“nonostante l’inesistenza di un suo rifiuto a sistemare la propria posizione”), posto che di tale argomento si fa cenno solo nel reclamo dell’ 8.5.2014 e tuttavia non sono disponibili in atti evidenze o ulteriori informazioni che comprovino la effettiva segnalazione, la sua natura e le circostanze in cui il ricorrente ne sarebbe venuto a conoscenza. In effetti alla doglianza esposta nel reclamo non pare seguire alcuna specifica richiesta, così che deve ritenersi che difetti una specifica domanda sulla quale occorra “provvedere”.

Rimane quindi da valutare la contestata legittimità dell’applicazione degli interessi anatocistici al rapporto di conto corrente bancario in discussione.

Nessun problema sembra profilarsi per il periodo che va dall’inizio del rapporto fino al 31.12.2013, dato che la Banca, come è stato già evidenziato dal Collegio rimettente, risulta avere osservato la disciplina vigente al rapporto di conto corrente, sorto (il 3.12.2004) dopo l’emanazione del d.lgs.4 agosto 1999, n.342 e dopo la delibera attuativa emessa dal CICR in data 9.2.2000.

Il problema si pone invece a far tempo dall’1.1.2014 perché, come è stato già illustrato nella parte narrativa, da tale data è entrata in vigore la disposizione dell’art.120, comma 2, del TUB, secondo la nuova formulazione disegnata dalla cd. legge di stabilità per l’anno 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147), che il ricorrente ha espressamente richiamato a proprio favore nel reclamo dell’ 8.5.2014 e posto a base della tesi del sopravvenuto divieto dell’anatocismo bancario.

Senonchè nel menzionato reclamo il correntista si è limitato ad affermare apoditticamente quanto segue:

“Va inoltre osservato che nei conteggi effettuati dalla mia agenzia per il mio conto corrente, gli interessi calcolati sulla parte debitoria hanno a loro volta prodotto interessi realizzando la pratica illegittima dell’anatocismo vietato dal’art.1283 c.c.”.

Egli però non ha allegato la relazione contabile della sua ignota agenzia, né ha chiarito con quali concrete modalità e per quale misura la banca avrebbe effettivamente applicato a suo debito interessi sugli interessi, eventualità questa che questo Collegio non è in grado di desumere dalla documentazione prodotta.

Ne discende che la domanda volta all’accertamento della illegittimità degli interessi anatocistici asseritamente applicati al rapporto risulta del tutto sfornita del benchè minimo addentellato probatorio e, per tale assorbente considerazione, non può trovare accoglimento, non essendo consentita in questa sede alcuna forma di verifica officiosa di natura consulenziale.

Il Collegio non intende però sottrarsi al dovere di affrontare la vexata quaestio iuris del divieto di anatocismo bancario, così come prospettata dal ricorrente, in quanto l’esame della quaestio facti posta a fondamento della presente decisione, in connessione con il principio dell’onere della prova (art.2697 c.c.), non avrebbe neppure avuto ragione di porsi ove la pratica bancaria dell’anatocismo fosse ritenuta lecita anche dopo la nuova formulazione dell’art.120 del TUB.

Per meglio inquadrare i termini giuridici della questione si rende opportuna una breve ricostruzione storica dell’anatocismo bancario.

L’art.1283 c.c. (secondo cui “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”) fissa la regola che gli interessi scaduti non possono produrre (ulteriori) interessi, salvo che, trattandosi di interessi scaduti e dovuti per almeno sei mesi, non intervenga una domanda giudiziale appositamente finalizzata al loro conseguimento (prima eccezione), ovvero una convenzione, posteriore alla scadenza degli interessi primari, che li preveda (seconda eccezione); la norma prevede poi una terza eccezione, e cioè che ricorrano “usi contrari”, da intendere come usi normativi.

Quest’ultima eccezione venne interpretata diversamente dalle banche, le quali ritennero che eventuali usi difformi potessero derogare al precetto imperativo dell’art.1283 c.c., consentendo la capitalizzazione degli interessi. Infatti gli istituti di credito, a partire dal 1952, su iniziativa dell’ABI, previdero nei contratti bancari la capitalizzazione degli interessi a favore della banca ogni tre mesi (a marzo, a giugno, a settembre e a dicembre) e quelli a favore cliente solo annualmente.

Sennonchè la sentenza 11 novembre 1999, n.12057 della 1° Sezione della Corte di Cassazione vietò l’anatocismo sul rilievo che la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione degli interessi dovuti dal cliente è nulla in quanto si basa su un uso negoziale e non normativo.

Successivamente, l’anatocismo nei rapporti bancari venne reintrodotto per via normativa.

Infatti il d.lgs. 4 agosto 1999 n.342 previde, all’art.25, che innovava l’art.120 del Testo Unico Bancario, la possibilità di un anatocismo nei contratti futuri, delegando il CICR a stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni nel’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata la stessa periodicità di conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.

La successiva delibera CICR 9 febbraio 2000 fissò il principio per cui i contratti bancari di conto corrente potessero prevedere l’anatocismo bancario purchè fosse contemplata la stessa periodicità nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi: viceversa, in passato l’uso era quello per cui gli interessi attivi si capitalizzavano annualmente e quelli passivi trimestralmente.

Peraltro il d.lgs. 4 agosto 1999 n.342 sanò anche la situazione dei contratti conclusi prima della delibera CICR 9 febbraio 2000: infatti lo stesso art.25 previde che “le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere solo dal cliente”.

Ma la Corte Costituzionale, con sentenza 17 ottobre 2000 n.425, dichiarò l’incostituzionalità per eccesso di delega dell’ultima parte dell’art.25.

Dopo, e per effetto di questa sentenza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sez. Un. 4 novembre 2004,n. 21095), preso atto dell’ablazione normativa operata dalla Corte Costituzionale, ribadirono il precedente orientamento circa la nullità delle clausole che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente passivi per il cliente, e le ragioni dell’affermata nullità.

La successiva giurisprudenza della Corte Suprema rimase costantemente conforme all’orientamento sopra indicato. Così, ad esempio, Cass. Sez. I, 19 settembre 2013, n. 21406 diede per scontata la nullità della clausola in parola e spiegò che essa “impone la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base dell’estratto conto a partire dall’apertura del medesimo”.

Al’interno del sistema di diritto vivente qui sinteticamente illustrato, è intervenuto l’art. 1, comma 629, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha così disposto: “All’art.120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385, il comma 2 è sostituito dal seguente: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Il testo complessivo di tale disposizione, per le considerazioni già enunciate dal Collegio rimettente, e per le ragioni che verranno poi indicate, non è assolutamente cristallino e ha prestato il fianco a diverse letture, talune delle quali non disancorate da preoccupazioni inerenti agli effetti pratici dell’abolizione immediata dell’anatocismo bancario.

Ma, lasciando da parte ogni valutazione di politica economica circa il rilievo che la pratica dell’anatocismo riveste in diversi Paesi dell’ Unione Europea e circa le paventate ricadute sistemiche che la sua abolizione in Italia potrebbe determinare nei rapporti concorrenziali tra banche (valutazioni che non possono però condizionare la funzione interpretativa della legge rimessa all’ ABF, chiamato a decidere secondo diritto, e che peraltro andrebbero misurate su un raffronto complessivo del costo del credito nei Paesi della UE), sembra chiaro almeno il fatto che l’anatocismo previsto dalla legge bancaria sia stato espunto dall’ordinamento con una norma vigente dal primo gennaio 2014, così come statuito dall’art.1, comma 749, della legge 147/2013; e che, a circa un anno e nove mesi di distanza dalla sua entrata in vigore, il CICR non ha ancora deliberato “modalità e criteri per la produzione di interessi”.

Ed infatti, solo in data 24 agosto 2015, la Banca d’Italia ha posto in pubblica consultazione, fino al 23 ottobre 2015, la proposta di delibera del CICR in attuazione dell’art.120 TUB, che dovrebbe essere approvata e trovare applicazione dall’1 gennaio 2016 con riferimento alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti.

Ora, se si tiene adeguato conto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che l’hanno preceduta, deve convenirsi che la legge 27 dicembre 2013, n.147, vietando l’anatocismo, non ha fatto altro che “normativizzare” – come accaduto in altre occasioni – un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (ancorchè non condiviso da parte della dottrina). Del resto la lettera della norma, al di là di alcune oscurità, depone chiaramente nel senso di imporre, con effetto immediato, il divieto di anatocismo.

L’abolizione della norma speciale che aveva introdotto l’anatocismo bancario riposa innanzitutto sul dato testuale, perchè l’art.1, comma 629, della legge n.147/2013, stabilendo che il vecchio testo dell’art.120 del TUB viene “sostituito” con il nuovo, abroga espressamente (sostituisce appunto) la norma previgente (art.15 delle preleggi). In ogni caso la interpretazione abrogatrice della novella emerge con evidenza dal confronto tra l’incipit del previgente comma 2 dell’art.120 del TUB, che demandava al CICR di stabilire modalità e criteri per la “produzione di interessi sugli interessi” (vale a dire di disciplinare sul piano tecnico l’anatocismo nelle operazioni bancarie) e l’incipit del nuovo comma 2 introdotto dall’art.1, comma 629, della legge n.147/2013 che, in sostituzione della precedente disposizione, demanda al CICR di stabilire modalità e criteri per “la produzione di interessi” (semplici), e non più per la produzione di interessi sugli interessi (i c.d. interessi composti o secondari che sostanziano il fenomeno dell’anatocismo).

E proprio il confronto tra la vecchia e la nuova disposizione consente di escludere che il nuovo riferimento alla “produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria” possa intendersi in senso ampio, nel senso cioè di ricomprendervi ogni forma di produzione di “interessi”, compresi quelli anatocistici.

La evidenza della descritta vicenda abrogativa, già desumibile dal dato testuale della legge di stabilità 2014, trova ulteriore riscontro da un lato nella espressa motivazione dell’intervento legislativo, emergente dalla chiara dichiarazione di intenti dei suoi proponenti di “mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore” (cfr. Relazione alla proposta di legge n.1661 del 2013, condivisa ora dalla Banca d’Italia nel c.d. “Documento per la consultazione”, laddove afferma che l’intenzione del legislatore era di “stabilire l’improduttività degli interessi composti”), e dall’altro dal successivo tentativo, poi abortito, di ripristinare l’anatocismo bancario, portato avanti con la scrittura dell’art. 31 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (non convertito in legge), laddove, con altrettanta consapevolezza (implicante una sorta di interpretazione autentica della legge di stabilità 27.12.2013, n.147)
il legislatore aveva previsto con parallelo incipit di demandare al CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi”.

Si tratta dunque di un classico caso di abrogazione di una disposizione di legge da parte di una disposizione successiva avente pari valore gerarchico (art.15 delle preleggi), nel quale l’interpretazione abrogatrice, già desumibile dal dato testuale, trova puntuale conforto logico nel principio di incompatibilità (non contraddizione) e nel criterio ermeneutico storico – evolutivo.

Da qui la conseguenza che, se dall’1.1.2014 è caduta la riserva di anatocismo bancario, i relativi effetti hanno cominciato a prodursi contestualmente alla data di entrata in vigore della legge che l’ha determinata.

Le obiezioni e le perplessità mosse da una parte autorevole della dottrina all’approdo interpretativo qui proposto, per quanto fondate anche su alcune innegabili ambiguità letterali del novello art.120 TUB, non appaiono condivisibili.

E’ stato osservato innanzitutto che proprio la delega che la norma di legge attribuisce al CICR (delegificazione) prospetta la necessità della deliberazione dell’organo delegato perché la Novella possa trovare concreta attuazione, così intendendosi che il nuovo comma 2 dell’art.120 TUB, pur in vigore, abbia efficacia solo a seguito della futura delibera del CICR (una sorta di condicio iuris indeterminata), avente il ruolo di completamento del precetto normativo primario insufficientemente delineato, e che medio tempore (in pratica nel periodo che va dall’1.1.2014 al 31.12.2015) continui ad applicarsi la delibera del CICR emessa il 9 febbraio 2000. Il che sarebbe esattamente in linea con la vicenda che condusse alla introduzione normativa dell’anatocismo bancario, allorquando l’art.25, comma 2, del d.lgs.n.342/1999, modificando l’originario art.120 del TUB (che nulla prevedeva in tema di interessi, mentre per l’anatocismo valeva la regola generale dell’art.1283 c.c.), attribuì al CICR la potestà di stabilire modalità e criteri per la produzione di “interessi sugli interessi” maturati nelle operazioni bancarie; e il CICR vi ottemperò con delibera del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000.

E’ stato dunque sostenuto che, come l’introduzione dell’anatocismo bancario divenne operativa solo a seguito della delibera del CICR del 9.2.2000, così la sua successiva abolizione sarebbe applicabile solo a seguito della “delibera” del CICR, a tutt’oggi “non pervenuta” (se non in fase propositiva).

Premesso che una diversificata soluzione del problema del nesso tra norma primaria e delibera amministrativa non sembra possa legalmente giustificarsi a seconda che il cliente sia o meno un consumatore, sembra assorbente il rilievo che, mentre nel primo caso menzionato l’intervento del CICR aveva effettivamente una funzione determinante e
“completativa” per disciplinare sul piano operativo una pratica positiva introdotta da una norma di legge (si regola ciò che esiste), nel secondo caso ora in esame, attendere la delibera del CICR non avrebbe senso alcuno rispetto all’anatocismo, non essendo concettualmente ammissibile che una norma secondaria regoli contraddittoriamente un fenomeno che una norma primaria ha estinto e che la nuova norma secondaria non potrebbe in ogni caso reintrodurre, posto che il mandato conferito al CICR esclude chiaramente che la capitalizzazione degli interessi possa mai condurre alla produzione di interessi ulteriori (art.120 comma 2, lett. b, del TUB).

Ed è pure evidente che in base al sistema delle fonti normative di produzione (art.1 delle preleggi) l’abrogazione immediata (dall’1.1.2014) della norma primaria, che la delibera CICR del 9 febbraio 2000 aveva inteso attuare, ha contestualmente deprivato quest’ultima fonte regolamentare del suo necessario presupposto legislativo.

La delega al CICR del resto è stata espressamente prevista dal novello art.120, comma 2, del TUB solo per indicare le modalità di calcolo degli interessi semplici, di guisa che nessuna delega può configurarsi rispetto alla disciplina di dettaglio degli interessi composti, la cui ammissibilità, in conseguenza della abrogazione della disposizione speciale che con maggiore ampiezza li legittimava nelle operazioni bancarie rispetto al diritto comune, è ora esclusa del tutto, talchè, in deroga all’art.1283 c.c., viene stabilito che il CICR, nel regolamentare gli interessi semplici periodicamente capitalizzati, non potrà in ogni caso determinare la produzione di ulteriori interessi (e la recente proposta di delibera CICR emanata dalla Banca d’Italia ne dà puntuale conferma all’art.3, laddove ribadisce che “nelle operazioni indicate dall’art.2, gli interessi maturati non possono produrre interessi”).

Ipotizzare dunque che, senza la nuova delibera del CICR, l’anatocismo bancario possa sopravvivere in base alla vecchia delibera, ormai disancorata dalla norma primaria che la legittimava, e che la stessa disposizione regolamentare debba condizionare anche la risoluzione giuridica delle controversie da decidere secondo la nuova legge significa postulare un sovvertimento dei fondamentali rapporti gerarchici tra fonti del diritto e fors’anche una inammissibile alterazione costituzionale del rapporto tra poteri dello Stato, dimenticando tra l‘altro che, quand’anche si ritenesse che la vecchia delibera CICR sia ancora formalmente vigente, il giudice (e anche l’Arbitro) dovrebbe comunque disapplicarla per sopravvenuta contrarietà a norma imperativa.

In definitiva l’equivoco circa l’immediata (entrata in vigore e) operatività di tale divieto a far tempo dall’1.1.2014 è sorto a causa della delega al CICR di stabilire modalità e criteri per la produzione degli interessi. Ma lo stesso legislatore ha successivamente offerto un segnale idoneo a orientare l’interprete. Il riferimento, giova ribadirlo, è proprio al tentativo di reintrodurre l’anatocismo attuato con l’art.31 d.l. n.91 del 2014, modificativo del comma 2 dell’art.120 TUB, con la previsione, nella parte che qui interessa, che “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione con periodicità non inferiore ad un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo”. E’
evidente che, in tal modo, il legislatore ha indirettamente offerto l’interpretazione autentica della normativa del 2013.

In primo luogo, la lettura comparata delle due norme dimostra chiaramente quali fossero, rispettivamente la volontà del legislatore de 2013 e del 2014 e i limiti delle deleghe al CICR. In secondo luogo, la seconda norma non avrebbe avuto ragione di essere se la prima non avesse vietato – da subito – la pratica dell’anatocismo.
Ulteriore indicazione è venuta dal Parlamento che, in sede di conversione del d.l. n.9 1 del 2014, ha espunto proprio la norma sopra trascritta, manifestando così la volontà di vietare l’anatocismo.

Infine, occorre considerare che la stessa Banca d’Italia, nella “Proposta di delibera attuativa dell’art.120 comma 2 T.U.B.”, afferma che, nel valutare gli impatti della proposta di delibera CICR, “l’analisi si sofferma sulle due aree per cui è stato possibile individuare diverse opzioni regolamentari rispetto alle quali esercitate una discrezionalità, in particolare: i) la periodicità di contabilizzazione degli interessi; ii) il termine per l’esigibilità degli stessi”. Poi aggiunge: “Non costituiscono oggetto di valutazione, invece, gli aspetti che sono stati innovati direttamente dal legislatore nell’emanazione della normativa primaria, primo fra tutti il nuovo regime di produzione degli interessi sugli interessi”.

Se ne ricava che la stessa Banca d’Italia, per quanto può rilevare a livello interpretativo in questa sede, dà per scontata l’avvenuta entrata in vigore del divieto di anatocismo e riconosce che la delega al CICR riguarda solo la periodicità di contabilizzazione degli interessi e il termine per la loro esigibilità.

Una seconda obiezione muove dal rilievo che la stessa legge bancaria, benché modificata nella parte relativa alla previsione dell’ applicabilità dell’anatocismo, attribuisce alla vecchia delibera del CICR la funzione di regolare i rapporti contrattuali tra clienti fino a che non sia varata la nuova deliberazione.

Si tratta dell’art.161, comma 5, del TUB, secondo cui “le disposizioni emanate dalle Autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a esse applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”.

Non v’è dubbio che tale norma, se intesa alla lettera, varrebbe a sterilizzare gli effetti dell’abrogazione del divieto di anatocismo bancario fino all’approvazione della delibera del CICR richiamata nell’art.1 comma 629 della legge n.147/2013. Essa, inoltre, sarebbe anche generalmente giustificata dalla esigenza di evitare perigliosi vuoti applicativi nel sistema creditizio, nella fase di passaggio da una vecchia a una nuova disciplina legislativa.

Vero è che una parte della dottrina ha sottolineato il carattere meramente transitorio della norma dettata dall’art.161, comma 5 del TUB, in ragione della sua collocazione nel titolo IX e della esigenza “storica” di formare il nuovo testo unico di settore senza correre il rischio di creare vuoti applicativi derivanti dall’abrogazione implicita di disparate disposizioni di legge preesistenti, abrogate per incompatibilità con l’avvento del d.lgs.385/1993.
Questo argomento potrebbe tuttavia reputarsi indebolito per effetto del sopravvenuto art.2, comma 2, del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72 che, in attuazione della direttiva 2013/36/UE, implicante la introduzione di una serie di modificazioni al TUB, ha statuito quanto segue:
“Le delibere adottate dal CICR, i decreti emanati in via d’urgenza dal Ministero dell’economia e delle finanze – Presidente del CICR, e i regolamenti emanati dal Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi di norme abrogate o modificare dal presente decreto legislativo continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalla Banca d’Italia nelle corrispondenti materie. Rimane fermo altresì, quanto previsto dall’art.161, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 1993,n.385”.

Con tale disposizione il legislatore sembrerebbe, secondo alcune autorevoli opinioni, aver manifestato l’ intenzione di attribuire una valenza sistematica all’art.161, comma 5, TUB, proprio per evitare lacune operative nel settore creditizio.

Tuttavia tale esito interpretativo non appare inevitabile e incontrovertibile ove si consideri che l’art.2 del d.lgs. 72/2015 fa esplicito riferimento alle modifiche del “presente decreto”, assumendo perciò un carattere di specialità, mentre il riferimento generico all’art.161 TUB lascia impregiudicato cosa rimanga “fermo” di quella disciplina; d’altro lato, se già l’art.161 avesse avuto l’effetto prospettato, per quale ragione si sarebbe sentita la necessità di affermare la perdurante vigenza delle delibere, nella prima parte dell’articolo?

Peraltro, anche attribuendo un valore sistematico (e permanente) all’art.161 comma 5 del TUB, la ragione per la quale il transito dal vecchio al nuovo regime in tema di anatocismo bancario non può dipendere dalla nuova delibera CICR sta nella ratio della stessa norma: essa intende ragionevolmente assicurare che, nel caso di successione di leggi primarie che regolano diversamente una certa materia e che necessitino di disposizioni sub primarie di dettaglio per essere concretamente applicabili, le vecchie disposizioni continuino ad essere operanti fino al varo delle nuove, in modo tale che il medesimo rapporto giuridico (basato ad es. sulla pratica dell’anatocismo) non abbia interruzioni.

Tale dipendenza non ha invece alcuna ragion d’essere quando le norme di legge e quelle regolamentari abbiano ad oggetto situazioni giuridiche diverse: se la produzione di interessi composti non è più consentita da una legge primaria, viene meno per ciò stesso la giustificazione della disciplina di dettaglio, sia pure transitoria, destinata ad attuarla, sicchè renderla ultrattiva fino a quando non intervenga altra disposizione sub primaria che regoli il diverso fenomeno della produzione di interessi semplici, sarebbe privo di senso (non si regolamenta qualcosa che non esiste più).

La interpretazione logica e più ragionevole dell’art.161 comma 5 TUB deve dunque avere carattere restrittivo, nei termini ora enunciati.

Diversamente opinando, si perverrebbe a questa conseguenza paradossale: l’anatocismo bancario è vietato dalla legge bancaria a far tempo dall’1.1.2014, ma la stessa legge bancaria ammette che i rapporti tra banche e clienti continuino (probabilmente fino al 31 dicembre 2015) ad essere regolati secondo criteri contabili che ne presuppongono la liceità.

Le conclusioni qui enunciate non possono essere inficiate dagli inconvenienti applicativi che la riformulazione complessiva dell’art.120 del TUB potrebbe eventualmente sollevare proprio nella parte in cui rimanda alla successiva delibera del CICR.

Invero, sono state segnalate da autorevoli voci della dottrina, e anche dalla giurisprudenza di merito (si vedano per tutte le note ordinanze del 25 marzo e del 3 aprile 2015 emesse dal Tribunale di Milano in conformità a una linea di pensiero annunciata con la Relazione di Sezione del 6.2.2014) le oscurità, se non le contraddittorietà, insite nel testo della norma che, nel rinviare al CICR la determinazione delle modalità e dei criteri di applicazione per la produzione degli interessi (semplici) nelle operazioni bancarie, da un lato ha sancito (art.120, comma 2, lettera a) il limite della pari periodicità del “conteggio” degli interessi a debito e a credito sul conto corrente (trascurando che essi, quali frutti civili, si producono automaticamente giorno per giorno (ex art.821 comma 3 c.c.), e dall’altro ha stabilito (art.120, comma 2, lettera b) che gli interessi “periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori, che nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”, così configurando una periodica capitalizzazione degli interessi che concettualmente sembrerebbe integrare il presupposto operazionale per applicare, almeno una prima volta, gli interessi anatocistici (i quali tradizionalmente vengono a commisurarsi sulla quota degli interessi primari che viene a fondersi con il capitale attraverso il fenomeno detto appunto capitalizzazione: sempre che però essi, come pure la norma ammette, non vengano calcolati separatamente sulla quota di montante rappresentata dalla sola sorte capitale).

In realtà sembra piuttosto che la legge, nel fissare la delega al CICR, si sia preoccupata di far definire da un organismo tecnico non già il criterio in base al quale espungere nella ricostruzione di un conto il calcolo degli interessi anatocistici, bensì la elaborazione delle modalità contabili idonee a evitare che, attraverso il computo degli interessi semplici, si venga di fatto a replicare il fenomeno contabile dell’anatocismo, tenendo conto della circostanza che in passato, dapprima per effetto di un uso contrattuale dichiarato illegittimo dalla Corte di Cassazione, e in seguito a causa della legittimazione normativa dell’anatocismo bancario, gli istituti di credito non hanno mai di fatto applicato contabilmente la regola che consente la produzione di soli interessi semplici e dunque non dispongono di un know-how comune di riferimento. E questa preoccupazione è facilmente percepibile nella precisazione che “gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Che poi le direttive così indirizzate al CICR siano davvero perspicue e tecnicamente pertinenti allo scopo è “un’altra storia”, considerato che la capitalizzazione, termine mai usato prima nella legge bancaria, è secondo taluni la operazione strumentale al calcolo degli interessi sulla quota di interessi primari fusa col capitale (vale a dire all’applicazione di interessi anatocistici) e, secondo altri, fenomeno concettualmente diverso dalla produzione di interessi sugli interessi, ma perveniente a un risultato economicamente equivalente.

Senonchè addurre un inconveniente pratico rispetto al criterio di contabilizzazione degli interessi semplici non può comportare la perpetuazione (anzi, la reviviscenza) della legge, ormai espunta dall’ordinamento, che consentiva il calcolo degli interessi composti.

Si tratta dunque di un problema tecnico contabile che non può influenzare la interpretazione data al valore del precetto normativo qui in discussione, che, come la stessa Banca d’Italia ha illustrato nel “Documento per la consultazione” a corredo della recente proposta di delibera CICR, deve tenere conto non tanto della ambigua, se non contraddittoria, formulazione letterale dell’art.120 comma 2 del TUB, ma del valore teleologico della disposizione (sicchè …”si è ritenuto..che l’espressione “capitalizzazione” possa essere interpretata come sinonimo di “conteggio o contabilizzazione” e che il nuovo art.120, co. 2, intenda vietare la produzione di interessi anatocistici, non consentendo mai la capitalizzazione degli interessi nelle operazioni da esso disciplinate, diversamente da quanto stabilito dal codice civile (art.1283”). In tal guisa la Banca d’Italia sembra avere tenuto conto della “lettura” che della norma controversa hanno fornito le prime pronunce dei giudici di merito in fase cautelare (il riferimento è soprattutto al Tribunale di Milano; in senso conforme, v. da ultimo, ex multis, ord. Trib. Biella 7.7.2015; in senso contrario, ma senza specifica giustificazione argomentativa, v. ord. Trib. Cosenza, 27 maggio 2015; nello stesso senso v. altresì ord. Trib. Torino, 16.6.2015).

Ne segue che fino a quando non interverrà la nuova delibera del CICR (o una nuova legge che regoli diversamente la materia), le enunciate oscurità testuali della legge vigente devono essere nel frattempo superate (per il periodo che va dall’1.1.2014 al 31.12.2015) dalla prassi contabile per renderle coerenti con il divieto di addebito di interessi anatocistici, anche perché nessuna deroga alla immediata applicabilità del divieto sancito dalla norma primaria può derivare dalla emanazione di una norma secondaria, sulla base di una delega con oggetto specifico concettualmente compatibile.

Certo è che non spetta all’Arbitro Bancario (ma all’Autorità amministrativa competente) il potere dovere di rivolgere agli operatori bancari indicazioni generali di tecnica contabile e contrattuale.

Il che lascia impregiudicata non solo eventualità di accordi negoziali più favorevoli al cliente, giusta il disposto dell’art.127 n.1 TUB, ma soprattutto la valutazione della effettiva ricorrenza, a seconda delle varie tipologie contrattuali (mutuo, conto corrente, apertura di credito, ecc.) di fattispecie di anatocismo bancario vietato, essendo ben noto che non tutte le annotazioni in conto di interessi sono concettualmente qualificabili come anatocismo.

Questo ulteriore problema interpretativo non ricorre però nel caso di specie ove, per le ragioni già illustrate, la resistente deve limitarsi a stornare gli interessi in aumento applicati dal 31.12.2010 al 6.2.2014, per una diversa ragione che li rende illegittimi.

In conclusione, tutte le pretese dedotte dal ricorrente, compresa quella relativa alla richiesta di storno di asseriti e non provati interessi anatocistici, appaiono infondate e devono essere respinte. Merita accoglimento soltanto la richiesta di storno delle variazioni in aumento del tasso debitorio (dal 6,50% al 15,40%), applicate unilateralmente dalla banca in violazione del disposto dell’art.118 TUB nel periodo che va dal 31.12.2010 fino al 6.2.2014, data del piano di rientro con il quale il tasso degli interessi debitori è stato concordato dalle parti.

Resta precluso l’esame della questione, che avrebbe avuto carattere preliminare, riguardante l’ammissibilità di tale richiesta alla luce del piano di rientro, dato che il ricorrente, verso la promessa di una dilazione nel pagamento del suo debito, aveva rinunciato a sollevare “qualsivoglia contestazione, anche in sede giudiziale, relativa alla tenuta dei rapporti in oggetto, con particolare ma non esclusivo rifermento alle metodologie e liquidazione e computo degli interessi applicate dalla banca a far data dall’accensione dei rapporti” (e dava altresì atto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi era avvenuta in conformità dell’art.120, comma 2, del TUB).
Infatti, trattandosi di circostanza di fatto impeditiva, sarebbe spettato alla resistente eccepirla e, in difetto, non può il Collegio prospettarla di ufficio ai fini della decisione sul merito.

Il ricorso va quindi parzialmente accolto nei termini meglio indicati nel dispositivo.

P.Q.M.


“Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara l’illegittimità della variazione del tasso di interesse debitorio applicato al rapporto controverso dal 31.12.2010 al 6.2.2014 e per l’effetto dispone che l’intermediario provveda allo storno dei relativi interessi in aumento. Rigetta nel resto.
Pag. 17/17 Dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00, quale contributo alle spese di procedura, e alla ricorrente quella di euro 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso”.

IL PRESIDENTE

 

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