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La bancarotta fraudolenta documentale, prevista dall’art. 216 comma 1, n. 2 Legge Fallimentare, nel caso di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili richiede il dolo specifico.

 

La cassazione penale sezione V con la sentenza n. 42664 del 5 novembre 2021 ha annullato la sentenza della corte di appello capitolina che ha reputato “sufficiente, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, la generica consapevolezza, da parte dell’amministratore della fallita, di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, nulla specificando in relazione al dolo specifico richiesto, pur trattandosi, secondo la contestazione, di condotta di sottrazione delle scritture, né addivenendo ad una espressa riqualificazione della fattispecie ritenuta”.

Gli Ermellini argomentano che secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, cui il Collegio intende dare continuità, in tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017 , Rossi, Rv. 271611).

Infatti, si sostiene con convincente ragionamento, che la sottrazione o occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma (alternativa), in seno all’art. 216, comma 1, lett. b), I. fall., rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili, effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi.

Nel caso in esame, applicati gli esposti principi, si osserva che la Corte territoriale, a fronte di espresso motivo di appello, ha reputato sufficiente, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, la generica consapevolezza, da parte dell’amministratore della fallita, di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, nulla specificando in relazione al dolo specifico richiesto, pur trattandosi, secondo la contestazione, di condotta di sottrazione delle scritture, né addivenendo ad una espressa riqualificazione della fattispecie ritenuta.

Tanto, a maggior ragione in un caso come quello al vaglio, in cui non viene riconosciuta la responsabilità dell’amministratore per reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ma l’unica contestazione per la quale l’imputato ha riportato condanna attiene alla sottrazione delle scritture contabili, conclusione che impone un espresso esame dell’elemento soggettivo del reato.

Dal ragionamento sviluppato, consegue l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame sul punto evidenziato, ad altra sezione della Corte d’appello competente.

 

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