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La notizia del via libera della responsabile UE per la concorrenza Margrethe Vestager all’unificazione delle otto Zone economiche speciali di Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna in un’unica zona coincidente con il Mezzogiorno d’Italia, porta alla ribalta una delle misure su cui l’attuale Governo punta per creare condizioni favorevoli allo sviluppo delle imprese che operano in questa parte del Paese, e per l’insediamento di nuove attività.

Le ZES rientrano tra gli incentivi di natura territoriale, diretti a introdurre un differenziale regolatorio e fiscale riservato ad ambiti geografici caratterizzati da un contesto socioeconomico svantaggiato, allo scopo di abbassare le barriere, naturali e sociali, all’ingresso di nuovi attori, o anche di risolvere crisi congiunturali di grandi complessi produttivi. Ciò non ostante, sotto il profilo fiscale, i loro caratteri strutturali e funzionali, che dal punto di vista teorico e comparatistico possono essere molto vari, in Italia hanno manifestato una debole dinamica evolutiva.

All’atto della loro istituzione, compiuta con il D.L. n. 91/2017, il regime fiscale delle ZES prevedeva la possibilità di fruizione del credito d’imposta istituito con la legge n. 208/2015, art. 1, commi 98-108 (bonus Sud) “in relazione agli investimenti effettuati” al loro interno (art. 5, comma 2, del D.L. cit.). Dal punto di vista funzionale, ciò le caratterizzava come una misura di politica economica, diretta alla promozione dello sviluppo, della produttività e competitività delle imprese, all’attrazione di nuovi investimenti, al miglioramento della catena distributiva per le attività di import/export. La disciplina si è poi arricchita con la possibilità, introdotta con la legge n. 178/2020, di una riduzione temporanea del 50% delle imposte sui redditi derivanti da attività svolte al loro interno. A ciò ha corrisposto un diverso svolgimento dell’attitudine funzionale dell’istituto, rivelato dalla subordinazione del beneficio fiscale alla condizione che l’impresa beneficiata conservi per non meno di dieci anni i posti di lavoro creati nelle ZES. Con ciò, esse hanno potuto adattarsi a politiche di coesione sociale, economica e territoriale, in coerenza con una impostazione di politica economica rispondente ai canoni della economia sociale di mercato.
I lavori parlamentari di queste settimane hanno tracciato il disegno di medio periodo al cui interno si giocherà il destino di questo importante strumento di politica economica e sociale. Ciò, in considerazione della previsione, contenuta nell’art. 9, lettera g), del Ddl sulla riforma fiscale, all’esame del Senato, della revisione e razionalizzazione degli incentivi fiscali, e dei loro meccanismi di determinazione e fruizione. E del fatto che anche il Ddl al Governo per la definizione di un sistema organico di incentivi alle imprese prevede la possibilità dell’abrogazione e della modificazione delle disposizioni vigenti (art. 3, comma 2, Ddl S. 571).

La coesistenza all’interno delle ZES di misure operanti sui due piani della fiscalità e della regolazione, unita all’ampiezza dei criteri di delega espressi nei due documenti, hanno generato vasti spazi di sovrapposizione, e quindi l’esigenza di un coordinamento. A ciò sembra avere provveduto l’emendamento ora espresso nella lettera i) dell’art. 9 Ddl sulla riforma fiscale (AS 797), che tra gli obiettivi degli interventi di riforma pone il “favorire lo sviluppo economico del Mezzogiorno e la riduzione del divario territoriale, valutando la semplificazione del sistema di agevolazioni fiscali nei riguardi delle imprese …, con particolare riferimento alle zone economiche speciali”.

Le valutazioni che si potranno compiere su questi temi sono molte e molto complesse, e vanno da possibili interventi sulla governance dell’incentivo fiscale, alla sua conservazione sotto forma di credito d’imposta, all’affiancamento di misure di incremento dell’attrattività della forza lavoro.

Quanto al primo punto, c’è in primo luogo la possibilità di riconsiderare il ruolo dell’Agenzia delle Entrate nel giudizio sul merito degli interventi agevolabili. L’eccessiva esposizione dell’Agenzia nella fase di valutazione preventiva, e anche di controllo a posteriori, dell’effettività e della meritevolezza degli interventi per i quali gli incentivi fiscali siano stati chiesti, è stata più volte segnalata nel corso dei lavori parlamentari. Su queste materie potrebbero esprimersi con competenza specialistica altre amministrazioni, e l’emendamento pone le condizioni perché, se questa disfunzione non potrà essere corretta per tutti i crediti d’imposta di natura sovvenzionale, lo possa essere almeno per le ZES. Ciò consentirebbe di sperimentare nuove forme di collaborazione tra amministrazioni pubbliche che, se risultassero efficienti, potrebbero essere messe a sistema.

Su di un piano di riforma più avanzata, c’è la sostituzione del credito d’imposta con un diverso incentivo economico, che non incida più sul pagamento delle imposte (come titolo per l’estinzione del debito mediante compensazione), e che interrompa l’osmosi con gli istituti giuridici che presiedono all’imposizione e riscossione dei tributi, tagliando alla radice la causa delle complessità che riguardano la definizione della natura degli atti di recupero dei crediti inesistenti o non spettanti, il trattamento sanzionatorio proporzionato all’interesse leso, l’individuazione del giudice dotato di giurisdizione. Un progresso nella direzione della semplificazione della selva delle spese fiscali, che basterebbe da solo a giustificare una riforma.

Un terzo profilo, che però implica delicati problemi di compatibilità con il divieto europeo di aiuti di Stato, è poi l’ampliamento dell’ambito territoriale della ZES, fino alla creazione di un unico grande bacino off shore capace di ospitare esperimenti di riduzione complessiva della pressione fiscale su base nazionale. Si tratta di una eventualità ancora tutta da esplorare nei presupposti, e nelle forme di attuazione (non potendosi escludere, a legislazione sugli aiuti di stato invariata, una ZES unica per il Mezzogiorno caratterizzata dal solo abbattimento della burocrazia sugli investimenti, e senza agevolazioni fiscali). Nell’immediato, si è parlato di rendere strutturale la decontribuzione Sud, ma nella stessa direzione potrebbero muovere anche altre misure non condizionate da vincoli europei, come l’istituzione di un “premio per il lavoro” in forma di “imposta negativa” (sotto un certo imponibile si eroga una sovvenzione, fino a integrare un reddito minimo), riservata ai giovani che scelgano di accedere al lavoro e che al termine del periodo lo restituirebbero sotto forma di imposte computate sulla parte di reddito eccedente il limite esente (Mingardi-Sacconi, 2022).

L’istituzione di un sistema di questo tipo collegherebbe l’incentivo all’impresa a una nuova misura di sostegno al lavoro, e renderebbe possibile la sperimentazione di uno strumento che, in caso di successo, potrebbe essere applicato anche su più larga scala, come elemento della riforma fiscale, rispondente a una esigenza largamente diffusa, che sarebbe meritorio e produttivo provare a soddisfare.

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