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Dal fallimento alla liquidazione giudiziale

Il 14 febbraio 2019 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, ovvero il testo di riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La pubblicazione era attesa da tempo, in quanto la legge delega risale al 19 ottobre 2017.

Il nuovo codice, a differenza della legge fallimentare, regola in maniera unitaria tutte le procedure denominate della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rivisitando quindi non solo la legge fallimentare e i suoi istituti, ma anche la disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento introdotta con la legge n. 3 del 2012 e mai evolutasi nonostante numerosissime critiche rappresentate dagli operatori del settore negli ultimi anni. Il D.Lgs. n. 14/2019 costituisce un quadro normativo unitario.

Come noto, è stato eliminato il termine fallimento, non solo perché caratterizzato da una accezione negativa, in particolare sul piano sociale, ma soprattutto perché, come descritto ampiamente negli articoli che hanno preceduto questo, il tentativo che compie il legislatore è quello di prevenire la crisi e concentrare gli sforzi normativi sul favorire la continuità rispetto all’episodio della insolvenza. Sono introdotti di conseguenza i termini “crisi”, che equivale ad una situazione di pericolo espressa in particolari condizioni in cui si troveranno gli operatori economici, e “insolvenza”, situazione già nota nella legge fallimentare, che rappresenta lo stato del debitore non in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

La conseguenza procedurale all’insolvenza verrà denominata ora “liquidazione giudiziale”, perché nei suoi effetti gli operatori giudiziari e professionali incaricati di gestirla dovranno orientarsi verso la rapida trasformazione in denaro del patrimonio del soggetto insolvente e la sua redistribuzione in relazione ai diversi gradi di privilegio. Quanto tutto questo si tradurrà in un cambiamento radicale di prospettiva negli effetti di questo istituto è davvero difficile dirlo. Chi scrive ha l’impressione che non sarà sufficiente solo una trasformazione semantica, e neanche il buon senso di alcune novità contenute nella norma, per sanare i limiti di una procedura che ha inevitabili ripercussioni in ambito tanto civile quanto penale, subendone gli effetti soprattutto in termini di dilatazione generale dei tempi di giustizia.

La liquidazione giudiziale si applica agli imprenditori commerciali, ad eccezione di coloro i quali si collocano nelle condizioni espresse dall’art. 2, comma 1 , lettera d), del D.Lgs. n. 14 del 2019.

Sono escluse, di conseguenza, le “imprese minori” e cioè quelle che presentano congiuntamente i seguenti requisiti:

  1. un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di  apertura  della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
  2. ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro  duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
  3. un ammontare di debiti anche non  scaduti non superiore ad euro cinquecentomila;

I predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministero della Giustizia a norma dell’art. 348 del D.Lgs. n. 14/2019.

La relazione di accompagnamento alla Legge delega 155 del 2017 aveva introdotto una discriminante importante in merito alla definizione di “imprenditore commerciale” estendendone il contenuto ad ogni categoria di impresa iscritta al registro imprese anche priva di finalità lucrativa.

Parrebbe, invero, che la formulazione attuale e definitiva del testo non abbia abbracciato l’intenzione estensiva dei proponenti e sia tornata a destinare l’applicazione dell’istituto della liquidazione giudiziale esclusivamente alle imprese dotate delle caratteristiche di cui sopra.

L’art. 1 del D.Lgs. n. 14/2019 resta tuttavia invariato nel suo contenuto e così l’applicazione generale del Codice della Crisi e dell’Insolvenza abbraccerà anche le fattispecie dei professionisti, dei consumatori, degli imprenditori agricoli, dei gruppi di imprese e delle società pubbliche, ma con istituti differenziati da quelli previsti per i soggetti a cui si applicherà la “liquidazione giudiziale”.

Il requisito dell’insolvenza resta, ovviamente, la discriminante fondamentale per l’accesso alla procedura con la nuova condizione, contenuta nell’art. 2 del D.Lgs. n. 14/2019, che conduce alla identificazione di tale stato anche fatti esteriori non riconducibili alla gestione aziendale diretta.

Si ipotizza che il legislatore abbia fatto riferimento a condizioni che non sono direttamente identificabili dalla documentazione aziendale, ma, piuttosto, ad una serie di eventi tutti da accertare. E se ne avrà certezza allorquando si dirà di certi nuovi poteri affidati al curatore ex post la dichiarazione di insolvenza.

 

Le principali novità in sintesi

Per dettare un tracciato delle novità salienti dell’istituto, il Servizio Studi della Camera dei Deputati ha inteso fornire alcuni chiarimenti di sintesi proprio in questi giorni. Nel tentativo di assecondare questo sforzo che riguarda in verità una parte vastissima del testo di riforma, si riportano di seguito le principali innovazioni della norma:

  1. viene attribuita al curatore la facoltà di effettuare azioni di responsabilità a più ampio raggio, escludendosi la previa autorizzazione da parte del giudice delegato e il parere del comitato dei creditori;
  2. sempre con riguardo al ruolo del curatore, è introdotta una nuova disciplina concernente gli obblighi informativi a carico dello stesso: è infatti prevista la tenuta di un registro informatico, consultabile telematicamente, oltre che dal giudice delegato, da ciascuno dei componenti del comitato dei creditori e rimodulata la tempistica per le relazioni;
  3. viene esteso il raggio temporale per l’azione revocatoria, facendolo decorrere dal deposito della domanda, anziché dall’apertura della procedura;
  4. è ridimensionato il ruolo del comitato dei creditori, che viene soppresso per le procedure minori, e reso più snello per le altre, tramite la previsione della consultazione telematica;
  5. con riferimento agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori, la principale novità consiste nella fissazione della data da cui calcolare il periodo sospetto dal quale considerare eventuali atti compiuti in danno dei creditori, in quella del deposito dell’istanza con cui si chiede l’apertura della liquidazione;
  6. con riguardo alla disciplina relativa agli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti, si prevede, in caso di prosecuzione del contratto, la prededucibilità soltanto dei crediti maturati nel corso della procedura;
  7. nuove specifiche disposizioni concernono lo scioglimento di contratto preliminare di vendita immobiliare e i contratti di carattere personale;
  8. nella disciplina dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, è introdotta la previsione ai sensi della quale, in caso di subentro, il curatore è obbligato al pagamento delle sole prestazioni avvenute dopo l’apertura della liquidazione;
  9. è introdotta una nuova disciplina relativa al contratto di affitto di azienda,che differenzia il caso di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente da quello in cui invece il debitore sia l’affittuario;
  10. con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato, vengono introdotte nuove disposizioni volte ad armonizzare la disciplina dell’insolvenza con quella vigente in tema di diritto del lavoro;
  11. per quanto riguarda l’accertamento dello stato passivo, è previsto che i creditori possano partecipare al concorso anche senza l’assistenza di un difensore e possano farlo anche con riguardo alle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui;
  12. il termine per la presentazione di domande tardive è ridotto a 6 mesi (rispetto agli attuali 12);
  13. è disciplinata in modo innovativo la liquidazione dell’attivo, con la previsione di un obbligo di stima dei beni, del ricorso al portale delle vendite pubbliche, di una durata massima della procedura (5 anni prorogabili a 7) e dettando disposizioni specifiche sulla vendita dei beni, con particolare riguardo al numero di tentativi da esperire ed al prezzo di aggiudicazione, attribuendo significativi poteri al giudice delegato;
  14. è previsto che il concordato nella liquidazione giudiziale possa essere proposto dal debitore solo se prevede l’apporto di risorse che incrementano il valore dell’attivo di almeno il 10%;
  15. quando la liquidazione riguarda una società la riforma integra l’elenco delle azioni di responsabilità che il curatore può esperire, escludendo che egli debba ottenere la previa autorizzazione da parte del giudice delegato e sentire il comitato dei creditori;
  16. è disciplinato il diritto all’esdebitazione, dell’imprenditore insolvente come del consumatore, eliminando la norme che attualmente precludono la concessione del beneficio qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.
  17. l’esdebitazione può essere ottenuta alla chiusura della liquidazione o comunque trascorsi 3 anni dall’apertura della stessa. La riforma consente, inoltre, l’esdebitazione anche del debitore che non sia in grado di adempiere minimamente alle proprie obbligazioni e non possa offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva futura. In questo caso l’accesso al beneficio può essere concesso una sola volta.

Lo sforzo compiuto dal legislatore è sinceramente improntato alla semplificazione e allo snellimento delle procedure, in verità assecondando un orientamento che da tempo i tribunali italiani avevano già adottato.

Resta aperto il tema dei tempi di giustizia, soprattutto in favore dei creditori. Infatti, non basterà la buona volontà dei curatori e dei giudici delegati allorché le procedure dovranno essere calate nella pratica di vicende condizionate anche da effetti legati al contenzioso civile o tributario, aspetti che non di rado investono i fallimenti, soprattutto nei casi in cui la massa passiva risulti di notevole entità.

 

 

Riferimenti normativi:

 

 

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